Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1250 del 20/11/2012


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 1250 Anno 2013
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: FRANCO AMEDEO

SENTENZA
sul ricorso proposto da Lombardoni Severino, nato a Pedrengo il
7.3.1949;
avverso la sentenza emessa il 16 ottobre 2010 dalla corte d’appello di Milano;
udita nella pubblica udienza del 20 novembre 2012 la relazione fatta dal
Consigliere Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale
dott. Enrico Delehaye, che ha concluso per l’annullamento senza rinvio per prescrizione;
Svolgimento del processo
Con la sentenza in epigrafe la corte d’appello di Milano confermò la
sentenza emessa il 30 giugno 2006 dal giudice del tribunale di Milano, che
aveva dichiarato Lotnbardoni Severino colpevole del reato di cui all’art. art.
171 ter, lett. d), della legge 22 aprile 1941, n. 633, per avere posto in
commercio supporti fonografici illecitamente riprodotti e privi del contrassegno
Siae, condannandolo alla pena ritenuta di giustizia.
L’imputato propone personalmente ricorso per cassazione deducendo
violazione di legge. Lamenta in sostanza di essere stato condannato
esclusivamente per avere posto in vendita supporti audio privi di contrassegno
Siae, ossia per una attività che non è prevista come reato a seguito della nota
sentenza Schwibbert della Corte di giustizia. In ogni caso, è totalmente mancato
l’accertamento e la motivazione sulla effettiva illecita duplicazione dei supporti,
che la corte d’appello ha affermato unicamente per il fatto della mancanza del
contrassegno Siae.
Motivi della decisione

Data Udienza: 20/11/2012

Il ricorso è fondato.
La sentenza di primo grado ha dichiarato l’imputato colpevole per il reato
di cui all’art. art. 171 ter, lett. d), della legge 22 aprile 1941, n. 633, e precisamente per avere posto in commercio supporti audio illecitamente riprodotti e
privi del contrassegno Siae.
Si trattava di CD audio esposti in una fiera in occasione di una manifestazione internazionale. I testi avevano dichiarato che per i titoli delle opere musicali contenute nei supporti non erano mai state presentate domande alla Siae per
il rilascio dei contrassegni.
La corte d’appello ha ritenuto irrilevante il mancato espletamento di una
perizia perché il fatto che si trattasse di opere illecitamente riprodotte si ricavava dalla semplice valutazione dei verbalizzanti esperti nel settore e comunque
dalla mancanza del contrassegno Siae. Ha poi ritenuto irrilevante la giurisprudenza formatasi a seguito della nota sentenza Schwibbert della Corte di giustizia perché nella specie si trattava di opere abusivamente riprodotte.
La sentenza è manifestamente erronea sotto diversi profili.
Innanzitutto, manca totalmente la specificazione delle ragioni per le quali
la corte d’appello ha ritenuto che dal fatto che per i brani musicali in questione
non era stata mai chiesta la registrazione presso la Siae dovesse desumersi che
si trattava di opere protette dal diritto di autore illecitamente duplicate e non potesse invece desumersi che si trattava di opere di pubblico dominio. Sul punto
la motivazione è dunque anche manifestamente illogica. Manca quindi una motivazione sulla esistenza di una prova, anche presuntiva, che si trattasse di brani
musicali sottoposti alle limitazioni delle norme sul diritto d’autore e non di brani di pubblico dominio. Del resto dalla motivazione sembrerebbe che la corte
d’appello abbia quasi ritenuto obbligatoria la richiesta di rilascio del contrassegno Siae, mentre, almeno all’epoca, la richiesta di tale contrassegno non poteva
assolutamente ritenersi obbligatoria in quanto le relative norme non erano opponibili ai privati.
In ogni modo, quand’anche si trattasse di opere protette dal diritto d’autore
è totalmente mancante la motivazione sulla prova di una loro illecita duplicazione.
La stessa sentenza impugnata dà atto che sui supporti in questione non è
stato fatto alcun accertamento peritale e nessun effettivo controllo, neppure a
campione, essendosi esaurita l’unica verifica nella mera ed assolutamente generica constatazione «de visu» da parte dei verbalizzanti che, evidentemente,
non costituisce una prova sufficiente per l’affermazione di responsabilità. In realtà, come emerge dalla motivazione, la corte d’appello ha ritenuto che la duplicazione abusiva dei supporti potesse ritenersi provata sulla base della (sola)
mancanza del contrassegno Siae, mancando del tutto, del resto, l’indicazione di
altri elementi probatori.
Deve allora ricordarsi che la Corte di Giustizia europea – con sentenza resa
ai sensi dell’art. 234 del Trattato CEE, emessa 1’8 novembre 2007 nel procedimento C-20/05, Schwibbert, sulla questione relativa alla compatibilità della
normativa italiana che prevede l’apposizione del contrassegno Siae con la diret-

