Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 13220 del 20/02/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 13220 Anno 2014
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

Data Udienza: 20/02/2014

SENTENZA
Sul ricorso proposto nell’interesse di VIOLANTE Aristide, n. a
Solopaca (BN) 1’11/05/1960, rappresentato ed assistito dall’avv.
Rodolfo Viserta avverso la sentenza n. 977/2009 emessa dalla Corte
d’Appello di Salerno, in data 18.03.2013;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
rilevata la regolarità degli avvisi di rito;
sentita la relazione della causa fatta dal consigliere dott. Andrea
Pellegrino;
udite le conclusioni assunte dal Sostituto procuratore generale dott.
Giulio Romano che si è opposto al rinvio per astensione dalle udienze
richiesto dalla difesa del ricorrente e ha chiesto il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

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1. Con sentenza del Giudice per le indagini preliminari presso il
Tribunale di Nocera Inferiore, resa all’esito di giudizio abbreviato in
data 13.01.2009, VIOLANTE Aristide veniva dichiarato responsabile
dei reati, commessi in Sarno il 12.01.2007, di furto dei documenti di
circolazione relativi al veicolo Fiat Seicento tg. CD 618 3K ai danni di
Grazia Fortunato, titolare dell’agenzia automobilistica “Caravaggio” a
cui li aveva consegnati Siniscalchi Luisa per eseguire il passaggio di

proprietà del veicolo in favore di Amato Alfonso, truffa aggravata ed
estorsione ai danni di Siniscalchi Teodoro, al quale puntava un
coltello alla gola per intimargli la restituzione di un assegno di euro
5.000,00 protestato, da lui consegnato per l’acquisto di due
autovetture nonché la consegna delle autovetture e dei relativi
documenti di circolazione, e veniva condannato alla pena di anni tre
e mesi sei di reclusione ed euro 600,00 di multa, con condanna
generica al risarcimento dei danni e con una provvisionale a favore
della parte civile costituita pari ad euro 5.000,00.
2. Avverso la sentenza di primo grado veniva interposto appello dal
difensore che chiedeva l’assoluzione dell’imputato per insufficienza di
prove a suo carico.
3. Con sentenza in data 18.03.2013, la Corte d’Appello di Salerno, in
riforma della pronuncia di primo grado, previo riconoscimento delle
circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulle
circostanze aggravanti, riduceva la pena ad anni due e mesi otto di
reclusione ed euro 300,00 di multa, con conferma nel resto
dell’impugnata sentenza.
4. Avverso la sentenza di secondo grado, veniva proposto nell’interesse
del VIOLANTE ricorso in cassazione per i seguenti motivi:
-violazione dell’art. 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen., per avere la
sentenza impugnata solo apparentemente argomentato, attraverso
argomentazioni manifestazioni illogiche e spesso apodittiche,
determinandosi in erronea interpretazione della legge penale, sia
sostanziale che processuale, in relazione all’art. 194 cod. proc. pen.
(primo motivo);
-violazione dell’art. 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen., per avere la
sentenza impugnata solo apparentemente argomentato, attraverso
argomentazioni manifestazioni illogiche e spesso apodittiche,
determinandosi in erronea interpretazione della legge penale, sia

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sostanziale che processuale, in relazione all’art. 640 cod. pen.
(secondo motivo);
– violazione dell’art. 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen., per avere la
sentenza impugnata solo apparentemente argomentato, attraverso
argomentazioni manifestazioni illogiche e spesso apodittiche,
determinandosi in erronea interpretazione della legge penale, sia
sostanziale che processuale, in relazione all’art. 629 cod. pen. (terzo
motivo);

-nullità della sentenza in relazione al quantum della pena irrogata
(quarto motivo).
In particolare, il ricorrente, dopo aver stigmatizzato in premessa la
sentenza d’appello che si era limitata a “copiare” la sentenza di
primo grado venendo meno alla funzione stessa del doppio grado di
giurisdizione e dopo aver censurato detta pronuncia per aver basato i
propri assunti valutativi su supposizioni e congetture, con riferimento
ai singoli motivi dedotti, ha censurato:
a) in relazione al primo motivo, come il giudice di merito avesse
affermato la responsabilità dell’imputato sulla base della sola
testimonianza della persona offesa, senza alcuna verifica della sua
credibilità;
b) in relazione al secondo motivo, come nè il giudice di primo grado
né quello di secondo avessero motivato in ordine agli elementi
essenziali del delitto di truffa, in presenza di una vicenda avente
carattere prettamente civilistico che, a tutto concedere, poteva
consentire di far ritenere la configurabilità della sola forma del
tentativo di truffa;
c) in relazione al terzo motivo, come sia il giudice di primo grado che
quello d’appello avessero omesso di dar rilievo alle dichiarazioni rese
dal teste Giudice Vittorio che aveva riferito come il Siniscalco
Teodoro avesse consegnato spontaneamente l’assegno al Violante;
d) in relazione al quarto motivo, come la Corte territoriale ben
avrebbe potuto contenere la pena nel minimo edittale e concedere il
beneficio della sospensione condizionale, tenendo conto che le
autovetture erano state consegnate, che l’imputato aveva reso
ampio e dettagliato interrogatorio e che lo stesso non era gravato da
precedenti.

