Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 13087 del 05/03/2014

Penale Sent. Sez. 6 Num. 13087 Anno 2014
Presidente: DI VIRGINIO ADOLFO
Relatore: APRILE ERCOLE

SENTENZA

sui ricorsi presentati da
1. A.A.
2. B.B.
3. M.M.

avverso la sentenza del 06/03/2013 della Corte di appello di Milano;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere Ercole Aprile;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Vito
D’Ambrosio, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso del M.M. ed il
rigetto degli altri due ricorsi.

RITENUTO IN FATTO
E CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Milano confermava la
pronuncia di primo grado del 25/09/2012 con la quale il Giudice dell’udienza
preliminare del Tribunale della stessa città aveva condannato alle pene di

Data Udienza: 05/03/2014

giustizia i tre imputati in relazione al reato di cui agli artt. 73, comma 1 bis, e
80, comma 2, d.P.R. n. 309 del 1990 per avere, in Milano il 05/03/2012:
– A.A. detenuto illegalmente 11,989 kg. di stupefacente del tipo
cocaina, sostanza di ingente quantità divisa in dieci distinti involucri e occultata
nello zaino portato in spalla;
– B.B. detenuto illegalmente 9,498 kg. di stupefacente del tipo cocaina,
sostanza di ingente quantità divisa in otto distinti involucri e occultata all’interno
di una borsa trovata all’interno della mercedes nella quale si trovava assieme al

– M.M.  detenuto illegalmente, oltre ai predetti 9,498 kg. scoperti
nell’auto nella quale si trovava assieme al Kelaj, altri 19,247 kg. di stupefacente
del tipo cocaina, sostanza di ingente quantità divisa in diciotto distinti involucri
rinvenuti nell’abitazione di via Govone 42, della cui chiave di ingresso aveva la
disponibilità.
Rilevava la Corte di appello come il sequestro delle tre partite di droga e
l’arresto dei tre prevenuti – trovati a pochi metri uno dall’altro e tutti in
prossimità del suddetto immobile – fosse avvenuto nell’ambito di una unitaria
operazione di polizia giudiziaria, che aveva consentito di scoprire che tutta quella
cocaina, contenente sostanza pura con una percentuale variabile tra il 68 ed il
90%, aveva un’uguale provenienza (essendo stati i pacchetti confezionati tutti
con le stesse modalità e recanti su una delle facce lo stesso simbolo, un’amaca
tra due palme), ed avessero dimostrato la colpevolezza di ciascuno dei tre
imputati in ordine alla detenzione della droga nel quantitativo innanzi precisato;
e come gli stessi non fosse meritevoli del riconoscimento delle circostanze
attenuanti generiche, né della riduzione della pena inflitta, come determinata dal
Giudice di prime cure.

Avverso tale sentenza hanno presentato ricorso tutti e tre gli imputati.

2. Il A.A., con atto sottoscritto personalmente, ha denunciato, con un unico
motivo, la violazione di legge ed il vizio di motivazione, per avere la Corte di
appello ingiustificatamente disatteso le richieste difensive con le quali erano stati
sollecitati il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e la riduzione
della pena irrogata dal primo giudice, in considerazione del comportamento
processuale dell’imputato e del quadro complessivo in cui si era inserita la
condotta criminosa del prevenuto.

3. il B.B., con atto sottoscritto dal suo difensore avv. Lino Terranova, ha
dedotto i seguenti due motivi.

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M.M.;

3.1. Violazione di legge, in relazione agli artt. 59, comma 2, cod. pen. e 80,
comma 2, d.P.R. n. 309 del 1990, e vizio della motivazione, per mancanza e
manifesta illogicità, per avere la Corte territoriale confermato la condanna del
B.B. in ordine al reato ascrittogli, benché lo stesso avesse ammesso di aver
accettato l’incarico di accompagnare, con la sua auto, il M.M. per effettuare la
consegna di una partita di cocaina, senza però alcuna consapevolezza in ordine
alla sua entità ponderale, dunque non potendo rispondere della aggravante della
ingente quantità.

motivazione, per mancanza e manifesta illogicità, per avere la Corte distrettuale
omesso di pronunciarsi sulla richiesta di esclusione della recidiva contestata
all’imputato, che, pur non incidente sul calcolo della pena, potrebbe avere altri
effetti di natura penale pregiudizievoli per il predetto.

4. Il M.M., con atto sottoscritto dal suo difensore Angelo Colucci, ha dedotto,
con un unico motivo, la violazione di legge, in relazione agli artt. 62 bis e 133
cod. pen., ed il vizio di motivazione, per avere la Corte lombarda rigettato la
richiesta di concessione delle attenuanti generiche e di rideterminazione della
pena finale in misura più congrua alle effettive caratteristiche del fatto ed alla
capacità a delinquere dell’imputato.

Ritiene la Corte che tutti e tre i ricorsi siano inammissibili.

