Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 13216 del 20/02/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 13216 Anno 2014
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: LOMBARDO LUIGI GIOVANNI

SENTENZA
sul ricorso proposto da
LO BARTOLO Marco, n. il 26.6.1968;
avverso la sentenza della Corte di Appello di Genova del 18.3.2013;
Sentita la relazione del Consigliere Luigi Lombardo;
Udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale Giulio Romano,
che ha concluso per il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 30.10.2012, il G.I.P. del Tribunale di Genova
dichiarò Lo Bartolo Marco responsabile del delitto di rapina aggravata ai
sensi dell’art. 628 comma 3 n. 1 cod. pen. (commessa in danno di una
farmacia di Genova) e, concesse le attenuanti generiche ritenute
equivalenti alla aggravante e alla recidiva contestate, lo condannò alla
pena di anni 2 mesi 4 di reclusione ed € 600 di multa.
Avverso tale pronunzia l’imputato propose gravame, ma la Corte di
Appello di Genova, con sentenza del 18.3.2013, confermò la decisione di
primo grado.
Ricorre per cassazione il difensore dell’imputato, deducendo:

Data Udienza: 20/02/2014

1) la violazione degli artt. 99, comma 4, e 69 comma 4 cod. pen.,
con riferimento al ritenuto divieto di prevalenza delle circostanze
attenuanti generiche sulla recidiva di cui all’art. 99, comma 4 cod. pen. e
alla ritenuta obbligatorietà dell’aumento di pena previsto dal comma 5
dell’art. 99 cod. pen.; deduce, in particolare, la mancata contestazione da parte del pubblico ministero – del comma 5 dell’art. 99 cod. pen. e,

2)

la violazione dell’art. 62 n. 4 cod. pen. e la illogicità della

motivazione della sentenza impugnata con riferimento al mancato
riconoscimento dell’attenuante della speciale tenuità del danno; deduce
che erroneamente la Corte di Appello avrebbe negato il riconoscimento di
tale attenuante in ragione della gravità del fatto e dell’allarme sociale da
esso cagionato, essendo questi ultimi fattori non influenti ai fini della
concessione della detta attenuante.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso è privo di fondamento.
Com’è noto, la recidiva altro non è che una circostanza fattuale
vertente sui precedenti penali dell’imputato, che serve a colorare il fatto
di reato contestato e a farne apprezzare meglio la gravità in relazione alla
personalità del suo autore, consentendo così al giudice di irrogare la pena
più adeguata alla personalità del reo. In quanto circostanza fattuale, la
recidiva deve essere contestata nell’imputazione elevata dal pubblico
ministero affinché il giudice possa tenerne conto ai fini del calcolo della
pena; ove tale contestazione manchi e il giudice tenga egualmente conto
della recidiva, la sentenza sarà nulla in parte qua per violazione del
principio di correlazione tra accusa e sentenza (artt. 521 e 522 cod. proc.
pen.).
Occorre, tuttavia, non confondere il fatto di recidiva (rectius, i vari
tipi di fatti di recidiva) con le regole da seguire per operare gli aumenti di
pena ad essa conseguenti. Solo la recidiva, infatti, deve essere oggetto di
contestazione da parte del pubblico ministero, onde consentire alla difesa
di interloquire su di essa; mentre le norme che regolano gli aumenti di
pena sono rivolte al giudice e vanno applicate senza bisogno di
contestazione.

2

dunque, l’errore commesso dal giudice nell’averne tenuto conto;

Tra tali norme rientra indubbiamente la disposizione di cui al comma
5 dell’art. 99 cod. pen., la quale, infatti, non prevede un particolare fatto
di recidiva, ma si limita a dettare le regole che il giudice è tenuto a
seguire, ai fini dell’aumento della pena (previsto come obbligatorio), nel
caso all’imputato sia stata contestata la recidiva e il delitto per cui si
proceda rientri tra quelli di particolare gravità (come la rapina aggravata

