Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1269 del 05/12/2012


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 1269 Anno 2013
Presidente: AGRO’ ANTONIO
Relatore: DI STEFANO PIERLUIGI

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) LESMO MAURIZIO GIOVANNI N. 27/7/1964
2) ROTTA CARLO N. 11/8/1950
3) PUPI GIUSEPPE N. 7/5/1961
4) MARRONE NATALE N. 10/6/1962
5) LUONI ROBERTO N. 15/9/1962
6) DE POLI GIANLUIGI N. 24/5/1964
PARTE CIVILE: COMUNE DI MILANO
avverso la sentenza n. 3071/2011 della CORTE DI APPELLO DI MILANO del
8/7/2011
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso
udita in camera di consiglio del 14/11/2012 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. PIERLUIGI DI STEFANO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. NICOLA LETTIERI che
ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio delle sentenze di primo e
secondo grado nei confronti di Lesmo e Rotta e l’annullamento con rinvio della
sentenza di appello nei confronti delle altre parti.
Udito l’avv. AGOSTINO GESSINI sostituto dell’avv. Stefania Bramati per Puoi
che ha concluso chiedendo raccoglimento del ricorso.
Udito l’avv. ALESSANDRO CESARIS per Lesmo che ha concluso chiedendo
raccoglimento del ricorso.
Udito l’avv. DARIA PESCE per Luoni e De Poli che ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso.

Data Udienza: 05/12/2012

a

RITENUTO IN FATTO

La Corte di Appello di Milano con sentenza dell’ 8.7/19.9.2011 confermava,
salvo dichiarare un reato prescritto, la sentenza di condanna emessa dal
Tribunale di Milano il 17 giugno 2009 a carico di Lionetto Vito Francesco ed altri
otto imputati.
Il processo nasceva dalle attività di indagine svolte nel corso del 2005 a

carico di un dipendente della provincia di Milano, Lionetto Vito (non ricorrente in
questa sede) adibito, nell’ambito dei servizi tecnici nel settore rifiuti ed energia,
alla trattazione di pratiche in tema di impianti di autodemolizioni e smaltimento
dei rifiuti.
Gli inquirenti partivano dal sospetto che il Lionetto avesse rapporti diretti
con le imprese interessate alle attività di istituto e le inducesse a servirsi di
consulenze svolte da società da lui indicate; l’ipotesi trovava conferma in quanto
si accertava che veniva favorita in modo particolare una società di consulenza
che, seppure formalmente in titolarità di Scaramuzzi Adriano (anche lui imputato
ma non ricorrente in questa sede), in realtà era gestita in società di fatto anche
dal Lionetto; tale circostanza risultava dall’esito di una perquisizione che
dimostrava che Lionetto lavorava abitualmente per la società di consulenza,
avendo un suo spazio di lavoro nei relativi locali, e che ne divideva le spese di
gestione.
Sulla scorta delle ulteriori indagini sviluppate a seguito di tali prime
acquisizioni, in particolare con attività di intercettazione telefonica ed ambientale
e servizi di osservazione sul territorio, gli inquirenti individuavano condotte
penalmente rilevanti, contestando varie ipotesi di reati contro la pubblica
amministrazione, in particolare corruzioni e abusi di ufficio nell’ambito dei
rapporti del Lionetto, nella qualità, con varie aziende esercenti attività di
autodemolizioni o gestione dei rifiuti.
I fatti per i quali si è proceduto consistono in vicende sostanzialmente
autonome tra loro, per cui si valutano solo quelle di diretto interesse in questa
sede perché contestate agli odierni ricorrenti, esponendole separatamente con
l’indicazione dei motivi di ricorso dei ricorrenti interessati.

Luoni – De Puoi!; contestazioni di cui ai capi G), Z), AA). Episodio corruttivo
del Lionetti ad iniziativa del consulente libero professionista Luoni Roberto e
dell’imprenditore De Poli Gianluigi.
Si contestava al Lionetto il reato di corruzione ex art. 319 cod. pen. perché,
dietro compenso di denaro, “s/ rendeva disponibile a far visionare” un fascicolo in
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Ly

originale relativo ad una attività di discarica della ditta De Poli. Agli imprenditori
Luoni Roberto e De Poli Giuseppe veniva contestata, ai sensi dell’alt. 321 cod.
pen., la promessa di denaro od altra “pubblica” utilità per “visionare il fascicolo
relativo alla discarica De Poli, volendo la stessa attivare un nuovo impianto”.

La sentenza di primo grado, cui quella di appello faceva rinvio
sintetizzandone gli argomenti, riferiva che De Poli, gestore della omonima ditta,
tramite il proprio consulente Luoni Roberto, aveva interesse a conoscere il
poi trasformata in discarica per materiali inerti. Tale discarica, sfruttata dalla
ditta De Poli, era chiusa da molti anni ed il fascicolo che la riguardava, assegnato
al Lionetto nella fase di passaggio delle competenze per le discariche dalla
Regione alla Provincia, era rimasto senza esito ed archiviato dal 1994.
Vi era interesse del De Poli alla conoscenza del fascicolo ancora in possesso
della Provincia poiché voleva riaprire nuovamente tale discarica ed aveva
necessità di comprendere in cosa consistesse la irregolarità amministrativa che
aveva impedito in passato il rilascio dell’autorizzazione (è poi risultato che il
problema era il mancato pagamento della fideiussione necessaria per l’apertura
della discarica).
Secondo la sentenza di primo grado, alcune telefonate intercettate
provavano che il consulente aziendale Luonl aveva chiesto al Lionetto di
visionare il fascicolo archiviato offrendogli una ricompensa; era anche dimostrata
la circostanza che il fascicolo era stato effettivamente prelevato per esser portato
ai soggetti interessati perché la polizia giudiziaria lo aveva notato all’interno della
vettura del Lionetto in occasione della installazione dei dispositivi per
l’intercettazione ambientale; e, comunque, il fatto storico della consegna del
fascicolo era confermato dagli stessi accusati che, però, negavano che vi fosse
stata una offerta di denaro per ottenere tale visione.
Il Tribunale riteneva che si fosse palesemente davanti ad un atto contrario ai
doveri di ufficio perché veniva consentita la visione del fascicolo laddove “il
privato avrebbe dovuto inoltrare una richiesta alla pubblica amministrazione
volta ad ottenere l’autorizzazione a visionare il fascicolo o estrarre copia degli
atti dello stesso”.

Gli imputati si sono difesi dicendo che la loro volontà era, banalmente, il
risparmio di tempo ottenuto per conoscere le informazioni necessarie. I
movimenti di soldi tra gli imputati che erano stati accertati in fase di indagine,
secondo la difesa, trovavano diversa giustificazione in quanto De Poli riferiva
che Lionetto lo aiutava a predisporre i MUD (vedasi telefonata del 3.3.05) e che
per detta attività gli forniva un rimborso spese che Lionetto comunque non
documentava e per il quale non gli rilasciava fattura.
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contenuto di un fascicolo della Provincia relativo ad una vecchia attività di cava

Il Tribunale riteneva evidente che vi fosse stata la promessa di una somma
di denaro per l’attività contraria ai proprio doveri di ufficio svolta da Lionetto e
della partecipazione al fatto non solo di Luoni, ma anche di De Poli, secondo
quanto risultava da telefonate che venivano trascritte e brevemente commentate
(conversazioni del 16.2.05 e 3.3.05 tra Lionetto e Luoni: “… evidente che Luoni
prometteva a Lionetto una ricompensa per l’interessamento di quest’ultimo, il
quale, a sua volta, accetta la promessa affermando che successivamente se la
Lionetto ritiene che è meglio parlarne tutti e tre a quattr’occhi. Il momento
consumativo del reato va quindi individuato nella accettazione della predetta
promessa” “E’ del tutto evidente che De Poli fosse a conoscenza della promessa
di denaro o altra utilità offerta da Luoni a Lionetto per l’attività dallo stesso
svolta, in quanto, come emerge dalle predette telefonate, Lionetto stesso ebbe
ad insistere con Luoni che si sarebbe “messo a posto” personalmente con De
Poli, con cui Lionetto dopo la predetta telefonata ebbe a parlare, per poi
incontrarsi tutti e tre gli imputati nel maggio del 2005 per discutere del fascicolo
dato In visione da Lionetto”).
La sentenza di appello nel condividere la valutazione del Tribunale, riteneva
“fuor di dubbio che, su sollecitazione e nell’interesse del privato, Lionetto avesse
recuperato dall’archivio del suo ufficio l’incartamento della pratica precedente
riguardante la ditta del De Poli”.
Sotto vari profili la Corte di appello riteneva tale condotta illegittima:
– Un fascicolo non può essere portato fuori dell’ufficio.
Non può essere consegnato in originale al privato.
Tali condotte creano un rischio di falsificazione.
I privati possono chiedere la copia degli atti.
È fatto notorio che un fascicolo non possa essere portato a casa del
privato interessato
il Lionetto, nella prospettiva della Corte, “compiva quindi un atto contrario ai
doveri di ufficio, violando le norme sull’accesso alla documentazione in possesso
del suo ufficio”. Pertanto confermava la sentenza di primo grado.
Il difensore di Luoni Roberto e De Poli Gianluigi propone ricorso
deducendo, con primo motivo, la violazione di legge per erronea applicazione
dell’art. 321 cod. pen. nonché per vizio di motivazione.
Ritiene innanzitutto che la condotta, in base a quanto emerge dagli atti, non
possa qualificarsi come ritenuto dai giudici di merito trattandosi di una pratica
esibita al consulente dell’unica parte legittimata a visionare l documenti in essa
contenuti. Quanto contestato è invece avvenuto nell’ambito di un legittimo
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vedrà con de Poli, Luoni ribadisce che da parte sua non ci sono problemi, ma