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Da qui la richiesta di annullamento con rinvio della sentenza
impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

5. Preliminarmente il Collegio prende atto come in data 18.02.2014 il
legale del ricorrente, avv. Rodolfo Viserta, abbia fatto pervenire in
cancelleria, a mezzo fax, comunicazione di adesione all’astensione

dall’attività forense indetta per il 18/20 febbraio 2014 dall’O.U.A.
(Organismo Unitario dell’Avvocatura) chiedendo implicitamente il
rinvio dell’udienza.
La richiesta di differimento è inaccoglibile in quanto l’istante non ha
dimostrato di aver comunicato agli altri avvocati costituiti (nella
specie, l’avv. Valentino Miranda, difensore delle parti civili Siniscalchi
Teodoro e Siniscalchi Luisa), nel medesimo termine di scadenza del
18.02.2014 la propria dichiarazione di astensione, in ottemperanza a
quanto previsto dall’art. 3, comma 1 lett. b) codice di
autoregolamentazione (adottato il 4 aprile 2007), né avendo
comunque dichiarato o fatto pervenire dichiarazione impegnativa di
aver in ogni caso adempiuto a tale obbligo informativo anche con
l’adozione di forme comunicative diverse da quelle scritte.
6. Il ricorso è manifestamente infondato e, come tale, va dichiarato
inammissibile.
7. Va innanzitutto premesso che lo sviluppo argomentativo della
motivazione della sentenza impugnata, da integrarsi con quella di
primo grado, è fondato su una coerente analisi critica degli elementi
di prova e sulla loro coordinazione in un organico quadro
interpretativo, alla luce del quale appare dotata di adeguata
plausibilità logica e giuridica l’attribuzione a detti elementi del
requisito della sufficienza, rispetto al tema di indagine concernente la
responsabilità del ricorrente in ordine ai delitti contestati. La
motivazione della sentenza impugnata supera quindi il vaglio di
legittimità demandato a questa Corte, alla quale non è tuttora
consentito di procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti magari
finalizzata, nella prospettiva del ricorrente, ad una ricostruzione dei
medesimi in termini diversi da quelli fatti propri dal giudice del
merito. Di contro, le censure proposte dal ricorrente appaiono

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inammissibili posto che, con le stesse, si muovono non già precise
contestazioni di illogicità argomentativa, ma solo doglianze di merito
– oltretutto prospettate in termini di assoluta genericità ed
astrattezza – non condividendosi dal ricorrente le conclusioni attinte
ed anzi proponendosi versioni più persuasive di quelle dispiegate
nella sentenza impugnata.
Prima di passare ai singoli motivi di doglianza, con riferimento alle

censure mosse in via preliminare dal ricorrente, osserva il Collegio
come la motivazione “per relationem” adottata dai giudici di
secondo grado sia ampiamente legittima. Invero, afferma la
costante giurisprudenza di legittimità come nel giudizio di appello,
sia consentita la motivazione “per relationem” alla pronuncia di
primo grado, nel caso in cui – come nella fattispecie – le censure
formulate dall’appellante non contengano elementi di novità rispetto
a quelle già condivisibilmente esaminate e disattese dalla sentenza
richiamata (Cass., Sez. 2, n. 30838 del 19/03/2013-dep.
18/07/2013, Autieri e altri, rv. 257056; nello stesso senso, Cass.,
Sez. 6, n. 17912 del 07/03/2013-dep. 18/04/2013, Adduci e altri,
rv. 255392; secondo cui il giudice di appello può motivare la propria
decisione richiamando le parti corrispondenti della motivazione della
sentenza di primo grado solo quando l’appellante si sia limitato alla
mera riproposizione delle questioni di fatto o di diritto già
espressamente ed adeguatamente esaminate e correttamente risolte
dal primo giudice, ovvero abbia formulato deduzioni generiche,
apodittiche, superflue o palesemente inconsistenti).
8. In relazione al primo motivo, osserva il Collegio come la Corte
territoriale, con motivazione esauriente, logica, non contraddittoria,
come tale esente da vizi rilevabili in questa sede, in adesione alle
valutazioni operate dal giudice di prime cure, pur riconoscendo la
sussistenza di pregressi rapporti di compravendita di autovetture tra
il VIOLANTE ed il Siniscalchi Teodoro, abbia escluso qualunque
movente calunniatorio in capo ai denuncianti, tali da poterne inficiare
le rispettive versioni, evidenziando come lo stesso ritardo nella
denuncia potesse verosimilmente ascriversi alla speranza che il
VIOLANTE si avvedesse ed onorasse i suoi debiti in relazione alla
vendita di due autovetture per le quali il VIOLANTE aveva dato in
pagamento l’assegno di euro 5.000,00 risultato privo di provvista e,