5. Il motivo unico del ricorso presentato dall’imputato A.A. è manifestamente
infondato.
Il ricorrente ha preteso che in questa sede si proceda ad una rinnovata
valutazione delle modalità mediante le quali i Giudice di merito hanno esercitato
il potere discrezionale loro concesso dall’ordinamento ai fini del riconoscimento
delle circostanze attenuanti generiche e delle scelte sulla dosimetria della pena:
esercizio che deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura
sufficiente il pensiero del giudice in ordine all’adeguamento della pena concreta
alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo.
Nella specie, del tutto legittimamente la Corte di appello di Milano ha ritenuto
ostativo al riconoscimento delle attenuanti generiche e ad una riduzione della
pena inflitta l’estrema gravità dei fatti accertati e l’assenza di qualsivoglia dato
sul quale poter fondare un giudizio di benevolenza: parametri, questi, considerati
dall’art. 133 cod. pen., applicabile anche ai fini della definizione dell’ambito di
operatività dell’art. 62 bis cod. pen., rispetto ai quali è stato correttamente
giudicato ininfluente il fatto che lo A.A. abbia sostenuto di non poter rendere

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3.2. Violazione di legge, in relazione all’art. 99 cod. pen., e vizio di

dichiarazioni confessorie per timore di ritorsioni ad opera degli affiliati
all’organizzazione criminale albanese, cui evidentemente ha collegato l’iniziativa
del traffico di quell’ingente quantitativo di sostanza stupefacente e della quale ha
sostanzialmente riconosciuto di fare parte (v. pagg. 24-25 sent. impugn.).

6.1. Il primo motivo del ricorso presentato nell’interesse del B.B. è
inammissibile perché formulato per fare valere ragioni diverse da quelle
consentite dalla legge.

impugnazione, il vizio di mancanza o manifesta illogicità della motivazione della
decisione gravata, ma non prospettato alcuna reale contraddizione logica, intesa
come implausibilità delle premesse dell’argomentazione, irrazionalità delle regole
di inferenza, ovvero manifesto ed insanabile contrasto tra quelle premesse e le
conclusioni; né ha lamentato, come pure sarebbe stato astrattamente possibile,
una incompleta descrizione degli elementi di prova rilevanti per la decisione,
intesa come incompletezza dei dati informativi desumibili dalle carte del
procedimento.
Il ricorrente, invero, si è limitato a criticare il significato che la Corte di appello
di Milano aveva dato al contenuto delle emergenze acquisite durante le indagini
preliminari: tuttavia, bisogna rilevare come il ricorso, lungi dal proporre un
‘travisamento delle prove’, vale a dire una incompatibilità tra l’apparato
motivazionale del provvedimento impugnato ed il contenuto degli atti del
procedimento, tale da disarticolare la coerenza logica dell’intera motivazione, è
stato presentato per sostenere, in pratica, una ipotesi di ‘travisamento dei fatti’
oggetto di analisi, sollecitando un’inammissibile rivalutazione dell’intero
materiale d’indagine, rispetto al quale è stata proposta dalla difesa una
spiegazione alternativa alla semantica privilegiata dalla Corte territoriale
nell’ambito di un sistema motivazionale logicamente completo ed esauriente.
Questa Corte, pertanto, non ha ragione di discostarsi dal consolidato principio
di diritto secondo il quale, a seguito delle modifiche dell’art. 606, comma 1, lett.
e) , cod. proc. pen., ad opera dell’art. 8 della legge 20 febbraio 2006, n. 46,
mentre è consentito dedurre con il ricorso per cassazione il vizio di ‘travisamento
della prova’, che ricorre nel caso in cui il giudice di merito abbia fondato il
proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova
obiettivamente ed incontestabilmente diverso da quello reale, non è affatto
permesso dedurre il vizio del ‘travisamento del fatto’, stante la preclusione per il
giudice di legittimità a sovrapporre la propria valutazione delle risultanze
processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito, e considerato che,
in tal caso, si domanderebbe alla Cassazione il compimento di una operazione
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v

Il ricorrente solo formalmente ha indicato, come motivo della sua

estranea al giudizio di legittimità, qual è quella di reinterpretazione degli
elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione (così, tra le
tante, Sez. 3, n. 39729 del 18/06/2009, Belluccia, Rv. 244623; Sez. 5, n. 39048
del 25/09/2007, Casavola, Rv. 238215).
La motivazione contenuta nella sentenza impugnata possiede una stringente e
completa capacità persuasiva, nella quale non sono riconoscibili vizi di manifesta
illogicità, avendo la Corte ambrosiana analiticamente spiegato come il
consapevole concorso del B.B. nella detenzione dell’ingente quantitativo di