rapporto di collaborazione tra privato e p.a..
Inoltre è stata data una interpretazione illogica di una conversazione in cui
non vi è alcun specifico riferimento a una promessa riferibile alla visione del
fascicolo, trovando pacificamente ragione i rapporti tra Lionetto e De Poli in
precedenti rapporti di amicizia.
La sentenza della Corte è, poi, carente anche per la assenza di risposta sugli
specifici motivi di appello proposti dai ricorrenti non essendosi tenuto conto che,
nel rispetto della regola della “autosufficienza del ricorso”, non emerge alcuna
promessa ed il Luoni pronuncia una frase di circostanza, mal interpretata.
Nessun elemento concreto viene indicato dai giudici di merito per dimostrare
che vi sia stata la promessa e, tantomeno, che sia stata accettata.
Con secondo motivo la difesa deduce l’erronea applicazione dell’art. 321
cod. pen. e la manifesta illogicità della motivazione con riferimento alla ritenuta
responsabilità di De Poli.
Rileva come la Corte abbia ritenuto l’interesse del De Poli, sulla cui base si
giunge poi ad affermare il necessario concorso nella presunta promessa di
denaro in favore del pubblico ufficiale, in base alla titolarità dell’interesse
economico all’avanzamento della pratica, non tenendosi conto che, al contrario,
De Poli non aveva alcun interesse economico collegato al visionare un fascicolo al
quale aveva diritto di accedere.
La sentenza, comunque, non individua alcuna prova del passaggio di
denaro o della relativa promessa.
Del resto, nel corso della telefonata in cui vi sarebbe la presunta promessa
con la responsabilità anche del De Poli, il Luoni chiede al Lionetto un aiuto per
comprendere lo stato delle cose ma non chiede affatto di avere accesso al
fascicolo, bensì è il Lionetto che, in via autonoma e solo dopo la richiesta di
aiuto, ritiene opportuno farlo visionare.
Lesmo – Rotta. Contestazione di cui al capo U). Un episodio di corruzione
propria diversamente qualificato come abuso di ufficio ascritto a Lionetto Vito,
Lesmo Maurizio e Rotta Carlo, i primi due quali tecnici della Provincia di Milano, il
terzo quale loro concorrente, a vantaggio della società 1P8.
Lionetto Vito, Lesmo Maurizio e Rotta Carlo venivano tratti a giudizio per Il
capo U), qualificato come corruzione propria, assumendosi che Lionetto e
Lesmo, quali tecnici della Provincia di Milano settore rifiuti ed energia, e perciò
pubblici ufficiali, e Rotta quale presidente della commissione urbanistica ed
edilizia privata del comune di Milano e perciò anch’egli pubblico ufficiale,
ricevevano somme di denaro, i primi due tramite il Rotta, per importi comunque
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come da intercettazione che la difesa trascrive nuovamente nel corpo del ricorso

superiori a C 1000, per compiere “ripetutamente atti contrari i loro doveri di
ufficio” in relazione a “pratiche della società IPB di Pettinato Giovanni e Pettinato
Carmine relative all’impianto mobile” di tale azienda “con particolare riferimento
agii accorgimenti da adottare per la riduzione dell’ammontare della fideiussione”
nonché per la “definizione del procedimento penale sorto a seguito di un
sopralluogo della polizia provinciale”.
Il Tribunale, invece, disponeva la condanna riqualificando il fatto quale
mentre il Rotta partecipava quale privato. In particolare, escluso il rilievo della
vicenda relativa alla definizione del procedimento penale (condotta ritenuta
insussistente), l’abuso di ufficio consisteva nell’avere Lionetto e Lesmo
effettuato attività di consulenza per la società IPB, attività in sé lecita essendo
autorizzati, ma in conflitto di interessi con l’ente di appartenenza.
La sentenza di primo grado dava atto che, come riferito dalla teste della
polizia giudiziaria Martinoia, Rotta Carlo era consulente di diverse società
operanti nel settore rifiuti, tra le quali la 1PB dei Pettinato, esercente attività di
messa in riserva di rifiuti speciali pericolosi e non, la cui pratica presso la
provincia (quanto all’impianto fisso) era assegnata al Lionetto e, dal 2004, anche
a Lesmo Maurizio.
La pratica di interesse in questa sede riguardava la richiesta di
autorizzazione di un impianto mobile di frantumazione di materiali inerti; il
relativo fascicolo risultava però assegnato ad altri funzionari della provincia,
Pisoni e Costa, e non agli imputati.
Secondo quanto testimoniato dalla polizia giudiziaria, in tale stesso periodo il
Lionetto coinvolgeva Lesmo per predisporre i documenti necessari alla pratica di
interesse della IPB ricevendo dal consulente dell’azienda, Rotta, la somma di
euro 1000 con promessa di corresponsione di una identica somma ad
autorizzazione ottenuta.
Nello stesso periodo, un’altra questione di interesse dei Pettinato riguardava
il procedimento penale aperto a loro carico per una gestione dei rifiuti speciali in
modo irregolare su di una diversa area in disponibilità della loro impresa.
Con riferimento a tale seconda vicenda, la contestazione iniziale era che il
medesimo Rotta, con l’aiuto dei due coimputati, avesse cercato “scorciatoie”
presso la polizia provinciale per ottenere trattamenti di favore, ma, non
essendovi stato alcun risultato utile per dimostrare la sussistenza di tale reato, il
tribunale disponeva l’assoluzione.
Per quanto riguarda invece la vicenda relativa all’impianto mobile, si
accertava che le attività genericamente contestate nel capo di imputazione, poi
specificate dal testimoni nel corso del dibattimento, erano riferibili all’interesse
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abuso di ufficio, in cui solo Lesmo e Lionetto intervenivano quali pubblici ufficiali

della IPB dl individuare una modalità per la riduzione della fideiussione che
doveva essere necessariamente prestata per l’ottenimento del provvedimento
autorizzatorio; tale attività era del tutto lecita in quanto la questione era
semplicemente quella di aiutare l’azienda a comprendere per quali specifici
materiali convenisse chiedere l’ autorizzazione al trattamento al fine di ottenere
un minore importo della fideiussione stessa; tale importo è, infatti,
automaticamente collegato alle varie attività che le imprese richiedenti chiedono
fideiussione sarebbe scesa ad un valore più accettabile.
In ogni caso, non vi erano prove di alcun intervento “extra ordinem” in
quanto i predetti Costa e Pisoni, funzionari incaricati della pratica IPB e sentiti
quali testimoni, non parlavano di eventuali pressioni su di loro da parte degli
imputati.
Il Tribunale, però, individuava comunque una irregolarità nelle attività dei
ricorrenti: in base all’interrogatorio reso da Lesmo, difetti, accertava che Lionetto
gli aveva proposto di predisporre la richiesta di autorizzazione per l’impianto
mobile della IPI3 nonché il documento per la sicurezza per la medesima azienda;
tale attività, secondo il Lesmo, che ne riferiva per difendersi dall’accusa di
corruzione, non aveva a che fare con il proprio lavoro d’istituto e la poteva
svolgere, anche sotto il profilo della regolarità del suo rapporto di lavoro, senza
dover chiedere alcuna autorizzazione ad hoc in quanto era dipendente a tempo
parziale, essendo soltanto tenuto a non svolgere attività in conflitto con quella
dell’ente. La attività commissionatagli doveva essere pagata euro 2500.
Quindi, in conclusione, il Tribunale escludeva l’attività contraria ai doveri di
ufficio accertando, invece, che Lionetto e Lesmo ebbero a realizzare attività
“extraistituzionale”, in relazione alla presentazione delle richiesta di
autorizzazione per l’impianto mobile e che Rotta e Lionetto avevano ammesso di
essersi accordati per l’espletamento di questa sorta di “consulenza ambientale”
per un compenso di euro 2500.
Ma, pur escluso che Lionetto e Lesmo avessero violato i doveri di ufficio
rispetto allo svolgimento di un procedimento amministrativo di cui non erano
formalmente assegnatari, per il Tribunale ricorreva Il reato di cui all’articolo 323
cod. pen., esclusa per Rotta la qualifica di pubblico ufficiale, per essere stata
svolta una attività di consulenza “senza dubbio vietata dalla legge e dal
regolamenti”, in relazione all’impianto mobile della 1PB in conflitto con l’attività
posta in essere dagli stessi tecnici che erano stati incaricati di attività di istituto
in relazione all’impianto fisso_della stessa IPB.
Il vantaggio patrimoniale conseguito dai pubblici ufficiali era individuato con
certezza in euro 1.000,00, anticipo sulla maggiore somma sopra indicata. Rotta
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di svolgere e, se la IPB avesse rinunciato a trattare alcuni materiali, la

