Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1313 del 04/11/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 1313 Anno 2016
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: BONI MONICA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CASELLA GIORGIO N. IL 05/10/1968
avverso l’ordinanza n. 62/2015 TRIB. LIBERTA’ di PALERMO, del
16/03/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MONICA BONli,
lette/sentite le conclusioni del PG Dott. Auiték o • (9 1 )-I “t9 T/1-4-0f –kk
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Data Udienza: 04/11/2015

Ritenuto in fatto

1.Con ordinanza resa il 16 marzo 2015 il Tribunale di Palermo, sezione per il
riesame, confermava il decreto del G.i.p. dello stesso Tribunale del 26 febbraio 2015, col
quale ai sensi dell’art. 321 cod. proc. pen., comma 2, era stato disposto il sequestro
preventivo finalizzato alla confisca della somma di euro 42.500,00, rinvenuta presso
l’abitazione di Giorgio Casella, ritenuta nella diretta disponibilità del di lui cognato
Giuseppe Fricano, indagato in quanto esponente di vertice dell’organizzazione di stampo

bis cod. pen. ed alle attività illecite della predetta formazione.
1.1 A fondamento della decisione rilevava che nel decreto di sequestro preventivo
urgente e contestuale richiesta di convalida ed emissione di decreto del g.i.p. di
sequestro era rinvenibile, al di là del “nonnen iuris” speso, l’interesse all’imposizione di
vincolo reale sulla somma di denaro rinvenuta, costituente accumulo dei proventi delle
iniziative estorsive, compiute nel precedente periodo di Natale, per sottrarla al Fricano ed
all’organizzazione di cui lo stesso faceva parte; pertanto, non era ravvisabile il difetto di
correlazione tra la richiesta cautelare del p.m. ed il provvedimento che l’aveva accolta ai
sensi dell’art. 416-bis cod. pen., comma settimo, avendo entrambi ad oggetto importo
ritenuto provento della partecipazione del Fricano ad associazione mafiosa.
Ha dunque confermato la sussistenza del “fumus delicti”, desunto dai copiosi
risultati delle investigazioni che avevano riguardato il Fricano, ritenuti indicativi della sua
qualità di dirigente del mandamento mafioso di Resuttana, gestore delle estorsioni e dei
relativi proventi, nonché del vincolo pertinenziale tra il denaro sequestrato e l’attività
dell’organizzazione capeggiata dal Fricano, desunto dallo stesso rapporto di parentela tra
costui e la sorella, moglie del Casella, abitanti al piano terra dello stesso stabile, il che
rendeva altamente probabile l’affidamento in custodia del denaro all’interno della
cassaforte dell’abitazione di costoro; dalla dimostrata conduzione di riunioni con altri
sodali presso l’alloggio del Fricano, nel corso delle quali era stata registrata la consegna
di denaro ed il relativo conteggio; dalla consistenza dell’importo rinvenuto in banconote
di grosso taglio ed eccedente gli accantonamenti usuali per far fronte a spese domestiche
o familiari; dalla mancata dimostrazione della sua legittima provenienza dai redditi, pari
a zero, dichiarati dal Casella o da lasciti ereditari di beni, improduttivi di reddito; dal
ruolo attivo svolto dal Casella nell’organizzazione delle riunioni tra il cognato ed altri suoi
accoliti. Quanto al periculum in mora si è evidenziato che, trattandosi di provento di
reato, la somma era oggetto di confisca obbligatoria.
2. Avverso detto provvedimento ha proposto ricorso il Casella per il tramite del suo
difensore, il quale ne ha chiesto l’annullamento per:
a) violazione di legge per vizio di ultrapetizione per avere il g.i.p. disposto il sequestro ai
sensi dell’art. 321 cod. proc. pen., comma 2, sebbene il p.m. avesse formulato la
richiesta cautelare in base ai commi 1 e 1-bis della stessa norma. L’eccezione di nullità
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mafioso denominata “cosa nostra” e quindi bene pertinente al delitto di cui all’art. 416-

del provvedimento di sequestro è stata respinta in base alla considerazione che la
domanda cautelare era stata avanzata per la finalità di sottrarre al Fricano, non già al
Casella che si assume terzo avente diritto, somme di denaro in quanto provento di delitti.
Al contrario, il p.m. nella sua istanza, facendo persino ricorso ai caratteri in grassetto, ha
evidenziato che «il denaro oggetto della … richiesta è suscettibile di sequestro giacché
rappresenta indubbiamente cosa pertinente al reato la cui libera disponibilità in capo
all’indagato, o comunque ai familiari, presso la cui abitazione avvenivano abitualmente
incontri con altri sodali all’associazione mafiosa, potrebbe aggravare o protrarre le

