Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 130 del 05/12/2012


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 130 Anno 2013
Presidente: ZAMPETTI UMBERTO
Relatore: BONI MONICA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
1) BOI GIUSEPPE N. IL 01/09/1948
avverso l’ordinanza n. 105/2011 TRIB. SORVEGLIANZA di
CAGLIARI, del 21/06/2011
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MONICA BONI .;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.
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Uditi dife orAvv.;

Data Udienza: 05/12/2012

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Ritenuto in fatto

1.Con ordinanza resa il 21 giugno 2011 il Tribunale di Sorveglianza di Cagliari
dichiarava che il condannato Guiseppe Boi, detenuto in espiazione della pena di 28 anni
e 3 mesi di reclusione per effetto del provvedimento di cumulo, emesso dalla Procura
Generale presso la Corte d’Appello di Cagliari in data 23-8-2001, non ha collaborato con
la giustizia ai sensi dell’art. 58 o.p. e non si è trovato nell’impossibilità di fornire un’utile
collaborazione ai sensi dell’art. 4-bis o.p. ai fini dell’applicazione del beneficio della
semilibertà, per cui dichiarava inammissibile l’istanza di ammissione alla semilibertà
Il Tribunale fondava la propria decisione sul rilievo dell’avvenuta negazione da
parte del Boi di ogni partecipazione ai reati ascrittigli e quindi della propria
responsabilità, non ammessa nemmeno durante l’espiazione della pena, in contrasto
con quanto emerso nel corso dei giudizi e riportato nelle relative sentenze e quale
conseguenza di una propria deliberata scelta personale e non dall’impossibilità oggettiva
di rendere un’utile collaborazione.
2. Avverso tale provvedimento propone ricorso per cassazione l’interessato a
mezzo del proprio difensore, il quale deduce:
1) inosservanza dell’art.4 bis della L.354/1975, erronea applicazione dell’art. 58-ter, c.
1 della stessa legge ed insufficienza della motivazione per avere il Tribunale di
Sorveglianza eluso il dettato dell’art. 4-bis, c. 1-bis della L.354/75, secondo cui
l’avvenuto accertamento con sentenza irrevocabile dei fatti e responsabilità rendono
impossibile un’utile collaborazione e per non avere giustificato l’insussistenza del
presupposto dell’impossibilità di collaborare utilmente.
2) Violazione di legge in relazione al disposto degli artt. 27, c.I e 111, comma 4 della
Costituzione per non avere il Tribunale di Sorveglianza considerato che il divieto
normativo all’accesso alla semilibertà era entrato In vigore con il D.L. n 306
dell’8.06.92, convertito in L.356 del 07.08.92, successivamente alla commissione dei
reati per i quali egli sta espiando la pena e non avere tenuto conto dei principi enunciati
dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 137 del 22/4/1999, secondo la quale
dovevano ritenersi contrastanti con la funzione rieducativa della pena, sancita dall’art.
27 Cost., quelle modifiche legislative che, incidendo sul trattamento penitenziario già in
via di sviluppo, provochino una regressione di tale trattamento pure in assenza di una
condotta deviante del detenuto o dell’effettivo persistere della pericolosità sociale.
3. Con requisitoria scritta il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione,
dr. Enrico Delehaye, ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
Considerato in diritto

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dallo stesso presentata.

Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza.
1.11 provvedimento impugnato ha preso in esame in modo corretto e con analitica
esposizione delle ragioni giustificatrici l’istanza dell’interessato e, partendo dall’analisi
delle norme di cui agli artt, 58-ter o.p. e 4-bis o.p., ha concluso per l’insussistenza dei
presupposti di legge per ammetterlo al beneficio della semilibertà, in quanto, da un lato
gli accertamenti contenuti nelle sentenze irrevocabili e le informazioni fornite dalla
Procura della Repubblica consentivano di escludere che egli avesse prestato qualsiasi
forma di collaborazione con la giustizia, avendo al contrario ostinatamente negato ogni
responsabilità, dall’altro non ricorreva nemmeno l’impossibilità di collaborazione, che
nella vicenda di sequestro a scopo di estorsione addebitatagli, che lo aveva posto in
condizioni di chiarire le relative circostanze, sia nel corso delle indagini, che durante
l’istruttoria dibattimentale prima della sentenza di condanna, per cui l’assenza di
collaborazione non era dipesa da situazione cogente ed oggettiva, ma da una sua scelta
personale, valorizzabile in negativo.
1.1. A fronte di tali rilievi il ricorso si limita a riproporre la questione della
collaborazione impossibile in ragione del fatto che nei vari processi per il medesimo
reato di sequestro di persona l’autorità giudiziaria aveva comunque fatto piena luce sul
reato e sui responsabili: in tal modo articola argomentazioni aspecifiche, che non
riescono a dimostrare l’impossibilità o l’irrilevanza probatoria dl eventuale collaborazione
e non superano le pertinenti e motivate valutazioni contrarie contenute nel
provvedimento impugnato.
1.2 Si ricorda in punto di diritto che, con riferimento all’accesso a determinati
benefici penitenziari, questa Corte ha precisato la necessità “che nell’istanza il
condannato prospetti, almeno nelle linee generali, elementi specifici circa l’impossibilità
o l’irrilevanza della sua collaborazione tanto da consentire il superamento delle
condizioni ostative all’esame del merito alla luce dei principi espressi nelle sentenze n.
306 del 1993, 357 del 1994 e 68 del 1995 della Corte costituzionale, non essendovi
dubbio che solo in tal caso è possibile valutare se la collaborazione del condannato sia
impossibile perché fatti e responsabilità sono già stati completamente acclarati, o
irrilevante perché la posizione marginale nell’organizzazione criminale non consente di
conoscere fatti e compartecipi pertinenti a livello superiore ( Cass., sez. 1., n. 10427 del
24/2/2010, P; in proc. C., rv. 246397; sez. 1, 12 febbraio 2008, n. 18658, Sanfilippo,
rv. 240177; sez. 1, n. 1545 dell’1/3/2000, Russo, rv. 215815).
Alla luce di tali condivisibili principi deve ritenersi che il Tribunale abbia offerto una
corretta interpretazione ed applicazione delle norme di riferimento e redatto una
motivazione congrua, pertinente e logica, immune dai vizi denunciati col ricorso.
2. Il ricorrente assume poi che il regime limitativo dell’accesso ai benefici

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avrebbe potuto essere prestata utilmente, stante l’accertato ruolo di rilievo assunto

penitenziari, introdotto dal d.l. 306/92 conv. nella I. 356/92, non sarebbe applicabile
alla propria condizione di detenuto per reati commessi nel 1991 e che al momento
dell’entrata in vigore del testo normativa aveva già intrapreso il percorso riabilitativo
durante il trattamento inframurario, i cui esiti rieducativi sarebbero stati compromessi
dalla sottoposizione a disciplina sui benefici penitenziari più severa in contrasto con la
funzione rieducativa della pena.
Ebbene, non giova al ricorrente il richiamo alla sentenza della Corte Costituzionale
n. 137 del 14/4/1999, che ha in effetti dichiarato l’illegittimità dell’art. 4-bis, comma 1
della legge di ordinamento penitenziario per l’applicazione ai detenuti che al momento
regressione del trattamento anche in assenza di condotte devianti del detenuto o di
persistente pericolosità sociale. Il ricorrente trascura che alla data di entrata in vigore
della nuova disciplina, dichiarata incostituzionale nella parte già descritta, egli non era
ancora sottoposto ad esecuzione, essendo stato tratto in arresto nel 1994 in attesa del
giudizio di cognizione, che si sarebbe concluso con la sentenza del 6/5/1999,
irrevocabile il 29/9/2000. Né ha fondamento la pretesa di vedere regolata l’esecuzione
della pena in base allo statuto normativa vigente al momento di commissione del reato,
atteso che il rapporto esecutivo, necessariamente successivo all’illecito per la necessità
di attendere la formazione del titolo giudiziale, resta regolato dalla disciplina esistente al
momento della sua attuazione.
Per le considerazioni svolte il ricorso risulta inammissibile per manifesta
infondatezza e tale va dichiarato con la conseguente condanna del ricorrente al
pagamento delle spese del procedimento e – per i profili di colpa insiti nella proposizione
di siffatta impugnazione, manifestamente infondata-, di una somma in favore della
Cassa delle Ammende nella misura che si stima equo determinare in Euro 1.000,00.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
del procedimento e della somma di euro mille alla Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 5 dicembre 2012.

della sua entrata in vigore avevano già in corso il trattamento penitenziario con

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