procedimento) indicati all’art. 407 comma secondo lett. a) cod. proc. pen.
(Cass., Sez. 2, n. 8076 del 21/11/2012 Rv. 254534; Sez. 1, n. 36218 del
23/09/2010 Rv. 248289; Cass., Sez. 1, n. 46875 del 12/11/2009 Rv.
246254).
In altre parole, la disposizione di cui al comma 5 dell’art. 99 cod.
pen. disciplina gli aumenti di pena da apportare con riferimento a
circostanze fattuali già oggetto di contestazione (la recidiva da un lato, e
il nuovo reato per il quale si procede dall’altro), senza prevedere ulteriori
circostanze fattuali che possano essere contestate all’imputato, cosicché
essa va applicata dal giudice di merito, ai fini del calcolo della pena,
senza necessità che sia menzionata nel capo di imputazione.
Può enunciarsi dunque il seguente principio di diritto:

«Ove

all’imputato sia contestata la recidiva e il nuovo reato rientri tra quelli di
particolare gravità elencati nell’art. 407 comma 2 lett. a) cod. proc. pen.,
il giudice è tenuto a fare applicazione della disposizione di cui al comma 5
dell’art. 99 cod. pen. (con conseguente obbligatorietà dell’aumento della
pena), anche se tale disposizione non è richiamata nella contestazione
formulata dal pubblico ministero, trattandosi di norma che non prevede
fatti di recidiva, ma detta al giudice le regole che deve seguire ai fini del
calcolo della pena».
Non sussiste, perciò, la pretesa la nullità della sentenza per difetto
di correlazione con l’imputazione contestata, giacché all’imputato è stata
ritualmente contestata – nel capo di imputazione – la recidiva reiterata
specifica e infraquinquennale; mentre non andava indicata la disposizione
di cui al comma 5 dell’art. 99 cit., che si limita a disciplinare il calcolo
della pena da parte del giudice. Tale ultima disposizione prevede che
l’aumento della pena per la recidiva è obbligatorio, rimanendo così

3

ai sensi del comma 3 dell’art. 628 cod. pen. contestata nel presente

sottratto alla discrezionalità del giudice (Cass., Sez. 1, n. 16606 del
09/11/2012 Rv. 254569).
Anche la censura con la quale si lamenta la violazione dell’art. 69
comma 4 cod. pen., in ragione della mancata esclusione della recidiva, è
infondata.
Invero, l’art. 69 comma 4 cod. pen. esclude espressamente il

(contestata all’odierno imputato), cosicché i giudici di merito non
avrebbero potuto escludere la recidiva come preteso dal ricorrente.
2. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
Questa Corte ha più volte statuito che, ai fini della configurabilità
dell’attenuante del danno di speciale tenuità con riferimento al delitto di
rapina, non è sufficiente che il bene mobile sottratto sia di modestissimo
valore economico, ma occorre valutare anche gli effetti dannosi connessi
alla lesione della persona contro la quale è stata esercitata la violenza o
la minaccia, attesa la natura plurioffensiva del delitto de quo, il quale lede
non solo il patrimonio, ma anche la libertà e l’integrità fisica e morale
della persona aggredita per la realizzazione del profitto. Ne consegue che
può farsi luogo all’applicazione dell’attenuante solo ove la valutazione
complessiva del pregiudizio sia di speciale tenuità, sulla base di un
apprezzamento riservato al giudice di merito e non censurabile in sede di
legittimità, se immune da vizi logico-giuridici (Cass., Sez. 2, n. 19308 del
20/01/2010 Rv. 247363; Sez. 2, n. 36916 del 28/09/2011 Rv. 251152).
I giudici di merito hanno spiegato le ragioni per le quali hanno
ritenuto non potersi riconoscere la speciale tenuità del danno,
richiamando la grave minaccia a mano armata (con pistola-giocattolo
priva di tappo rosso) rivolta alle pp.00. e, quindi, il grave turbamento
psichico derivatone.
Tale motivazione non è contradditoria né manifestamente illogica,
risultando così insindacabile in sede di legittimità.
3. Il ricorso deve pertanto essere rigettato.
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che
rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere
condannata al pagamento delle spese del procedimento.

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giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti sulla recidiva reiterata

P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione

Penale, addì 20 febbraio 2014.

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