indicando chiaramente la richiesta di applicazione del sequestro preventivo ai sensi
dell’art. 321 cod.proc.pen., comma 1, che non può essere indicata come un errore
materiale, ma è frutto di deliberata formulazione della domanda. Valgono dunque i
principi giurisprudenziali citati nella memoria difensiva (Cass. 30.01.2014 n. 9756), che
non consentono una lettura sostanziale della volontà del richiedente.
b) Violazione di legge in riferimento alla violazione dei diritti di difesa ed alla
pretermissione di rilevanti elementi probatori offerti dalla stessa: l’ordinanza impugnata
reiteratamente richiama l’ordinanza applicativa della misura cautelare personale nei
confronti del Fricano e l’ordinanza di conferma emessa dallo stesso Tribunale del
riesame, provvedimenti ignoti alla difesa, perché non facenti parte degli atti. Inoltre, non
è stato assegnato alcun rilievo alla documentazione prodotta in sede di riesame ed alle
argomentazioni illustrate con la memoria prodotta all’udienza del 16/03/2015; in
particolare, non sono stati considerati:
– i tre verbali di informazioni, assunti dal difensore, dai quali emerge che i rapporti tra
l’indagato Fricano e il nucleo familiare della sorella erano pessimi e limitati alla
frequentazione per le festività, cosa confermata anche dall’attività di intercettazione
ambientale e di video sorveglianza compiuta presso l’immobile di Via Anteo n. 1, che non
aveva registrato consegne di denaro al Casella o alla moglie;
– le prove dell’attività lavorativa svolta costantemente dal ricorrente quale giardiniere
presso alcune ville di Mondello ed i lasciti ereditari e le donazioni, di cui aveva beneficiato
per oltre 30.000 euro, tali da non potersi definire di “modico valore” e che avrebbero
dovuto essere restituiti.

Considerato in diritto

Il ricorso è fondato e merita dunque accoglimento.
1. Non si ritiene di poter accogliere il primo motivo di ricorso; il Tribunale ha
superato l’eccezione di ultrapetizione, formulata dal ricorrente, mediante un accurato
raffronto tra la motivazione del decreto, adottato dal p.m. in data 23/2/2015, di
sequestro preventivo urgente con contestuale richiesta di convalida e di emissione di
decreto di sequestro preventivo, ed il provvedimento col quale il g.i.p. ha accolto la

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conseguenze di esso» (cfr. pag 5 decreto di sequestro urgente del PM del 23.02.2015),

relativa domanda. Mediante la considerazione complessiva dell’atto d’impulso del
procedimento cautelare vi ha rintracciato l’indicazione del perseguimento con la misura
reale invocata, non soltanto dell’esigenza impeditiva di evitare che la libera disponibilità
del denaro aggravi o protragga le conseguenze del reato di partecipazione ad
associazione di stampo mafioso, oggetto d’investigazioni, ma anche la considerazione di
tale cespite quale provento del medesimo reato e di condotte estorsive compiute dal
sodalizio, da sottrarre all’indagato Fricano, vero “dominus” della somma depositata
presso la cassaforte dell’abitazione della sorella per conto e nell’interesse

ravvisato nell’istanza il pertinente richiamo alla norma di cui all’art. 321 cod. proc. pen.,
che disciplina l’istituto del sequestro preventivo ed il corretto accoglimento della
domanda cautelare da parte del g.i.p. sulla base della selezione di una delle plurime
finalità rappresentate dall’organo dell’accusa, riscontrando un nucleo comune fra
domanda e decreto di sequestro allorchè entrambi gli atti hanno definito il bene
sottoposto a vincolo quale “provento dei delitti commessi dal Fricano”.
1.1 In tal modo il Tribunale non ha obliterato i consolidati principi interpretativi,
espressi da questa Corte, secondo i quali l’emissione del provvedimento cautelare, anche
se di natura reale, postula come indefettibile presupposto la domanda del pubblico
ministero, titolare esclusivo del potere di iniziativa che devolve al giudice di apprezzare la
domanda per accoglierla o respingerla senza potersi sostituire al richiedente
nell’individuare la tipologia e l’oggetto materiale della misura, o il delitto investigato per il
quale accordarla (Cass. sez. 6, n. 2658 del 20/12/2013, Saa’ e altri, rv. 257791; ).
1.2 Né in senso contrario può invocarsi quanto statuito da Cass., sez. 3, n. 24986
del 20/05/2015, Plebani, rv. 264098 e da Cass., sez. 6, n. n. 9756 del 30/01/2014, De
Vizia, rv. 259112, le quali, basandosi sul rilievo per cui il potere di intervento del giudice
del riesame sul provvedimento impugnato è limitato ai “motivi” che lo sostengono, hanno
escluso sia consentito modificare in caso di richiesta di riesame proposta dall’indagato,
non la motivazione, quanto la tipologia di cautela reale adottata, trasformandola da
sequestro diretto in sequestro per equivalente. Per quanto già esposto, il caso in esame
differisce nettamente dalla situazione delibata in dette pronunce perché il Tribunale ha
motivatamente ritenuto che il primo giudice cautelare non avesse adottato un diverso
provvedimento di sequestro, ma quello richiesto dal p.m. per una delle plurime finalità
esposte con un intervento decisorio che ha inciso soltanto sulla finalità della misura e
sulle ragioni giustificatrici, non sulla sua tipologia e sui presupposti legittimanti, rimasti
immutati; del pari, il Tribunale ha confermato il vincolo in funzione della confisca
obbligatoria ex artt. 321 cod. proc. pen., comma 2, e 416-bis cod. pen., comma 7.
2.Col secondo motivo il ricorrente denuncia l’insufficienza e l’apparenza della
motivazione dell’ordinanza impugnata per avere la stessa operato il richiamo “per
relationem” al contenuto dimostrativo di provvedimenti non presenti agli atti e quindi non
accessibili per la difesa, dai quali si sarebbe desunta la prova del ruolo svolto dal Caseija