era certamente concorrente avendo lui stesso proposto a Lionetto l’espletamento
dell’attività oggetto di esame, ottenendo così un proprio ingiusto profitto,
potendo confidare nelle maggiori possibilità di buon esito della pratica a lui
commissionata dalla IPB. Sul punto la sentenza di primo grado afferma “E’ del
tutto evidente che fu proprio la possibilità di poter far affidamento su canali
preferenziali, accessibili solo ai pubblici ufficiali, che determinò Rotta a proporre
l’Incarico a Lionetto, al fine di essere in tal modo coadluvarlo nella propria
Anche in questo caso la sentenza di appello richiamava e confermava le
valutazioni dei giudici di primo grado, precisando ulteriormente come vi fosse
una incompatibilità assoluta a svolgere qualsivoglia attività extraistituzionale da
parte di Lionetto e Lesmo in relazione all’impianto mobile ed arricchiva le
valutazioni in ordine alla illegittimità della condotta osservando che “La condotta
abusiva era consistita nel trattare da privati una pratica del proprio ufficio,
proponendosi anche di intervenire presso i colleghi che la stavano gestendo”
ottenendo una maggior retribuzione “legata appunto a quel qualcosa in più che i
due potevano garantire con gli opportuni Interventi all’interno del proprio ufficio,
e ricavandone il privato il vantaggio della cura della pratica da parte di funzionari
pubblici che potevano influire sull’iter della stessa.”.
Sulle questioni che la difesa poneva in ordine alla correttezza della modifica
della contestazione, la Corte osservava che, pur se la condotta in origine
contestata era stata quella di avere compiuto atti contrari ai doveri di ufficio in
relazione alle pratiche della Provincia relative all’impianto mobile della IPB dei
fratelli Pettinato,

“Dalla ricostruzione della vicenda si poteva e si doveva

pertanto ricavare che la pratica in questione fosse anche quella ritenuta dal
Tribunale, quella cioè relativa all’Impianto mobile in generale”.
Per Il resto, la Corte confermava la contestata illiceità della condotta e
l’illiceità del vantaggio patrimoniale che ne era conseguito ritenendo che gli
imputati si erano potuti difendere sui fatti valutati in sentenza; in conseguenza,
rigettava gli appelli.
Contro la sentenza hanno proposto ricorso sia Lesmo che Rotta.
Il difensore di Lesmo Maurizio, con primo motivo, deduce la violazione di
legge per la violazione del principio di correlazione tra l’ imputazione contestata
e la sentenza.
Ritiene che vi sia stata una radicale modifica del fatto, ricorrendo
esattamente le ragioni del divieto di tale mutamento in quanto la linea difensiva
nel processo era stata sviluppata in ordine all’addebito di cui al capo U) ma la
condanna era stata inflitta per tutt’altra vicenda risultando così impossibile, oltre
che la verifica del corretto esercizio dell’azione penale, anche l’esercizio della
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opera”.

difesa nel contraddittorio. Rileva, difetti, che sono mutati sia la condotta che
l’evento nonché l’elemento psicologico.
In particolare, mentre le condotte materiali originariamente contestate
erano di aver ricevuto il ricorrente somme di denaro per la soluzione favorevole
della pratica relativa all’impianto mobile di frantumazione nonché per favorire la
definizione di un procedimento penale, e tali condotte sono state ritenute del
tutto insussistenti in sentenza, la condanna è stata disposta per le altre condotte
di consulenza in ipotesi non consentita perché In conflitto con l’attività dell’ente
presso il quale Lesmo e Lionetti operavano.
Oltre alla assoluta diversità del fatto, il ricorrente rileva la impossibilità di
difendersi in merito alle nuove accuse: la linea difensiva era diretta a dimostrare
la estraneità dell’impianto mobile alla autorizzazione in questione ed a
dimostrare la diversa causale della dazione di denaro oggetto di imputazione.
L’esercizio di adeguata difesa rispetto al fatto per il quale vi era stata condanna
comportava, invece, la necessità di discutere dei limiti degli incarichi
extraistituzionali del dipendenti pubblici, della questione del conflitto di interessi,
del collegamento funzionale tra i due impianti della ditta in questione in quanto il
ricorrente per l’uno aveva un ruolo istituzionale e per l’altro aveva svolto attività
extra ufficio.
Con secondo motivo lamenta la violazione di legge ed Il vizio di motivazione
per l’errore di applicazione dell’art. 323 cod. pen. nonchè la illogicità della
motivazione ed il travisamento delle risultanze Istruttorie. La Corte non ha
tenuto conto della totale assenza di nesso funzionale tra impianto mobile ed
Impianto fisso della IPB risultando così di palese inconsistenza il ragionamento
della Corte in ordine al conflitto di interessi.
Inoltre la Corte non ha indicato in alcun modo in cosa sia consistita una
attività antidoverosa nell’esercizio delle funzioni o del servizio, avendo solo
parlato di un generico interesse privato.
La Corte, poi, non ha valutato che il Lesmo era stato incaricato soltanto della
redazione del documento programmatico sulla sicurezza, ciò non toccando in
alcun modo la attività di istituto ritenuta in conflitto di interessi.
Erronea è stata anche la valutazione in ordine alla ingiustizia del vantaggio
economico in quanto la somma corrisposta al ricorrente per la redazione del
documento sulla sicurezza era assolutamente congrua rispetto ai prezzi di
mercato e successivamente ridotta per la insoddisfazione del committente.
La motivazione della Corte è stata comunque insufficiente laddove si limita
di fatto a richiamare la decisione emessa in primo grado senza un adeguato
argomentare sulle ragioni esposte nei motivi di appello.
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individuate in corso di istruttoria, ovvero lo svolgimento di una presunta attività

Con terzo motivo rileva la illogicità della motivazione che, per negare la
applicazione delle attenuanti generiche e la riduzione della pena inflitta ha fatto
acritico riferimento alla gravità della condotta.
Con quarto motivo lamenta la violazione dell’articolo 606 lettere d) ed e) in
relazione alla mancata assunzione di prove decisive di cui la difesa aveva fatto
richiesta nell’atto di appello ed in relazione all’omessa motivazione in punto di
diniego della rinnovazione istruttoria; si trattava delle prove rese necessarie
dalla modifica della imputazione, in particolare:
limiti e condizioni di utilizzabilità degli impianti mobili autorizzati;
– sulla configurabilità del conflitto di interesse e sulla possibilità di
autorizzare l’attività di consulenza svolta dal ricorrente; a tale fine aveva
richiesto l’audizione del responsabile della direzione centrale del personale e dei
sistemi informativi della provincia di Milano.
Sull’ oggetto della specifica attività di consulenza svolta e sulla congruità
del compenso.
Si trattava di prove sopravvenute avendo ad oggetto temi divenuti rilevanti
solo dopo la riqualificazione giuridica operata dal tribunale.
Con memoria depositata successivamente il difensore ha formulato
osservazioni in ordine alla decorrenza del termine di prescrizione, assumendo
che il reato sia prescritto dal 13 ottobre 2012 o, comunque, dal 20 novembre
2012.
Rotta Carlo nel ricorso presentato personalmente deduce con primo motivo
la violazione degli artt. 268 e 271 cod. proc. pen. per essere inutilizzabili le
Intercettazioni telefoniche sull’utenza a lui in uso per la insufficiente motivazione
del primo decreto autorizzativo e per la carenza assoluta di motivazione dei
successivi decreti.
Gli stessi – vizi sono riferibili alle Intercettazioni ambientali a carico del
Lionetto ed alle intercettazioni telefoniche a carico di Lesmo, parimenti utilizzate
a carico del ricorrente.
Con secondo motivo deduce la violazione di legge in relazione agli artt. 521
e 522 cod. proc. pen. per palese violazione del principio di correlazione attesa la
diversità del fatto storico ritenuto in sentenza sotto il profilo della condotta,
dell’evento e dell’elemento psicologico rispetto a quel che aveva contestato il
pubblico ministero.
Con terzo motivo lamenta la violazione di legge ed il vizio di motivazione
perché, a fronte dei propri motivi di appello sulla assenza di concorso sia sotto il
profilo oggettivo che soggettivo, non vi era stata risposta in sentenza. In
particolare, rammentava di aver dedotto che vi era in ogni caso assenza di dolo