trovava con accanto il M.M., fosse stato comprovato dal fatto che il primo avesse
riconosciuto di essersi recato presso l’abitazione del secondo con l’intesa di
accompagnarlo a Brescia per effettuare la consegna di una partita di droga,
sicché era ragionevole pensare che sapesse che si trattava di un quantitativo di
così rilevante entità ponderale e di così elevato valore economico: sia perché non
era verosimile che il M.M., che non era certo inabilitato alla guida e che era
diventato il ‘punto di riferimento’ di una organizzazione criminale attiva nel
settore del narcotraffico internazionale, si facesse accompagnare, per realizzare
una così delicata operazione criminale, da un soggetto ignaro di quanto stava
accadendo e tanto meno da un mero tossicodipendente, così come il B.B. ha
cercato maldestramente di raffigurarsi; sia anche perché questi – che era stato
trovato con addosso, oltre che di due cellulari e di ben quattro schede
telefoniche, un bigliettino con il nome della via dove era stato poi fermato, ma
che era stato visto mentre era parcheggiato proprio di fronte all’abitazione del
M.M.- evidentemente sapeva quale fosse l’immobile dove sarebbe avvenuto
l’incontro, frutto di un consapevole accordo che era stato preventivamente
assunto dai due (v. pagg. 11-23 sent. impugn.).
Dunque, il risultato della lettura delle emergenze processuali si pone in
consonanza con i criteri di attribuibilità di una circostanza aggravante ai sensi
dell’art. 59, comma 2, cod. pen., trattandosi di elementi oggettivi dai quali è
stato congruamente desunta la prova della colpevolezza del soggetto attivo
anche in relazione alla circostanza contestata dell’ingente quantitativo di droga
codetenuta, dimostrando, con un grado di ragionevole prevedibilità concreta,
come la stessa aggravante fosse da lui conosciuta, ovvero, comunque, ignorata
per colpa o ritenuta inesistente per errore dovuto a colpa.

6.2. Il secondo motivo del ricorso del B.B. è inammissibile per carenza di
interesse, essendo pacifico che la recidiva produce i suoi effetti non in quanto sia

v

stata fatto oggetto di contestazione, bensì solo in quanto sia stata riconosciuta
sussistente dal giudice della cognizione, anche qualora sia stata giudicata

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cocaina trovatagli all’interno della sua vettura, alla guida della quale egli si

subvalente rispetto a circostanze attenuanti (così, tra le tante, Sez. 6, n. 3174
del 11/01/2012, Merlo, Rv. 251575).
Corretta e congruamente motivata appare, dunque, la decisione della Corte
lombarda che ha giudicato priva di pregio la specifica doglianza formulata dalla
difesa sul punto, avendo rilevato come il Giudice di primo grado non avesse
riconosciuto la recidiva contestata al B.B., né ne avesse tenuto conto al
momento del calcolo della pena da irrogare al prevenuto.

perché generico.
Nella giurisprudenza di legittimità si è avuto modo ripetutamente di chiarire
che il requisito della specificità dei motivi implica non soltanto l’onere di dedurre
le censure che la parte intenda muovere in relazione ad uno o più punti
determinati della decisione, ma anche quello di indicare, in modo chiaro e
preciso, gli elementi che sono alla base delle censure medesime, al fine di
consentire al giudice dell’impugnazione di individuare i rilievi mossi ed esercitare
il proprio sindacato (così, tra le tante, Sez. 3, n. 5020 del 17/12/2009, Valentini,
Rv. 245907, Sez. 4, n. 24054 del 01/04/2004, Distante, Rv. 228586; Sez. 2, n.
8803 del 08/07/1999, Albanese, Rv. 214249).
Nel caso di specie il ricorrente si è limitata ad enunciare, in forma molto
indeterminata e con un generico richiamo ai principi che regolano la materia, il
dissenso rispetto alle valutazioni compiute dalla Corte territoriale, senza
specificare gli aspetti di criticità di passaggi giustificativi della decisione, cioè
omettendo di confrontarsi realmente con la motivazione della sentenza gravata:
pronuncia con la quale erano stati analiticamente indicati i dati informativi – in
specie, la oggettiva gravità della condotta concernente la detenzione di un così
elevato quantitativo di cocaina, compra-venduta nel contesto della operatività di
una organizzazione dedita al narcotraffico internazionale, come confermato dalla
disponibilità, in capo all’imputato, anche di cinque apparecchi telefonici e di ben
cinque schede telefoniche spagnolo, chiaramente finalizzare a consentire i
contatti con altri sodali residenti all’estero (v. pagg. 18-20 sent. impugm.) – in
base ai quali fosse doveroso disattendere le richieste difensive.

8. Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi consegue, a norma dell’art.
616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento in favore dell’erario
delle spese del presente procedimento e ciascuno al pagamento in favore della
cassa delle ammende di una somma, che si stima equo fissare nell’importo
indicato nel dispositivo che segue.

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7. Il motivo unico del ricorso presentato nell’interesse del M.M. è inammissibile

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali e ciascuno della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle
ammende.

Così deciso il 05/03/2014

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