Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1251 del 20/11/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 1251 Anno 2016
Presidente: SAVANI PIERO
Relatore: LIGNOLA FERDINANDO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
CASTELLANI GIANLUCA N. IL 22/10/1974
avverso la sentenza n 843 2013 TRIBUNALE di PESCARA, del
03/11/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FERDINANDO
LIGNOLA;

Data Udienza: 20/11/2015

RILEVATO IN FATTO

– che con l’impugnata sentenza, in conferma di quella di primo grado,
CASTELLANI GIANLUCA è stato ritenuto responsabile dei delitti di cui agli artt.
581, 594 e 612 cod. pen. e condannato alla pena di 500€ di multa;
– che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione personalmente

a) violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all’affermazione di
responsabilità, fondata sulle dichiarazioni della persona offesa e dei testi Iodice e
Silvetti, contraddette da quelle dei testi di difesa e dalla condizione di detenuto
agli arresti domiciliari del Castellani nel mese di gennaio 2009;
b)

violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al trattamento

sanzionatorio ed alla mancata concessione dei benefici di legge;
c) violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento
delle attenuanti generiche;
d) violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla mancata applicazione
dei principi della legge 28 aprile 2014, n. 67 e della regola della ragionevole
durata del processo, che avrebbero imposto, attesa la mancanza di offensività
dei fatti, il proscioglimento perché il fatto non costituisce reato;
e) omessa pronuncia del giudice d’appello in ordine alle dedotte illegittimità della
condanna al risarcimento dei danni, in mancanza di pro9, ed al rimborso delle
spese di costituzione, in violazione del D.M. di cui al D. Lgs. n. 1/2012;

CONSIDERATO IN DIRITTO

– che il ricorso va dichiarato inammissibile:
a) quanto al primo motivo, poiché palesemente versato in fatto ed alla luce del
consolidato principio secondo cui non può formare oggetto di ricorso per
Cassazione la valutazione di contrasti testimoniali, la scelta tra divergenti
versioni ed interpretazioni dei fatti e l’indagine sull’attendibilità dei testimoni,
salvo il controllo sulla congruità e logicità della motivazione adottata dal giudice
di merito, che, nella fattispecie, appare coerente e logica (Sez. 2, n. 20806 del
05/05/2011, Tosto, Rv. 250362); infatti il giudizio sulla rilevanza ed attendibilità
delle fonti di prova è devoluto insindacabilmente ai giudici di merito e la scelta
che essi compiono, per giungere al proprio libero convincimento, con riguardo

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l’imputato, deducendo:

alla prevalenza accordata a taluni elementi probatori, piuttosto che ad altri,
ovvero alla fondatezza od attendibilità degli assunti difensivi, quando non sia
fatta con affermazioni apodittiche o illogiche, si sottrae al controllo di legittimità
della Corte Suprema;
b) che il secondo motivo deve ritenersi generico, poiché si limita ad invocare lo
stato di disoccupazione a fronte di una pena comunque contenuta e giudicata

riconoscimento di benefici di legge che nemmeno indica;
c) che il diniego delle attenuanti generiche è motivato dal punto di vista
oggettivo, per le conseguenze patite dalla vittima dai reati e dal punto di vista
soggettivo, in considerazione dei precedenti penali dell’imputato, per cui tale
giudizio è stato congruamente motivato, ove si consideri che per costante
giurisprudenza (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013 – dep. 04/02/2014, Ferrario, Rv.
259142; Sez. 3, n. 1182 del 17/10/2007, Cilia, Rv. 238851) non vi è margine
per il sindacato di legittimità quando la decisione sia motivata in modo conforme
alla legge e ai canoni della logica, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132
e 133 cod. pen.; d’altra parte non è necessario, a soddisfare l’obbligo della
motivazione, che il giudice prenda singolarmente in osservazione tutti gli
elementi di cui all’art. 133 cod. pen., essendo invece sufficiente l’indicazione di
quegli elementi che assumono eminente rilievo nel discrezionale giudizio
complessivo (Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, Sermone, Rv. 249163);
d) che i reati contestati non possono ritenersi abrogati per effetto della legge 28
aprile 2014 n. 67, posto che tale atto normativo ha conferito al Governo una
delega (limitata al solo delitto di cui all’art. 594), implicante la necessità del suo
esercizio per la depenalizzazione di tale fattispecie e che, pertanto, quest’ultima,
fino alla emanazione dei decreti delegati, non potrà essere considerata violazione
amministrativa; il richiamo del principio di ragionevole durata del processo è di
conseguenza del tutto fuori luogo, in mancanza dell’atto normativo delegato;
e) che anche la doglianza sui capi civili deve ritenersi inammissibile, considerata
la determinazione equitativa e l’entità estremamente ridotta dell’importo
liquidato alla parte civile (appena 1000€ per i danni, liquidati equitativamente e
800€ per le spese di costituzione), che non può ritenersi esorbitante, in assenza
peraltro di specifiche doglianze della difesa;
– che la ritenuta inammissibilità del ricorso comporta le conseguenze di cui
all’art. 616 cod. proc. pen., ivi compresa, in assenza di elementi che valgano ad

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congrua dal giudice di appello per quattro delitti e censura il mancato

escludere ogni profilo di colpa, anche l’applicazione della prescritta sanzione
pecuniaria alle cassa delle ammende, il cui importo stimasi equo fissare in euro
mille;

P. Q. M.

spese processuali e della somma di mille euro alle cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 20 novembre 2015
Il consiglier estensore

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle

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