lo

– collegamento funzionale tra impianto mobile ed impianto fisso, nonché

perché in quanto privato il ricorrente non era gravato dall’obbligo di conoscere
norme che regolano l’attività della pubblica amministrazione e dei suoi
dipendenti.
Con il quarto motivo deduce la carenza di motivazione in ordine alla
mancata applicazione attenuanti generiche ed in ordine alla quantificazione della
pena.
Pupi – Marrone. Capi V e W. Un episodio di corruzione ascritto a Lionetto,
Pupi e Marrone, i primi due quali dipendenti pubblici, il terzo quale privato.
un nuovo impianto in Desio. Nel corso delle attività necessarie al rilascio delle
relative autorizzazioni Pupi Giuseppe, responsabile tecnico dell’Arpa, intervenne
per conto di tale ente esprimendo parere positivo in relazione agli scarichi idrici
in sede di conferenza dei servizi. Nella medesima conferenza di servizi
Interveniva il Lionetto che, per conto della Provincia, esprimeva inizialmente
parere negativo.
Rilasciata comunque l’autorizzazione, nel marzo 2004 Marrone iniziava la
costruzione del nuovo impianto ma i lavori venivano interrotti a seguito di
ordinanza di sospensione del comune di Desio essendo state accertati difformità
dei lavori edili.
A seguito di un sopralluogo effettuato da parte del Lionetto, che esprimeva
parere favorevole per “variazioni non sostanziali”, la Provincia emetteva un
“nullaosta”.
Il Tribunale prendeva atto che la testimone Martinoia aveva riferito che “la
realizzazione di un progetto In difformità delle prescrizioni autorizzative integra
una violazione di carattere penale” ma che Lionetto aveva però rilasciato il
nullaosta alle predette varianti così eliminando le irregolarità che impedivano la
realizzazione dell’impianto.
La sentenza di primo grado osservava che l’irregolarità, di natura edilizia,
era la traslazione del capannone in corso di edificazione di 3 metri rispetto al
progetto giungendo così ad una distanza dalla fascia di rispetto di 7 metri
anziché 10 metri. Inoltre non vi era corrispondenza della posizione dell’impianto
di pesatura nonché dell’altezza del capannone, risultata maggiore dell’assentito.
In tale gestione delle attività del Marrone, il trattamento che, a parere della
citata testimone, risultava di “favore” ed attribuibile al Lionetto, “sarebbe
consistito nel non aver comunicato alla autorità giudiziaria l’esistenza di
irregolarità, sia dal punto di vista edilizio, sia del rispetto delle prescrizioni un
progetto approvato”.
Su questi presupposti, il Tribunale individuava i seguenti elementi
comprovanti un rapporto illecito alla base di tale trattamento di “favore”:
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Marrone Natale, esercente l’attività di autodemolizione, intendeva realizzare

- Un elemento significativo viene indicato in quanto visto da un operante
della polizia giudiziaria che il 24 dicembre 2005, nel corso di un servizio di
osservazione, vide il Lionetto prelevare, in corrispondenza dell’esercizio di
autodemolizione del Marrone, “una cassetta di frutta fornitagli verosimilmente da
Marrone”.
– Altro operante della polizia giudiziaria riferiva di aver effettuato un
servizio di osservazione di un incontro tra Marrone e Lionetto disposto in seguito
all’ascolto di telefonate tra Lionetto e Pupi in cui si faceva riferimento, sospetto
somma di C 70.000, all’aver ricevuto euro 10/15 mila ed alla opportunità di
rincontrare tale persona. Secondo quanto ascoltato nelle telefonate, al predetto
Incontro tra Marrone e Lionetto doveva essere presente anche il Pupi ma
quest’ultimo non si presentava.
– In una successiva conversazione tra Lionetto e Pupi, si parlava di
“caramelle” da dividere metà a testa; i due prendevano un appuntamento e,
grazie all’osservazione della polizia giudiziaria, si notava che Lionetto si recava a
Milano, in Via Panfilo Castaldi, ove prelevava due ragazze che portava con sé
presso un bar di Desio, ove si incontrava con Pupi e Marrone.
– Il giorno 25 marzo 2005, in corrispondenza agli Incontri tra Marrone e
Lionetto, vi era stato un versamento in contanti di euro 500 sul conto corrente
del medesimo Lionetto.
Nel ricostruire compiutamente la vicenda il Tribunale precisava che, nella
fase precedente l’ottenimento della autorizzazione stessa, non erano emersi
affatto atti contrari ai doveri di qualsivoglia pubblico ufficiale.
Le Irregolarità erano invece emerse, secondo il Tribunale, con riferimento
alle attività successive al rilascio della autorizzazione: ritenuto che le modifiche,
che definiva di “variante sostanziale” al progetto iniziale, costituissero violazione
edilizia, affermava che

“Lionetto, esprimendo un parere favorevole alla

autorizzazione alle predette varianti, che quale tecnico era consapevole che non
potessero ritenersi non essenziali, ebbe a realizzare un atto contrario ai propri
doveri di ufficio.” SI è difatti valorizzato come Lionetto dichiari : ”

si è preso

atto della costruzione del manufatto che risulta per superficie uguale a quella
autorizzata, lo spostamento dell’edificio ” Ma,

per il Tribunale, tale

affermazione risulta falsa atteso che, essendo le altezze maggiori rispetto al
progetto originario, un aumento di volumetria era stato certamente realizzato.
Poste tali premesse risultavano decisive le telefonate intercettate da cui si
evinceva un rapporto di confidenza tra Lionetto e Pupi, ed altresì
l’interessamento di entrambi ai lavori di costruzione dell’impianto di Marrone, che
gli imputati chiamano confidenzialmente ” /’ amico Fritz”, impianto in relazione al
12

perché chiaramente “in codice”, ad un soggetto chiamato “amico Fritz”, alla

quale, si legge in motivazione, Lionetto e Puoi “svolgono una precisa attività
istituzionale anche di controllo.”
Per il Tribunale le telefonate dimostravano con certezza che Lionetto e Pupi
parlavano di Marrone che in breve tempo sarebbe entrato in possesso di 70.000
euro e, secondo la sequenza letterale e logica delle frasi, gli stessi facevano
riferimento ad una promessa di denaro fatta a loro dall’imprenditore: “Sempre
Marrone è II soggetto che li ha ricompensati attraverso la corresponsione della
somma di “cinque più cinque”, evidentemente si tratta di 10.000,00 euro, che gli
“Non solo gli imputati omettono di denunciare l’attività Illecita realizzata da
Marrone ed in relazione alla quale rivestono il ruolo di controllori, omettendo
quindi un atto dovuto del loro ufficio, ma, addirittura, In vario modo cercano di
interessarsi ( contattando vari soggetti del Comune) al fine di agevolare
Marrone.
La conclusione è che

provato che Marrone per detto

“Risulta

interessamento ha promesso a Lionetto e Pupi denaro, promessa senza dubbio
accettata, circostanza riscontrata con certezza dalle espressioni utilizzate dagli
Imputati. Pupi e Lionetto sperano quindi di ottenere una ulteriore somma (che
auspicano ammontare ad almeno 10.000 euro) se riescono a “risolvergli”
l’attuale problema, per il quale entrambi si attivano prontamente. ….
Quindi il 29.3.05 alle 16,30 vi è presso il bar di Desio l’incontro tra Marrone
Pupi e Lionetto, occasione in cui, verosimilmente, Lionetto consegna “le
caramelle” a Pupi ( vedasi ” . e facciamo due cose in uno”). Vi è
certezza dell’effettuazione da parte del Lionetto nel settembre del 2004 di un
atto contrario al propri doveri di ufficio, che permise a Marrone di proseguire
nella costruzione dell’impianto di autodemolizione.
E’ altresì certo che sia Lionetto che Pupi, titolari della pratica relativa
all’impianto di autodemolizione di Marrone e, pertanto, altresì controllori
dell’attività posta in essere da Marrone, ebbero a percepire prima del gennaio del
2005 denaro da Marrone. .. Non esiste spiegazione alternativa”
La sentenza di appello, al rinvio fatto alla motivazione della sentenza di
primo grado, aggiungeva le seguenti valutazioni:
– Il parere favorevole formulato da Lionetto e da Pupi in rappresentanza
degli enti di appartenenza si scontrava con l’opposizione del Comune di Desio a
cui non era stata data comunicazione dell’autorizzazione. La prova del concorso
proviene dal contenuto delle conversazioni intercorse fra i due pubblici
funzionari.
– Del resto sarebbe stato sufficiente un sopralluogo del Lionetto e anche del
Pupi per bloccare l’attività del Marrone la cui autorizzazione non aveva ancora
13

interlocutori ritengono “esigua”.”