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dell’organizzazione mafiosa, di cui era parte con funzioni dirigenziali. Ha dunque

nell’organizzare riunioni di mafia tra il cognato ed i suoi sodali e quindi del suo ruolo di
custode del denaro di pertinenza della medesima organizzazione.
2.1 In effetti il Tribunale, replicando sul punto il provvedimento investito dal
riesame, ha fatto ampio uso della tecnica redazionale del rinvio “per relationem” al titolo
custodiale emesso a carico del Fricano ed all’ordinanza di conferma all’esito di riesame,
evidenziando la “complessità e la valenza altamente dimostrativa degli elementi di prova
già ritualmente acquisiti a carico del Fricano” con rinvio a provvedimenti che assume
essere inclusi negli atti del procedimento. Rileva però questo Collegio, come

termini operato, sia perché gli esiti dell’attività investigativa esposti nel titolo cautelare
originario non sono stati nemmeno sunteggiati per sommi capi, in modo da offrire anche
sintetica enunciazione dei loro contenuti, sia perché non risultano rinvenibili agli atti del
fascicolo processuale i provvedimenti che si affermano presenti.
Le riscontrate carenze si rilevano cruciali per la correttezza ed esaustività
motivazionale dell’ordinanza impugnata, poiché compromettono la possibilità per il suo
destinatario e per qualsiasi altro lettore di comprendere le specifiche e congruenti ragioni
della ritenuta sussistenza del “fumus delicti” e dell’addebitabilità al Casella del ruolo di
depositario fiduciario della somma di denaro sequestrata per conto del cognato e la sua
pertinenza all’associazione di stampo mafiosa da questi asseritamente diretta. Il che è
tanto più pregiudizievole per l’effettiva garanzia di difesa perché il Casella non risulta
destinatario del provvedimento cautelare personale, il che esclude abbia potuto acquisire
da tale fonte conoscenza degli elementi posti a suo carico e giustificativi del vincolo
impostogli.
2.2 In punto di diritto, si ricorda che per pacifico arresto giurisprudenziale, cui
questa Corte si allinea e che ribadisce, la motivazione c.d. per relationenn è considerata
metodica consentita di strutturazione delle argomentazioni giustificative della decisione,
a condizione che: a) faccia riferimento a un legittimo atto del procedimento, la cui
motivazione risulti congrua rispetto all’esigenza di giustificazione propria del
provvedimento di destinazione; b) fornisca la dimostrazione che il giudice ha preso
cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento e le
abbia meditate e ritenute coerenti con la decisione; c) l’atto di riferimento sia conosciuto
dall’interessato, attraverso l’allegazione o la trascrizione nel provvedimento in questione,
o quanto meno sia ostensibile nel momento in cui si renda attuale l’esercizio della facoltà
di valutazione, di critica e di gravame, consentendo il controllo dell’organo della
valutazione o dell’impugnazione (Cass. S.U. n. 17 del 21/6/2000, Primavera, rv…; Sez.
4^, 20 gennaio 2004, n. 16886, Rinero; Sez. 1^, 20 dicembre 2004, n. 2612). Il rispetto
di tali requisiti postula che la motivazione per relationem rinvii ad altri provvedimenti
dello stesso procedimento, atteso che solo in tal caso è possibile per la parte interessata
averne contezza e per il giudice dell’impugnazione controllare l’iter logico e giuridico che
sorregge la decisione impugnata attraverso l’esame degli atti del fascicolo, il che assunn
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fondatamente denunciato dal ricorrente, l’insufficienza esplicativa del rinvio in tali

un valore dirimente nel caso del giudizio di legittimità per i connaturati limiti cognitivi che
incontra la Corte di Cassazione, cui è inibita la ricerca e la consultazione diretta degli atti.
L’ordinanza del Tribunale non rispetta tali condizioni, sicchè il rinvio all’ordinanza
cautelare personale, emessa nei riguardi di diversi soggetti, non assolve ritualmente ed
efficacemente all’onere motivazionale in ordine ad uno dei presupposti necessari per
l’applicazione della misura reale, ossia il “fumus delicti”, che però esplica refluenza anche
sul “periculum in mora”. Ne discende l’accoglimento del ricorso e l’annullamento
dell’ordinanza con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Palermo che dovrà colmare le

P. Q. M.

annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Palermo,
sezione per il riesame.
Così deciso in Roma, il 4 novembre 2015.

lacune riscontrate alla luce dei principi di diritto enunciati.

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