Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 131 del 05/12/2012


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 131 Anno 2013
Presidente: ZAMPETTI UMBERTO
Relatore: BONI MONICA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
1) HOXHA SHKELQIM N. IL 26/02/1965
avverso l’ordinanza n. 71/2011 TRIBUNALE di TRANI, del
11/02/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MONICA BONI;
14te/4keetite le conclusioni del PG Dg \tt. Tiva.ual
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Data Udienza: 05/12/2012

Ritenuto in fatto

1.Con ordinanza resa 1’11 febbraio 2011 il Tribunale di Trani, pronunciando quale giudice
dell’esecuzione, respingeva l’istanza avanzata dal condannato Shkelqim Hoxha diretta ad
ottenere la declaratoria di ineseguibilità della sentenza resa dallo stesso Tribunale in data
12/3/2001, irrevocabile il 25/1/2002, basata sulla nullità del decreto di latitanza emesso nel
corso di quel giudizio perché preceduto da decreto di espulsione dal territorio nazionale,
Il Tribunale fondava la propria decisione sul rilievo della non decisività della
documentazione offerta dall’istante, in quanto nel procedimento di cognizione erano state
condotte ricerche della sua persona senza sortire alcun esito, che avevano preceduto il decreto
di latitanza, senza che il Giudice che l’aveva emesso fosse stato reso edotto della procedura di
espulsione, che nulla indicava fosse stata realmente eseguita, né del luogo in cui si era trovato
l’imputato in Italia, o all’estero.
2. Avverso tale provvedimento propone ricorso per cassazione l’interessato a mezzo del
proprio difensore, il quale deduce il vizio di erronea applicazione della legge penale in quanto:
a)la dichiarazione di latitanza era affetta da nullità perché la notificazione del decreto di
espulsione era avvenuta in data 12.02.1997, giorno del fermo eseguito dal personale di p.g.;
b)dopo il deposito del verbale di vane ricerche il Giudice per le Indagini Preliminari presso il
Tribunale di Bari non aveva condotto alcuna attività per verificare la presunta latitanza ed
aveva emesso il relativo decreto nell’assenza delle indicazioni necessarie, mancando ogni
riferimento all’avvenuta espulsione, alle vane ricerche nell’ultimo domicilio e presso gli istituti
penitenziari, mentre l’assenza dal territorio italiano del ricercato era provata dall’attestazione,
contenuta nel proprio passaporto, dell’avvenuto rientro nel paese d’origine.
3. Con requisitoria scritta del 5 giugno 2012 il Procuratore Generale presso la Corte di
Cassazione, dr. Francesco Mauro Iacoviello, ha chiesto riunirsi il procedimento ad altro,
pendente sub n. 44944/2011 a seguito di impugnazione proposta dallo stesso ricorrente ed
avente lo stesso oggetto, richiamando comunque le conclusioni rassegnate in quella sede.
Considerato in diritto

Il ricorso è inammissibile.
1. Premesso che non risulta praticabile la riunione al precedente procedimento indicato
dal Procuratore Generale nella sua requisitoria, in quanto lo stesso al momento risulta essere
stato già definito, l’impugnazione in esame ripropone le medesime argomentazioni già poste a
fondamento dell’istanza respinta dal Tribunale con motivazione analitica, completa e
giuridicamente corretta. Invero, l’ordinanza impugnata, dopo avere premesso che dalla
documentazione disponibile risultava che nel procedimento n. 95/98 r.g., definito con la
sentenza di condanna di cui si è chiesto dichiararsi la non esecutività, il decreto di latita

notificatogli il 12/2/1997.