acquisito efficacia, rientrando la verifica della conformità al progetto nella
specifica competenza d’ufficio del Lionetto, tanto che, nel suo sopralluogo,
valutava le varianti edilizie proposte dal Marrone, e concorrendo il Pupi in tale
Illecita condotta, evitando ogni intervento del proprio ufficio, consapevole
anch’egli della situazione di illegalità
Avverso tale sentenza Pupi Giuseppe ha presento ricorso personalmente.
Con primo motivo rinnova la già eccepita inutilizzabilità delle intercettazioni

essere stata effettuata la attività di intercettazione con impianti esterni alla
Procura senza una adeguata motivazione delle ragioni di tale scelta.
Con secondo motivo rileva il travisamento dei fatti ed il difetto di
motivazione sugli elementi che dovrebbero dimostrare la responsabilità del
ricorrente.
Rileva che la condanna è fondata su una erronea valutazione delle
intercettazioni e che la Corte d’Appello non tiene conto che, dal marzo 2004,
Pupi aveva esaurito la sua attività istituzionale e non poteva in alcun modo
agevolare la pratica del Marrone.
Inoltre la Corte omette di valutare la deposizione del superiore del Pupi,
ingegner Cigada, il quale aveva riferito della regolarità delle attività svolte dal
ricorrente nel caso di specie; omette di valutare la deposizione del teste Vecchio
che aveva riferito degli esiti negativi degli accertamenti bancari e delle
perquisizioni in danno del Pupi; non tiene conto che nessun altro dei testimoni ha
fatto riferimento ad accertamenti positivi nel confronti del Puoi; non tiene conto
del dato evidente che la realizzazione di opere edili non ha alcun riferimento alle
competenze Arpa.
Nel ritenere la responsabilità di Pupi, la Corte di Appello fa riferimento
generico alle intercettazioni senza indicare quale contenuto sia significativo nei
suoi confronti e, soprattutto, non indica quale sia il possibile interesse del Pupi
nella vicenda e, comunque, la ragione per la quale il Lionetto avrebbe dovuto
dividere la somma elargita dal Marrone per le proprie attività in frode.
Il ricorrente, poi, esamina il contenuto delle intercettazioni telefoniche
osservando che da quelle non considerate rilevanti dalla Corte emerge invece
che la cifra di euro 70.000 cui fanno riferimento i giudici di merito è, in realtà,
l’importo corrispondente alla garanzia finanziaria stabilita dalla Provincia per il
rilascio dell’autorizzazione; inoltre, laddove la Corte fa riferimento a
conversazioni il cui contenuto sarebbe inequivocabilmente relativo alle attività di
Marrone, osserva come dagli stessi colloqui emergano una serie di relazioni fra
Lionetto e Puoi che giustificano il loro discorso per cui non vi è alcuna ragione
per la quale possa apoditticamente sostenersi che continuino a parlare del
3.4

telefoniche per violazione del terzo comma dell’articolo 268 cod. proc. pen. per

Marrone.
All’esito dell’esame anche delle altre conversazioni, il ricorso conclude
affermando la totale assenza di motivazione e, comunque, che non è emersa
alcuna prova delle condotte contestate, non avendo Rupi conoscenza delle
varianti edilizie del progetto del Marrone per la ovvia ragione che l’attività
dell’ARPA non riguarda l’abusivismo edilizio; quindi non aveva né obbligo di
verifica né di denuncia.
Con terzo motivo la difesa rileva che non vi è stata adeguata valutazione
grave dell’art.318.
Con quarto motivo deduce la nullità della sentenza per mancata applicazione
attenuanti generiche e per la eccessività della pena.
Anche Marrone Natale ha presentato ricorso personalmente deducendo, con
primo motivo, la violazione di legge in riferimento all’articolo 192 cod. proc. pen.
nonché il vizio di motivazione anche sotto il profilo del travisamento della prova.
Rileva che il giudice di primo grado, in riferimento alla disposizione
dirigenziale 74-2004, aveva testualmente affermato come non fosse emersa
alcuna attività contraria ai doveri di ufficio di alcun pubblico ufficiale mentre la
Corte d’Appello ha invece ritenuto Illecita la condotta con cui è stata disposta
l’autorizzazione in variante 122-2004 per regolarizzare i lavori eseguiti In
modifica essenziale rispetto all’originario progetto.
Erroneamente la Corte d’Appello aveva ritenuto che il ricorrente fosse
responsabile per aver ottenuto la autorizzazione grazie ad una dazione di denaro
a Pupi e Lionetto laddove non vi è alcuna prova indicativa di dazioni, salva la
irrilevante consegna di una cassetta di arance e, comunque, nessuna
conversazione dimostra accordi per ottenere la utilità della mancata segnalazione
da parte di Marrone di irregolarità nei lavori in cambio di somme di denaro. Lo
stesso riferimento alla unica somma individuata, la somma di euro 500 versata
in banca il 25 marzo 2005, viene indicata solo come verosimilmente proveniente
dal Marrone in favore del Lionetto. Si è fatto l’erroneo uso di una motivazione
solo per relationem senza valutazione delle argomentazioni difensive e con l’uso
di presunzioni generiche.
Con secondo motivo deduce la nullità della sentenza per la mancata
applicazione delle attenuanti generiche nella determinazione della pena.
RITENUTO IN DIRITTO
Luoni De PLICM; contestazioni di cui ai capi G), Z), AA). Episodio corruttivo
del Lionetti ad iniziativa del consulente libero professionista Luoni Roberto e
15

della configurabilità del reato di cui all’art. 319 cod. pen. anzichè quello meno

dell’imprenditore De Poli Gianluigi.
I motivi proposti sono fondati quanto ai dedotti vizi di motivazione,
ricorrendo, a parte la palese insufficienza della esposizione delle ragioni per
ritenere le prove idonee a fondare l’accusa, soprattutto l’assorbente
travisamento della prova per il palese errore, ricavabile dal testo della sentenza,
nella lettura delle conversazioni intercettate e trascritte nel provvedimento,
errore dal quale consegue la complessiva illogicità della ricostruzione.
La valutazione di quanto dedotto nei due motivi di ricorso va fatta
seguito esposte, di disporre l’annullamento senza rinvio della sentenza.
Innanzitutto è carente la motivazione perché vengono trascritte le
conversazioni intercettate, pressoché unico elemento sul quale è fondata la
decisione di condanna, e le stesse, senza alcuna valutazione critica, vengono
assertivamente ritenute provare l’accusa.
La semplice trascrizione delle intercettazioni senza specificazioni sulla
ragione per la quale il loro contenuto dimostra una data tesi può essere ritenuta
una motivazione accettabile laddove, effettivamente, chiarezza della
conversazione e linearità della vicenda in oggetto consentano di affermare
l'”autoevidenza” della prova stessa; ma, certamente, non è quel che ricorre nel
caso di specie.
Va premesso che correttamente la difesa rileva come sia erroneo il punto di
partenza del giudicante che vede con sospetto il colloquio tra il responsabile del
procedimento e la parte Interessata. Ed invece, nel contesto della vicenda
amministrativa quale desumibile dal provvedimento impugnato, ricorre la
astratta “normalità” dell’avere il responsabile di un procedimento consentito alla
parte privata l’accesso alla conoscenza del suo contenuto. La irregolarità, quindi,
andrebbe valutata sotto il profilo della modalità, eventualmente anomala, di
accesso agli atti.
Di tale erronea impostazione è indice la stessa poca chiarezza della
contestazione in quanto il capo G), dopo aver individuato varie tipologie di atti
contrari ai doveri di ufficio commessi dal Lionetto, descrive la vicenda in esame
che, però, né corrisponde a quelle tipologie, né ne viene chiarito quale sia il
profilo di contrarietà ai doveri di ufficio della sua condotta.
In conseguenza, la sentenza di appello ricerca ragioni di illegittimità con
affermazioni generiche e, peraltro, non del tutto comprensibili, a dimostrazione
della difficoltà di individuare l’in sé della contestazione (un fascicolo non può
essere portato fuori dell’ufficio/ Non può essere consegnato in originale al
privato/ Tali condotte creano un rischio di falsificazione/ I privati possono
chiedere la copia degli atti/ È fatto notorio che un fascicolo non possa essere

congiuntamente anche perché il complessivo esame consentirà, per le ragioni di

portato a casa del privato interessato).
E’ quindi corretta l’osservazione della difesa che, con semplicità, fa notare
come il normale obbligo di collaborazione della P.A. con il privato richiedente
renda assolutamente legittima tale attività. La corresponsione di denaro per
l’attività stessa, ovviamente, crea profili di illegittimità essendo vietato dalla
legge penale in modo assoluto ogni ipotesi di dazione finalizzata al compimento
di atti di ufficio, ma non è la dazione in sé che qualifica l’atto come contrario ai
Prima però di affrontare la correttezza o meno della motivazione laddove
sembra individuare l’atto contrario ai doveri di ufficio nell’ aver consentito la
visione del fascicolo fuori dei locali della Provincia oppure la estrazione di copie
senza presentazione di specifica richiesta e l’eventuale pagamento di diritti di
copia laddove previsti, deve osservarsi che vi è un assoluto travisamento del
contenuto delle intercettazioni:
a pagina 8 della sentenza impugnata si legge chiaramente nella trascrizione
della conversazione di interesse (senza necessità di “interpretazione”) che Luoni
rappresenta al Lionetto che vi è l’esigenza di comprendere la situazione
amministrativa dell’area in questione ed è Lionetto che autonomamente afferma
di aver notato tra gli atti in suo possesso, e destinati al macero, il vecchio
fascicolo (quello del 1994) nel quale, afferma, andrà a vedere quale era la
situazione facendo eventualmente qualche fotocopia.
Dopo un più ampio discorso riguardante il tema della possibilità di realizzare
l’impianto e dell’interessamento del Llonetto sotto i profili tecnici, Luoni dice
(vedi pag. 10 nella sentenza) “poi ovviamente per.. Per tutto quello che mi
concerne la … La tua parte …. ” e Lionetto risponde “sì, sì. Come la vedo io col
De Poli” e Luoni risponde “ma puoi anche vedertela con me”.
Nella sentenza di appello, del resto come in quella di primo grado, si ritiene
tale intercettazione “auto evidente” nel dimostrare l’accusa (“E’ qui evidente che
Luoni prometteva a Lionetto una ricompensa per il Interessamento, una
promessa che Lionetto subito accettava. Si consumava così il reato contestato”)
e, rispondendosi alle specifiche deduzioni dell’atto di appello, si afferma

