Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 12396 del 27/02/2018

Penale Sent. Sez. 6 Num. 12396 Anno 2018
Presidente: PETRUZZELLIS ANNA
Relatore: TRONCI ANDREA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
A.A.
avverso la sentenza del 29/10/2015 della CORTE d’APPELLO di L’AQUILA

udita, in pubblica udienza del 27/02/2018, la relazione svolta dal Consigliere ANDREA
TRONCI;
sentite le conclusioni del PG, in persona del Sostituto Procuratore GIOVANNI DI LEO, che ha
chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
sentito il difensore, avv. GIOVANNI CERELLA del Foro di Vasto, che si è riportato ai motivi del
ricorso, chiedendone l’accoglimento;

RITENUTO IN FATTO

1.

Il difensore di fiducia di

A.A. impugna

tempestivamente la sentenza indicata in epigrafe, con cui la Corte d’appello di
L’Aquila ha confermato la condanna della propria assistita a pena di giustizia,
oltre statuizioni civili, quale inflittale dal g.u.p. del Tribunale di Chieti con

Data Udienza: 27/02/2018

riferimento all’accertata violazione dell’art. 346 cpv. cod. pen., per aver fatto
promettere alla parte lesa, B.B., la dazione della somma di
C 4.000,00, asseritamente destinata ad un imprecisato funzionario della Corte
d’appello abruzzese, di cui l’imputata medesima, al tempo legale della
menzionata B.B., avrebbe comprato i favori al fine di conseguire
l’archiviazione di un inesistente procedimento penale a carico della detta parte
offesa.
Giusta la prospettazione del legale ricorrente, la sentenza impugnata

sarebbe inficiata da vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606, co. 1 lett. e), cod.
proc. pen., sotto un triplice profilo:
a) “in relazione al mancato accoglimento della richiesta ex art. 603 c.p.p. di
espletamento della perizia sulla registrazione eseguita dalla p.o.”, disattesa
dalla Corte distrettuale sulla scorta della “motivazione illogica” per cui la
condivisione della pronuncia resa dal primo giudice precluderebbe
l’effettuazione dell’incombente istruttorio, così di fatto sottraendosi allo
“obbligo motivazionale che, a fronte della rinnovata richiesta, andava
comunque assolto”;
b)

in ragione dell’avvenuta conferma delle statuizioni adottate dal primo giudice
in spregio alle “indicazioni della giurisprudenza di legittimità”, essendo stata
formulata “in virtù di stringate, sommarie valutazioni caratterizzate da
elementi il più delle volte soltanto congetturali se non apodittici, di cui è
traccia nella stessa trama espositiva della motivazione”: ciò avuto riguardo,
segnatamente, alle frasi estrapolate dalla registrazione di cui sopra, di cui
assume la inequivoca significatività, senza l’esplicitazione dei “criteri di
collegamento logico-giuridico” a sostegno di siffatto assunto, ancor più
criticabile alla luce delle “censure specificatamente mosse dalla difesa
nell’atto di impugnazione”, nonché dell’avvenuto espletamento dell’incarico
tecnico “in assenza di contraddittorio delle parti”;

c)

in considerazione della presenza, nel discorso giustificativo sviluppato dalla
sentenza impugnata, “di argomenti viziati da evidenti errori di applicazione di
regole della logica e fondati su dati contrastanti, che rendono evidente la
violazione della regola posta a base dell’art. 533 c.p.p., ove viene sancito il
principio della condanna fondata sulla certezza della prova”, stante l’idoneità
della documentazione a suo tempo prodotta “a far sorgere dubbi sulla diversa
finalità della richiesta di denaro”, a maggior ragione tenuto conto della
problematica circa l’esatta collocazione nel tempo della più volte citata
registrazione.

ík2

2.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1.

Manifestamente infondato è il primo motivo di doglianza, da cui è

opportuno prendere le mosse, atteso che lo stesso attiene all’esatta
delimitazione del perimetro probatorio a base della contestata statuizione di
condanna.
Si premette che non risponde affatto a verità che il giudice distrettuale
abbia omesso di motivare sul punto: la Corte distrettuale ha dato atto che la

effettuata dalla persona offesa, era stata inizialmente posta dall’imputata quale
condizione cui era stata esplicitamente subordinata l’istanza di ammissione al
rito speciale di cui agli artt. 438 e ss. cod. proc. pen.; richiesta tuttavia superata,
nel momento in cui, a seguito del diniego opposto dal g.u.p. – in ragione della
ritenuta non necessarietà dell’incombente in funzione della definizione del
procedimento – la stessa imputata aveva esercitato la propria opzione per la
celebrazione del processo con le forme del rito abbreviato c.d. “puro”. Donde la
conclusione per cui il descritto

iter, “alla luce della corretta e condivisibile

pronuncia del g.u.p. sopra richiamata, non consente l’effettuazione del richiesto
incombente istruttorio”.
Non solo, ma il ragionamento testé illustrato, sovrapponibile a quello del
giudice di prima istanza, risulta nella sostanza ineccepibile in punto di diritto.
E’ di tutta evidenza che la formulazione di un’istanza ai sensi dell’art. 603
del codice di rito non può prescindere dalla dimostrazione dell’assoluta ed
imprescindibile necessità della prova indicata ai fini della corretta soluzione da
darsi al giudizio. Sennonché un’istanza di tal fatta, riconducibile in seno al
paradigma dell’art. 606 lett. d) cod. proc. pen., può essere dedotta solo in
relazione ai mezzi di prova di cui sia stata chiesta l’ammissione, a mente dell’art.
495 co. 2 dello stesso codice, “ma non in relazione a quello di cui sia stata