dell’imputato era stato preceduto dall’effettuazione delle prescritte ricerche, attestate dalle
annotazioni di p.g., ha rilevato che il giudice che aveva emesso Il predetto decreto non aveva
avuto conoscenza dell’esistenza di un procedimento amministrativo di espulsione dall’Italia
dello stesso imputato, perché il provvedimento non gli era mai pervenuto, né lo aveva prodotto
la difesa nel corso del giudizio e che comunque non vi era prova attendibile della sua
esecuzione, non potendo ritenersi tale una dichiarazione di un datore di lavoro albanese,
evidentemente priva di qualsiasi oggettività e prodotta soltanto in fase esecutiva.
quale si ribadiscono argomentazioni già esaminate circa l’effettiva presenza in Albania
dell’imputato, attestata dal suo passaporto, ma non si deduce, né dimostra che tale
circostanza fosse nota al giudice che ne aveva dichiarato la latitanza o che lo stesso avesse
avuto la disponibilità agli atti del passaporto stesso.
3. Va ribadito in punto di diritto che il provvedimento che dichiara la latitanza presuppone
il verbale di vane ricerche, redatto dal personale di polizia giudiziaria all’atto della mancata
esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare con l’indicazione specifica delle attività
compiute per il rintracciamento del catturando nei luoghi in cui si presume possa essere
trovato. Detto provvedimento implica la completezza ed effettività delle ricerche condotte,
valutazione che deve condurre il giudice all’emissione del decreto di latitanza sulla scorta delle
informazioni disponibili e della situazione accertata in quel momento, per cui non possono
assumere rilievo per dimostrarne l’illegittimità eventuali dati di conoscenza successivamente
acquisiti (Cass. sez. 6, n. 29702 del 10/4/2003, Dattilo, rv. 225485; sez. 5, n. 4114 del
9/12/2009, Hasanbelliu e altri, Rv. 246098; sez. 1, n. 15410 del 25/3/2010, Arizzi, rv.
246751; sez. 2, n. 25315 del 20/3/2012, Ndreko, rv. 253072). In altri termini, la latitanza
presuppone una verifica dell’assenza del ricercato con esiti di certezza allo stato degli atti, il
che rende ininfluente il sopravvenire postumo, soprattutto in sede esecutiva, di informazioni
non disponibili in precedenza.
3.1 Con riferimento ai presupposti per la dichiarazione di latitanza ed all’estensione
all’attività di ricerca valevole per la latitanza delle regole vigenti per la dichiarazione di
irreperibilità è emerso un contrasto nella giurisprudenza di questa Corte, in quanto un
orientamento assume come sufficiente l’assenza del ricercato nel territorio dello Stato (Cass.
sez. 6, n. 29702 del 10/4/2003, Dattilo, rv. 225485; sez. 5, n. 4114 del 9/12/2009,
Hasanbelliu e altri, Rv. 246098; sez. 1, n. 15410 del 25/3/2010, Arizzi, rv. 246751; sez. 2, n.
25315 del 20/3/2012, Ndreko, rv. 253072 già citate), mentre altre decisioni ritengono
applicabile in via analogica la previsione dell’art. 169 cod. proc. pen., comma 4, sul rilievo per
cui la latitanza sarebbe una forma qualificata di irreperibilità, contraddistinta dalla volontà di
sottrarsi all’esecuzione del provvedimento coercitivo, sicché il procedimento prescritto per la
relativa dichiarazione costituirebbe elemento in base al quale valutare la completezza delle
indagini (v. sentenze Sez. 1 n. 17592 del 24/4/2007, Dallpi, rv. 236504; Sez. 6 n. 5929 del

2

2. Tali preliminari rilievi non vengono confutati con argomenti convincenti col ricorso, nel

22/1/2009, PM in proc. Bambach ed altri, rv. 243064; Sez. 1 n. 9443 del 16/2/2010, Havaraj,
rv. 246631; Sez. 1, n. 17703 del 4/3/2010, Rozsaffy ed altri, rv. 247061).
3.4 Ebbene, anche a voler accogliere come fondata la seconda tesi più rigorosa, nel caso
in esame non ricorrono i presupposti per farne applicazione, dal momento che il Tribunale di
Trani ha correttamente posto in evidenza come al momento di emettere il decreto di latitanza
si fosse ignorato incolpevolmente l’assenza dell’Hoxha dal territorio nazionale, -nel quale era
stato certamente presente sino al momento del controllo operato il 12/2/1997 nel corso di

custodia cautelare-, il suo rimpatrio ed il luogo di possibile domicilio in Albania. Inoltre, l’essere
stato egli coinvolto nel controllo che aveva condotto alla cattura dei soggetti con i quali si era
trovato, gli aveva consentito di comprendere che un provvedimento di cattura avrebbe potuto
essere emesso anche nei suoi confronti, inducendolo a sottrarvisi, sicchè tale evenienza ha
legittimato l’effettuazione delle notificazioni mediante consegna al difensore.
Per le considerazioni svolte il ricorso va dichiarato inammissibile con la conseguente
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali del ricorrente e – per i profili di
colpa insiti nella proposizione di siffatta impugnazione, manifestamente infondata-, di una
somma in favore della Cassa delle Ammende nella misura che si stima equo determinare in
Euro 1.000,00.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna Il ricorrente al pagamento delle spese del
procedimento e della somma di euro mille alla Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 5 dicembre 2012.

un’operazione antidroga, quindi appena un mese e mezzo prima delle ricerche per sottoporlo a

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