“Era

infatti fuor di dubbio che, su sollecitazione e nell’Interesse del privato, Lionetto
avesse recuperato dall’archivio del suo ufficio l’incartamento della pratica
precedente riguardante la ditta del De Poli …. visione che non si sarebbe mai
potuta ottenere nelle forme in cui Lionetto aveva consentito che si attuasse, in
concorso con Luoni e De Poli” (vedi pagg. 74 e 75 della sentenza di appello).
A parte la evidente carenza di motivazione, risulta invece che nella
conversazione il contenuto immediato e chiaro è diverso ed è il seguente (il tipo
di vizio impone la valutazione in merito di questa Corte):
17

doveri di ufficio.

- è Lionetto a dire nel corso della conversazione che ha notato, fra gli atti
destinati al macero, il vecchio fascicolo relativo alla discarica, circostanza quindi
che non era nota a Luoni prima della conversazione.
– Non vi è alcun collegamento diretto fra tale messa a disposizione del
fascicolo e la promessa di un pagamento in quanto la relativa parte della
conversazione si riferisce ad altre attività che svolgerà il Lionetto a favore del De
Poli.
Quindi la affermazione che vi sia stata una previa condotta di accordo con il
visionare un fascicolo che De Poli aveva comunque diritto a visionare N non è
affatto provata dalla citata conversazione.
Tale conversazione, apoditticamente ritenuta utile all’accusa, è stata l’unico
elemento di prova per dimostrare che la visione del fascicolo (pacificamente
ammessa dagli imputati) ha fatto parte di un accordo corruttivo.
Tale travisamento quindi ha comportato una motivazione assolutamente
Illogica laddove ritiene dimostrata l’ipotesi di accusa.
In base a quanto sopra, correttamente considerata l’intercettazione, la
stessa risulta di contenuto incontrovertibilmente contrario alla tesi di accusa
senza necessità di alcun apprezzamento in merito di questa Corte; non residuano
altri elementi che dimostrino l’accordo corruttivo e, più in generale, la contrarietà
ai doveri di ufficio nella condotta di avere fatto conoscere alla parte del
procedimento amministrativo i relativi atti, non coperti da segreto e, al contrario,
destinati al macero per la assenza di interesse della P.A. ad archiviarli e
conservarli.
Ritiene in conseguenza il Collegio che l’annullamento che necessariamente
consegue a quanto sopra detto debba essere pronunziato senza rinvio. Risulta
evidente che la ricostruzione da parte della Corte di Appello è sostanzialmente
priva di elementi fattuali a sostegno, risultando quelli utilizzati elementi
inesistenti o mal valutati.
Dal testo della sentenza non risulta residuare alcuna possibilità di colmare
tali vizi logici e, soprattutto, emerge la totale assenza di elementi a sostegno
dell’accusa. Non risulta che vi possano essere ulteriori sviluppi per cui, anche a
seguito di nuova valutazione in un eventuale giudizio di rinvio, appare
sostanzialmente impossibile giungere ad una conclusione diversa dall’assoluzione
con formula liberatoria perché il fatto non sussiste (Sez. U, n. 452 76 del
30/10/2003 – dep. 24/11/2003, P.G., Andreotti e altro; Sez. 6, n. 37098 del
19/07/2012 – dep. 26/09/2012, Conti, Rv. 253380)
CAPO U) Un episodio di corruzione propria diversamente qualificato come
18

De Poli perché, dietro corresponsione di una somma di denaro, Lionetto facesse

abuso di ufficio ascritto a LIONETTO VITO, LESMO MAURIZIO e ROTTA CARLO, i
primi due quali tecnici della Provincia di Milano, Il terzo quale loro concorrente, a
vanta gaio della società 1PB.
I ricorsi proposti da Lesmo e Riotta possono essere valutati congiuntamente
in quanto sono fondati sia i motivi in ordine alla violazione delle regole in tema di
correlazione tra l’imputazione contestata e la sentenza che in ordine alla
insussistenza del reato per cui vi è stata condanna.

laddove contesta l’utilizzabilità delle intercettazioni telefoniche reiterando i motivi
già proposti in sede di appello senza confrontarsi con le argomentazioni offerte
dalla sentenza impugnata che, in specifico paragrafo, affronta ampiamente tale
tema.
Sono fondati i motivi proposti da entrambi i ricorrenti quanto alla assenza di
correlazione tra imputazione e sentenza.
Nella esposizione della vicenda processuale si è riferito di come la iniziale
contestazione fosse sia per il Lesmo che per il Riotta, quest’ultimo nella qualità di
componente di una commissione urbanistica, di avere compiuto non meglio
identificati atti contrari ai doveri di ufficio al fine di favorire le pratiche
amministrative della società IPB

“con particolare riferimento agli accorgimenti

da adottare per la riduzione dell’ammontare della fldejussione”

per il rilascio

dell’ autorizzazione per un impianto mobile di triturazione di rifiuti speciali
provenienti da attività edilizia; e si è detto che, una volta accertato nel corso del
processo che i ricorrenti (ed il coimputato Lionetto) non avevano In affidamento
alcuna pratica per conto dei propri rispettivi uffici con riferimento al dato
oggetto, la condanna è invece stata disposta ritenendo i giudici di merito che
ricorresse un caso di abuso di ufficio ex art. 323 cod. pen. per aver svolto
Lionetto e Lesmo (e Notte istigato) attività di consulenza privata che, seppure
loro consentita nell’ambito del loro rapporto di lavoro con l’ente pubblico era
svolta, secondo i giudici di merito, in un generico conflitto di interessi con l’ente
di appartenenza avendo i medesimi Lesmo e Lionetto la gestione di pratiche della
società IPB per l’impianto fisso.
Si premette che la questione della nullità ai sensi dell’art. 522 cod. proc.
pen. per la condanna disposta per fatto diverso non contestato al sensi degli artt.
516 e 517 cod. proc. pen. è stata prontamente eccepita con i motivi di appello
nel rispetto, quindi, della disciplina sulle nullità a regime intermedio (tale è la
nullità ex art. 522 cod. proc. pen.: Sez. 6, n. 31436 del 12/07/2012 – dep.
01/08/2012, Di Stefano, Rv. 253217); con i motivi di appello è stata anche
chiesta la ammissione delle nuove prove riferibili alle nuove circostanze indicate
19

Il primo motivo di cui al ricorso di Riotta Carlo è manifestamente infondato

con la sentenza di primo grado.
I motivi sono fondati risultando evidente l’assoluta diversità del fatto
contestato e del fatto per Il quale è intervenuta condanna.
La Corte di Appello su tale punto ha fornito una motivazione solo apparente,
in quanto si limita a riferire “dalla ricostruzione della vicenda si poteva e si
doveva pertanto ricavare che la pratica in questione fosse anche quella ritenuta
dal tribunale, quella cioè relativa all’Impianto mobile in generale anche perché le
supposte ulteriori specificazioni, tali non erano. Riguardo alla prima, fideiussione,
resto si era riconosciuto la contestata illiceità della condotta e l’illiceità del
vantaggio patrimoniale che ne era conseguito. Tutto come da imputazione. Fatti
peraltro, quelli riconosciuti In sentenza, su cui l’imputato si era potuto
difendere”.
Ovvero, la condotta sarebbe la stessa in quanto caratterizzata dalla stessa
connotazione di “illiceità” così come anche la “illiceità” del vantaggio patrimoniale
confermerebbe che il fatto sia restato immutato.
Quindi, non viene data in alcun modo risposta ai motivi specifici di appello,
pur dandosi atto che una modifica della imputazione vi sia stata, affermandosi
però, con mera clausola di stile, che si tratta di fatti sui quali gli imputati si erano
potuti difendere.
A parte la assoluta carenza di motivazione, risulta dalla sentenza come la
condotta originariamente contestata e quella per la quale è intervenuta
condanna siano radicalmente diverse.
Nell’originale imputazione si contestava agli imputati di aver compiuto atti
contrari ai doveri di ufficio nell’espletamento di pratiche amministrative
(rispettivamente per la Provincia e per la commissione edilizia del Comune di
Milano) mentre, nella sentenza di condanna, si contesta a Lionetto e Lesmo di
aver svolto una consulenza privata che non doveva essere da loro svolta per il
possibile contrasto di interessi rispetto alla attività svolta per l’ente pubblico.
Anche l’evento è diverso nell’un caso contestandosi l’ottenimento da parte
della IPB di una illecita determinazione della misura della fideiussione dovuta
(così pare intendersi da un capo di imputazione non particolarmente preciso) e,
nell’altro caso, l’ottenimento di informazioni in sé lecite (le modalità migliori per
fornire, lecitamente, una fideiussione per una minore importo), ma da parte di
chi non doveva offrire la propria consulenza:
“La 1PB avrebbe tratto dalla attività posta in essere dai pubblici ufficiali un
ingiusto beneficio derivato dal fatto che la predisposizione della documentazione
e quanto necessario per ottenere la autorizzazione da parte dei soggetti che
svolgano la loro attività Istituzionale nel settore, o meglio nella specifica
20