sollecitata l’ammissione ai sensi dell’art. 507 dello stesso codice, né, tanto meno,
con riferimento ad attività di indagine che – ad avviso del ricorrente – il P. M.
avrebbe dovuto svolgere, ma che non è stata espletata” (così Sez. 2, sent. n.
41744 del 06.10.2015, Rv. 264659; conf. Sez. 5, sent. n. 27985 del 05.02.2013,
Rv. 255566, nonché Sez. 2, sent. n. 841 del 18.12.2012 – dep. 09.01.2013, Rv.
254052). Il che – se possibile – è ancor più vero, ove, a monte del rito speciale
c.d. “a prova contratta”, vi sia stata un’istanza disattesa formulata ai sensi
dell’art. 438 co. 5 cod. proc. pen., giacché opinare diversamente significherebbe
avallare una surrettizia reintroduzione della medesima richiesta disattesa dal
giudice ed a cui la parte interessata ha prestato acquiescenza per effetto della

richiesta difensiva, di espletamento di apposita perizia sulla registrazione

successiva formalizzazione della domanda di ammissione al rito abbreviato
incondizionato.
2.

Connotata da radicale genericità è la seconda censura a base del ricorso in

esame.
E’ noto che, in caso di c.d. “doppia conforme”, le pronunce di merito
s’integrano fra loro, costituendo un unico ed unitario corpo motivazionale e che,
in tal caso, il vizio di travisamento della prova – qui, per vero, neppure

alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non
esaminati dal primo giudice”, ovvero “quando entrambi i giudici del merito siano
incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma
di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili,
il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di
merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti”
(cfr. Sez. 4, sent. n. 44765 del 22.10.2013, Rv. 256837).
Fermo quanto sopra, rileva il Collegio che la Corte territoriale, in presenza
della sostanziale mera reiterazione dell’identica prospettazione già congruamente
disattesa dal g.u.p., si è limitata a porre in evidenza singoli passaggi della
conversazione registrata dalla B.B. all’insaputa dell’avv. A.A., ritenuti
di particolare significatività, per il resto valendo ovviamente il rimando alla più
completa argomentazione sviluppata dal primo giudice, ove è riportata
integralmente tutta la parte centrale del colloquio registrato fra le due
protagoniste della vicenda, significandosi altresì come “la circospezione con la
quale la A.A. dialoga della dazione di denaro, il fatto che non si indica mai
espressamente quale sia il destinatario del pagamento pur lasciandosi intendere
che è una persona fisica, le modalità di pagamento – in contanti e per il tramite
della A.A. – sono tutti elementi incompatibili con il pagamento di un debito
verso una banca”, in tal senso risultando altresì “incomprensibili i timori della
B.B. circa il buon esito del pagamento, nonché il fatto che in più
passaggi del colloquio registrato si fa riferimento ad una ‘archiviazione’ e non
certo a morosità pregresse”. Ciò che si sottrae a qualsivoglia censura di logicità,
tanto più che la Corte d’appello non ha mancato di integrare il costrutto testé
riprodotto, evidenziando anche come risalga al 2007 la definizione di talune
pendenze che in effetti la parte lesa aveva al tempo con istituti bancari, come
tale incompatibile cronologicamente con i fatti per cui è processo, dei quali ha
avallato la collocazione ai primi di dicembre 2008 – così come del resto risulta
dal

tempus commissi delicti indicato in calce al capo d’accusa, ove si fa

riferimento, appunto, al 2 e 4 dicembre 2008 – alla stregua della rilevata

formalmente eccepito – ricorre solo allorché “il giudice di appello, per rispondere

coerenza “con lo sviluppo successivo degli avvenimenti, avendo la B.B.,
con raccomandata del 16.12.08, revocato il mandato difensivo già rilasciato alla
A.A. ed avendo sempre la B.B. sporto la querela poco tempo dopo, per
la precisione in data 04.03.09”, laddove “tutta la documentazione prodotta …”
(s’intende, dalla difesa) “… si riferisce a periodi significativamente antecedenti al
dicembre 2008”.
3.

Quanto precede vale a dare contezza dell’inammissibilità anche del terzo ed

quale è appena il caso di osservare che i pretesi vizi di motivazione, forieri della
denunciata violazione del principio di cui all’art. 533 co. 1 cod. proc. pen.,
scaturiscono dalla vieta reiterazione della tesi dei debiti bancari accumulati dalla
B.B., già adeguatamente e congruamente superata dal concorde
ragionamento dei giudici di merito, a fronte dei quali non è consentito, nella
presente sede dì legittimità, il tentativo difensivo di una difforme lettura dei dati
probatori acquisiti, per di più senza un reale confronto con il nucleo centrale – di
per sé dirimente – dell’anzidetto costrutto motivazionale.
4.

Alla stregua di quanto precede, va dunque dichiarata l’inammissibilità

dell’impugnazione proposta, cui seguono, ex lege, le statuizioni previste dall’art.
616 cod. proc. pen., nella misura di giustizia indicata in dispositivo. Con la
puntualizzazione finale, per mero scrupolo di completezza, che il mancato
radicamento del rapporto processuale, che per consolidata giurisprudenza
discende dall’anzidetta declaratoria, preclude di tener conto della prescrizione
maturata successivamente alla pronuncia d’appello.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 2.000,00 in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 27 febbraio 2018
Il Consiglie

est.

Il PreSidénte

ultimo profilo di critica avverso la decisione della Corte territoriale, in ordine al

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