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tiva europea 83/189/CEE del 28 marzo 1983, la quale aveva istituito una procedura di informazione obbligatoria nel settore delle norme e delle regole tecniche
– ha statuito che l’obbligo di apporre sui dischi compatti contenenti opere d’arte
figurativa il contrassegno Siae in vista della loro commercializzazione nello
Stato membro interessato, rientra nel novero delle «regole tecniche», ai sensi
della suddetta normativa, che devono essere notificate dallo Stato alla commissione delle Comunità europea, la quale deve poter disporre di informazioni
complete al fine di verificare la compatibilità dell’obbligo con il principio di libera circolazione delle merci, con la conseguenza che qualora tali regole tecniche non siano state notificate alla Commissione non possono essere fatte valere
nei confronti dei privati e devono essere disapplicate dal giudice nazionale.
La giurisprudenza di questa Corte ha poi costantemente affermato che la
sentenza Schwibbert stabilisce un principio generale, secondo il quale la violazione dell’obbligo di comunicare alla Commissione ogni istituzione di contrassegno Siae successiva alla direttiva 83/189/CEE per supporti di qualsiasi genere
(cartaceo, magnetico, plastico, ecc.) e di ogni contenuto (musicale, letterario,
figurativo, ecc.), rende inapplicabile l’obbligo del contrassegno stesso nei confronti dei privati (ex plurimis, Sez. III, 12.2.2008, n. 13816, Valentino; Sez. VII,
6 marzo 2008, Boujlaib e numerosissime successive).
L’obbligo di apposizione del contrassegno Siae, pertanto, non poteva essere fatto valere nei confronti dei privati e deve perciò essere disapplicato dal giudice nazionale. Di conseguenza, non essendo in vigore un obbligo di apporre sui
supporti il contrassegno Siae, la detenzione, commercializzazione, noleggio,
ecc. di supporti privi di detto contrassegno non costituiva illecito e non aveva
rilevanza penale.
Inoltre, per quanto concerne il reato di messa in commercio di supporti con
opere audiovisive illecitamente duplicati, va ricordato che, secondo la costante
giurisprudenza di questa Corte, «In tema di diritto d’autore, relativamente ai
reati aventi ad oggetto supporti illecitamente duplicati o riprodotti, la sola
mancanza del contrassegno Siae, che non sia stato comunicato dallo Stato Italiano alla Commissione Europea in adempimento della normativa comunitaria
relativa alle “regole tecniche”, nel senso affermato dalla Corte di giustizia CE,
non può valere neppure come mero indizio della illecita duplicazione o riproduzione, essendo l’inopponibilità ai privati dell’obbligo di apposizione del predetto contrassegno sino ad avvenuta comunicazione tale da privare il contrassegno del valore, ordinariamente attribuibile, di garanzia della originalità
dell’opera» (Sez. III, 28.5.2008, n. 27109, Fall, m. 240267; conf. Sez. VII,
6.3.2008, n. 21579, Boujlaib, m. 239959).
Contrariamente a quanto ritenuto dalla sentenza impugnata, che le ha addirittura attribuito valore di prova sufficiente, alla mancanza del contrassegno non
può dunque attribuirsi neppure valore indiziario. Ed infatti, dall’obbligo per il
giudice di disapplicazione deriva necessariamente che egli non può più considerare la mancanza di contrassegno Siae come indizio della abusiva duplicazione
o riproduzione dei supporti, giacché altrimenti si continuerebbe a dare al contrassegno quel suo valore essenziale di garanzia della originalità e autenticità

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dell’opera, che invece non ha acquisito nei confronti dei soggetti privati per effetto della mancata comunicazione alla Commissione europea. Il giudice nazionale non può quindi continuare ad applicare indirettamente le norme sul contrassegno Siae per qualificare, ora per allora, come dovuta l’apposizione del
contrassegno stesso e considerare quindi come sintomo di un illecito la sua
mancanza.
Nel caso di specie si tratta di comportamento tenuto nel 2003, e quindi
prima che la regola tecnica in questione sia stata comunicata (nel 2009) alla
commissione europea. Deve quindi trovare applicazione il ricordato principio di
diritto.
La sentenza impugnata andrebbe quindi annullata con rinvio per mancanza
di motivazione. Sennonché è prevalente la constatazione che il reato si è prescritto in data 18 aprile 2011. La sentenza stessa deve dunque annullata senza
rinvio perché il reato è estinto per prescrizione. Quanto alle statuizioni civili,
invece, la sentenza va annullata con rinvio al giudice civile competente per il
grado di appello.
Per questi motivi
La Corte Suprema di Cassazione
annulla la sentenza impugnata senza rinvio per essere il reato estinto per
prescrizione e con rinvio al giudice civile competente in grado di appello limitatamente alle statuizioni civili.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 20
novembre 2012.

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