all’impianto fisso della seconda, il procedimento penale, altra area”. Quanto al

procedura, o In altra ad essa collegata, necessariamente forniscono maggiori
garanzie circa il buon esito della pratica.
Rotta poi, proponendo l’espletamento dell’attività oggetto di esame a
Lionetto, a sua volta, aveva ottenuto un ingiusto profitto, partecipando alla
condotta materialmente posta in essere dal pubblico ufficiale, poiché il prevenuto
poteva, comunque, confidare nelle maggiori possibilità di buon esito della
pratica, attività allo stesso commissionata dalla IPB, e che egli ritenne di
condividere con gli imputati proprio per questo motivo”.
non alla “diversità” del fatto disciplinato dall’articolo 516 cod. proc. pen. che ne
consente la contestazione in corso di Istruzione dibattimentale, ma alla assoluta
“alterità” di cui all’articolo 518 del codice trattandosi di un fatto nuovo e
radicalmente diverso da quello in origine contestato, se del caso da cumularsi, e
non sostituirsi, alla originale contestazione ai sensi dell’ art. 518 cod. proc. pen..
Si tratta, indubbiamente, non di qualificare diversamente la medesima condotta
pur parzialmente mutata, ma di rilevare che, nel corso della istruttoria su una
ipotesi di corruzione, si è accertato che tale condotta corruttiva non vi è stata in
quanto altri erano i soggetti incaricati della pratica amministrativa sospetta. E di
rilevare, poi, che nel corso della indagine sui pubblici funzionari sospetti si è
appurato che costoro avevano svolto le pur legittime attività di consulenza “extra
moenia” in favore di un soggetto per il quale, per attività diverse da quella
oggetto di consulenza, svolgevano una sostanziale attività di controllo per conto
dell’ente di appartenenza.
Pertanto, nel caso di specie, non ricorreva un’ipotesi in cui il giudice potesse
disporre condanna dando al fatto, ai sensi dell’art. 521 cod. proc. pen. , una
diversa definizione giuridica.
Peraltro, anche a ritenere che la ipotesi di fatto diverso possa rientrare nel
diverso concetto di “mutamento” del fatto pur se trasformato radicalmente nei
suoi elementi essenziali, ricorre la condizione di incertezza sull’oggetto dell’
imputazione che comporta un reale pregiudizio dei diritti della difesa (S. U. sent.
16 del 22/10/1996). Si rammenta che la Corte di Appello, nella trattazione dei
profili in diritto del tema in questione, fonda la pretesa regolarità della modifica
della contestazione proprio sulla possibilità di effettiva difesa in sede di giudizio
di appello; ma, per quanto siano state sviluppate difese sulla nuova vicenda per
la quale era intervenuta condanna, la Corte di Appello non ha accolto, peraltro
non motivando al riguardo, il motivo di appello consistente nella richiesta di
ammissione di quelle prove che apparivano obiettivamente necessarie per
potersi difendere dalla nuova accusa; in particolare quanto ai mezzi di prova per,
accertare gli ambiti in cui era riconosciuta la possibilità al ricorrente Lesmo di
21

Nel definire, quindi, il tipo di diversità di imputazione, va fatto riferimento

svolgere attività di consulenza privata e la effettiva sussistenza del conflitto di
interessi genericamente rilevato dal giudice di primo grado.
E’, comunque, assorbente il tema della assoluta diversità della condotta che
era stata contestata in sede di rinvio a giudizio; in conformità a quanto accertato
con le sentenze di primo e secondo grado, che hanno escluso che tale corruzione
vi sia stata, doveva pronunciarsi l’assoluzione perché il fatto non sussiste. Le
sentenze di merito, difatti, non procedono ad un effettivo mutamento di
contestazione (caso in cui sarebbe applicabile la regola di cui all’art. 522 cod.
affermano che l’episodio di corruzione non vi è stato e poi passano ad esaminare
l’altro fatto.
In conclusione, ritenuto appunto che vi sia stato un accertamento definitivo
di insussistenza del fatto e che erroneamente è stata disposta condanna per un
fatto radicalmente diverso, applicando quindi erroneamente l’ipotesi di cui
all’articolo 521 primo comma cod. proc. pen., la sentenza deve essere annullata
senza rinvio non residuando ulteriori attività di accertamento del merito dando
atto in dispositivo della formula assolutoria quale emergente dalla stessa
sentenza impugnata.
Va comunque considerato, per escludere l’applicazione dell’articolo 521 2°
comma cod. proc. pen. laddove tale disposizione prevede che la “diversità” del
fatto comporta la trasmissione degli atti al P.M. e, in ogni caso, per escludere
l’obbligo di trasmissione degli atti nel caso di accertamento di fatto costituente
reato nel corso della istruttoria dibattimentale, che la condotta per la quale è
stata disposta condanna comunque non è un fatto costituente reato.
Sotto tale profilo, quindi, va considerata la fondatezza anche del secondo
motivo proposto con il ricorso Lesmo.
Le sentenze di merito hanno definito la condotta illecita emersa in corso di
dibattimento in “realizzare una attività di consulenza senza dubbio vietata dalla
legge e dai regolamenti, attività in conflitto con quella dell’ente … in relazione
all’impianto fisso, per Il quale risultavano essere i tecnici della Provincia. Non vi è
dubbio alcuno che consulenze siffatte non potevano essere autorizzate .. La
violazione di norme e regolamenti da parti degli imputati nel caso di specie era di
tutta evidenza, palese anche per il profano in materia”.
Salva ogni questione in ordine alla violazione delle regole interne dell’ente
ed alla regolarità di espletamento di attività privata alle tali condizioni (che è
proprio ciò che Lesmo chiedeva di provare con il motivo di appello specifico
rimasto senza risposta), il fatto accertato sicuramente non costituisce il reato di

ti

abuso di ufficio ai sensi dell’art. 323 cod. pen.. Come testualmente previsto da
tale disposizione di legge, la condotta deve essere commessa dal pubblico
22

proc. pen. che prevede la declaratoria di nullità della sentenza) ma prima

ufficiale “nello svolgimento delle funzioni o del servizio”, laddove si discute di una
condotta tenuta al di fuori dello svolgimento delle attività di Istituto, ancorché, in
ipotesi, in contrasto con la stessa.
Pertanto, poiché il diverso fatto che si assume accertato in corso di processo
palesemente non costituisce il reato ritenuto dalle sentenze di merito, non deve
essere adottata l’ordinanza di trasmissione degli atti ai sensi dell’art. 521 20
comma cod. proc. pen. o dell’art. 331 cod. proc. pen.

Pupi e Marrone, i primi due quali dipendenti pubblici, il terzo quale privato.
Premessa la manifesta infondatezza del primo motivo del ricorso di Pupi per
le medesime ragioni svolte a proposito della analoga doglianza del Rotta, va
accolto il secondo motivo con cui si deduce il travisamento delle prove
emergente dallo stesso testo della sentenza impugnata nonché la complessiva
insufficienza di motivazione.
La Corte di Appello ritiene la responsabilità di Puoi, ma non specifica in
modo adeguato quale sia la condotta per la quale il ricorrente è stato
condannato. Per quanto il capo di imputazione facesse riferimento ad una
condotta del Pupi di violazione dei doveri del proprio ufficio per la realizzazione
delle opere edili da parte del Marrone, innanzitutto la sentenza di primo grado,
per come riportata e richiamata nella sentenza impugnata, riteneva che in realtà
non vi fosse stata alcuna condotta anomala svolta dal Pupi nella propria qualità
ma un concorso nella attività del Lionetto, unico soggetto cui si attribuiva una
presunta attività contraria ai doveri di ufficio. La sentenza di appello sembra,
invece, innanzitutto affermare che la attività di Pupi abbia avuto rilevanza ai fini
dell’ottenimento della “autorizzazione” da parte del Marrone (“L’iter della pratica
nonostante il parere favorevole formulato da Lionetto e da Pupi in
rappresentanza degli enti di appartenenza si scontrava con l’opposizione del
Comune di Desio a cui non era stata data comunicazione dell’autorizzazione.”)
ma non offre argomenti per contestare quanto risultante da altre parti della
sentenza, ove si osserva che la contrarietà del predetto Comune, connessa alla
destinazione urbanistica della data area, non aveva alcun collegamento con le
attività per le quali intervenivano Lionetto e Pupi (il primo, peraltro, con parere
contrario e non favorevole come invece affermato a pagina 83 della sentenza di
appello) .
Certamente, invece, non emerge in alcun punto della sentenza impugnata
né dalla sentenza di primo grado, dalla prima richiamata ed ampiamente
sintetizzata, né quale sia una eventuale attività diretta di Pupi che abbia in
qualche modo favorito l’attività “edilizia” del Marrone né In quale modo il Pupi
23