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quindi, protestato: sul punto, del tutto coerenti sono state ritenute le
dichiarazioni sia di Siniscalchi Teodoro che di Siniscalchi Luisa di non
aver consegnato al VIOLANTE i documenti di circolazione delle
autovetture acquistate, in attesa della verifica della regolarità
dell’assegno in questione, il tutto come riscontrato dai documenti
acquisiti e dalla conseguita disponibilità dei due autoveicoli da parte
del VIOLANTE.

9. In relazione al secondo motivo, osserva il Collegio come si è in
presenza di censura del tutto generica oltre che contraddittoria
avendo il ricorrente dapprima affermato l’inesistenza del delitto di
truffa, successivamente ritenuto la ricorrenza di una controversia di
carattere civilistico per poi concludere per la possibile (estrema)
possibilità della figura del tentativo di truffa.
Riconosce la giurisprudenza di questa Suprema Corte come i motivi
di ricorso per cassazione devono indicare con chiarezza le ragioni di
fatto e di diritto su cui si fondono le censure, al fine di delimitare con
precisione l’oggetto del gravame ed evitare, di conseguenza,
impugnazioni generiche o meramente dilatorie (Cass., Sez. 6, n.
1770 del 18/12/2012-dep. 15/01/2013, P.G. in proc. Lombardo, rv.
254204).
10. In relazione al terzo motivo, osserva il Collegio come la Corte
territoriale, anche qui con motivazione esauriente, logica, non
contraddittoria, come tale esente da vizi, abbia riconosciuto
l’assoluta inconferenza e superfluità della deposizione del teste
Giudice Vittorio che ha negato di aver sentito minacce o assistito ad
episodi di violenza tra il VIOLANTE ed il Siniscalchi Teodoro. Questa,
sul punto, la motivazione della Corte: “… che i due si conoscessero è
circostanza assolutamente pacifica; ciò che rende inutilizzabile la
deposizione del teste, inidonea a capovolgere l’esito del giudizio in
favore dell’appellante, è il fatto che il Giudice ha dichiarato di essere
rimasto in macchina durante la discussione tra Violante e Siniscalchi
ed inoltre non specificava il giorno in cui ebbe ad assistere alla
discussione, per cui nulla potrebbe mai escludere che il ricordo del
teste si riferisca ad altro incontro, non connotato da violenza ma
diverso da quello oggetto del presente giudizio”.
11. In relazione al quarto motivo, osserva il Collegio come lo stesso si
profili inammissibile per manifesta infondatezza. Invero, nella

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sentenza impugnata, i giudici d’appello, nel determinare la pena da
irrogare al VIOLANTE, operano sostanziale riferimento agli indici
previsti dall’art. 133 cod. pen..
Come è noto, afferma la giurisprudenza di questa Suprema Corte
(Cass., Sez. 6, n. 9120 del 02/07/1998-dep. 04/08/1998, Urrata S.
e altri, rv. 211582), come debba ritenersi adempiuto l’obbligo di
motivazione del giudice di merito sulla determinazione in concreto

elementi ritenuti rilevanti o determinanti nell’ambito della
complessiva dichiarata applicazione di tutti i criteri di cui all’art. 133
cod. pen..
12.Alla pronuncia consegue, ex art. 616 cod proc. pen., la condanna
del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al
versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma
che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina
equitativamente in euro 1.000,00

PQM

Respinta l’istanza di rinvio, dichiara inammissibile il ricorso e condanna il
ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro
1.000,00 alla Cassa delle ammende.
Così deliberato in Roma, udienza pubblica del 20.2.2014

della misura della pena allorché siano indicati nella sentenza gli

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