Pupi – Marrone. Capi V e W. Un episodio di corruzione ascritto a Lionetto,

abbia concorso nella diversa presunta attività di violazione dei propri doveri di
ufficio da parte del Lionetto. La Corte, infatti, si limita ad affermare che “La

prova del concorso proviene però, ed è prova davvero Inequivoca, dal contenuto
delle conversazioni intercorse fra i due pubblici funzionari* senza chiarire in che
cosa il Pupi concorresse.
Tale indicazione non si può desumere né dal riferimento che la Corte fa al
presunto interessamento di Pupi e Lionetto alle attività del Marrone né da quanto
riportato alla pagina 84 “sarebbe stato sufficiente un sopralluogo del LIONETTD e

aveva ancora acquisito efficacia” perché anche qui non si dice quale attività
avrebbe dovuto svolgere ed invece non aveva inteso svolgere il Pupi (privo di
qualsiasi competenza di ufficio in materia di edilizia).
Sempre alla stessa pagina 84 della sentenza impugnata si afferma che “la

verifica della conformità al progetto nella specifica competenza d’ufficio del
Lionetto, tanto che nel suo sopralluogo valutava le varianti edilizie proposte dal
Marrone, e concorrendo il Pupi in tale illecita condotta, evitando ogni intervento
del proprio ufficio”, ma si tratta di affermazione che è assolutamente contraria a
quanto accertato con la medesima sentenza sia in ordine alle competenze
specifiche del Lionetto (non aveva competenza per la attività edilizia) che alle
competenze del Pupi (che, si ribadisce, di altro si interessava e, comunque, non
si indica alcuna sua specifica attività né in proprio né in ausilio al Lionetto).
Inoltre, per quanto il vizio di motivazione risulti già sotto il profilo della
mancata individuazione in sentenza della condotta in violazione dei doveri di
ufficio e nella affermazione di circostanze che non appaiono conformi ai fatti
quali accertati in sentenza, non appaiono prima facie infondate le osservazioni
della difesa in ordine alla carenza di motivazione sulla interpretazione delle
intercettazioni laddove si afferma la assoluta evidenza dei riferimenti al Marrone
ed alle dazioni di denaro da parte di costui in favore del ricorrente.
Si impone, quindi, l’annullamento con rinvio della sentenza con riferimento
alla posizione del Pupi, dovendo il giudice di rinvio eventualmente individuare ed
offrire una adeguata motivazione in ordine a quali siano le specifiche condotte
contrarie ai doveri di ufficio del Pupi ovvero, valutando il rispetto delle regole in
tema di correlazione tra fatto accertato ed imputazione originaria, quale sia stata
la condotta di concorso nella attività di violazione del doveri di ufficio da parte
del Lionetto (tenuto conto di quanto appresso si dirà in ordine alla posizione del
Marrone) e, laddove ritenga dimostrata la condotta di violazione dei doveri di
ufficio, dovrà valutare anche la corretta interpretazione delle conversazioni
intercettate.

24

anche del PUPI per bloccare l’attività del MARRONE la cui autorizzazione non

Anche il ricorso del Marrone è fondato, dovendo trovare accoglimento il
primo motivo.
I giudici di merito affermano che

“la realizzazione di un progetto in

difformità delle prescrizioni autorizzative integrava una precisa violazione di
carattere penale, mentre Llonetto, rilasciando il nulla asta, aveva taciuto tutte le
irregolarità”.
Sintetizzando il ragionamento dei giudici di merito si comprende che l’unica
condotta individuata quale violazione dei doveri di ufficio, e per la quale il

quella indicata dalla testimone Martinoia, ufficiale di polizia giudiziaria che aveva
proceduto all’indagine, che osservava che “sarebbe consistito nel non aver

comunicato alla autorità giudiziaria l’esistenza di irregolarità, sia dal punto di
vista edilizio, sia del rispetto delle prescrizioni un progetto approvato”.
Si afferma quindi che “Lionetto che redigeva il verbale con notevole

accortezza, attestando che • ” si è preso atto della costruzione del manufatto
che risulta per superficie (non per volumetria, quindi, che era esattamente
l’abuso perpetrato) uguale a quella autorizzata, lo spostamento dell’edificio
La Corte di Appello precisa che “Con ciò palesemente compiendo un atto

contrario ai propri doveri di ufficio perché ometteva sia di riferire che il Marrone
aveva già costruito le opere Indicate in variante (così da non impedire la
concessione della variante, come sarebbe accaduto se si fosse constatato che i
lavori erano già Iniziati), sia di valutare, ed era un dato palese, come essenziali
le diversità dal progetto ordinario: la maggiore vicinanza dell’opera al confine e,
soprattutto, il suo, cospicuo, aumento di volumetria”.
Poiché dagli atti risulta pacificamente che le competenze specifiche dell’ente
di appartenenza e del Lionetto non riguardavano il controllo dell’attività edilizia,
va rilevato:
non risulta specificata la ragione per la quale il Lionetto non possa non aver
rilevato la diversità di altezza del manufatto e, quindi, conseguentemente la
maggior volumetria. La circostanza viene data per scontata senza alcun
motivazione.
Secondo quanto trascritto in sentenza con riferimento al contenuto del
sopralluogo da parte del Lionetto, costui indicò

“lo spostamento dell’edificio ”

da parte del Marrone in fase di realizzazione delle opere. Quindi, oltre ad
apparire mal motivato in che modo il Lionetto abbia occultato le difformità sul
piano edilizio dei lavoro in corso, comunque non appare sufficiente riportare la
valutazione in diritto del testimone, ancorché con qualifica di p.g., per affermare,
senza dare conto in motivazione della effettiva consistenza nelle variazioni
dell’esecuzione delle opere rispetto a quanto assentito, che lo spostamento
25

ricorrente avrebbe dato una retribuzione al Lionetto ed al Pupi, consisteva in

dell’edificio rispetto al progetto approvato (spostamento che, per quanto
riportato in sentenza, sembra essere stato segnalato dal Lionetto) costituisca
reato. Si tratta di profilo che andava esaminato da parte dei giudici per giungere
alla predetta conclusione, valutando tutti gli elementi necessari atteso che la
diversa localizzazione dell’edificio sull’area di pertinenza non necessariamente
costituisce una difformità penalmente rilevante (Sez. 3, n. 24236 del 24/03/2010
– dep. 24/06/2010, Muoio e altro).
Quindi, allo stato, è del tutto carente la motivazione in ordine alla

Pupi, l’altro soggetto in ipotesi corrotto dal Marrone, valgono, poi, gli argomenti
di cui sopra, restando in dubbio anche se l’accusa sia di avere violato propri
doveri o concorso, da extraneus, alla violazione dei doveri del Lionetto.
Inoltre, come riportato nell’esaminare il ricorso di Pupi, per quanto il vizio di
motivazione risulti già sotto il profilo della mancata individuazione in sentenza
della condotta in violazione dei doveri di ufficio e nella affermazione di
circostanze che non appaiono conformi ai fatti quali accertati in sentenza, non
appaiono prima facie infondate le osservazioni della difesa in ordine alla carenza
di motivazione sulla interpretazione delle intercettazioni laddove si afferma la
assoluta evidenza dei riferimenti al Marrone ed alle dazioni di denaro da parte di
costui in favore del ricorrente.
Si impone, quindi, l’annullamento con rinvio della sentenza anche con
riferimento alla posizione del Marrone, dovendo il giudice di rinvio eventualmente
Individuare ed offrire una adeguata motivazione in ordine a quali siano le
specifiche condotte contrarie ai doveri di ufficio del Lionetto e del Puoi
chiarendosi quale fosse la competenza specifica per la quale il Lionetto
interveniva per il sopralluogo in questione; e se, valutati I titoli edilizi,
ricorressero reati che il Lionetto nella qualità, non poteva non rilevare e doveva
denunziare.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di Lesmo Maurizio,
Rotta Carlo, Luoni Roberto e De Poli Gianluigi perché i fatti non sussistono.
Annulla la medesima sentenza nei confronti di Marrone Natale e di Pupi Giuseppe
e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Milano.
Così deciso nella camera di consiglio del 5 dicembre 2012
Il Co

stensore

individuazione dell’atto contrario ai doveri di ufficio da parte del Lionetto; per il

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