Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1230 del 20/11/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 1230 Anno 2016
Presidente: SAVANI PIERO
Relatore: LIGNOLA FERDINANDO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
BREDA BRUNO N. IL 26/11/1938
avverso la sentenza n. 1461/2011 CORTE APPELLO di TRIESTE, del
11/02/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FERDINANDO
LIGNOLA;

Data Udienza: 20/11/2015

RILEVATO IN FATTO

– che con l’impugnata sentenza, con parziale conferma di quella di primo grado,
BREDA BRUNO fu ritenuto responsabile del reato di bancarotta documentale
semplice, così riqualificata l’originaria contestazione di bancarotta documentale
fraudolenta, quale titolare dell’impresa individuale “impiantistica Breda Bruno” e
condannato alla pena di giustizia;
– che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore
dell’imputato, avv. Pierluigi Fabbro, con atto affidato a tre motivi:
con il primo motivo ha dedotto violazione di legge, in relazione

all’affermazione di responsabilità, per carenza di prova dell’elemento soggettivo
del reato;
b) con il secondo motivo ha dedotto violazione di legge in relazione alla corretta
applicazione dell’articolo 217 della legge fallimentare, poiché è stata esclusa la
condotta di sottrazione e/o distruzione delle scritture contabili sulla base di una
carenza di elementi probatori, per cui non si vede come potesse essere superato
il ragionevole dubbio sulla sussistenza del reato colposo;
c) violazione di legge relazione al diniego delle attenuanti generiche, tenuto
conto della derubricazione e della modesta entità del fatto;

CONSIDERATO IN DIRITTO

– che il ricorso va dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza, poichè,
quanto ai primi due motivi, la sussistenza del delitto di bancarotta documentale è
stata desunta dalle stesse parole dell’imputato, che ha ammesso di non aver
potuto pagare un professionista che gli aggiornasse le scritture contabili in
seguito ad una crisi aziendale dovuta ad un mancato pagamento e dunque di non
averle più tenute, di fatto lasciando andare l’impresa se stessa; non emergeva
dunque la prova del dolo di frodare i creditori, ma piuttosto quella della incuria e
disinteresse, che integrano senza dubbio la colpa richiesta dalla norma penale
incriminatrice;
– che anche il terzo motivo è manifestamente infondato, poiché il diniego delle
attenuanti generiche è motivato dalla Corte territoriale, prendendo atto
dell’assenza di elementi positivi nel comportamento processuale e dei precedenti
penali dell’imputato, con le quali natura specifica, per cui tale giudizio è stato
congruamente motivato, ove si consideri che per costante giurisprudenza (Sez.
5, n. 5582 del 30/09/2013 – dep. 04/02/2014, Ferrario, Rv. 259142; Sez. 3, n.
1182 del 17/10/2007, Cilia, Rv. 238851) non vi è margine per il sindacato di
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a)

legittimità quando la decisione sia motivata in modo conforme alla legge e ai
canoni della logica, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod.
pen.; d’altra parte non è necessario, a soddisfare l’obbligo della motivazione, che
il giudice prenda singolarmente in osservazione tutti gli elementi di cui all’art.
133 cod. pen., essendo invece sufficiente l’indicazione di quegli elementi che
assumono eminente rilievo nel discrezionale giudizio complessivo (Sez. 2, n.
3609 del 18/01/2011, Sermone, Rv. 249163);
– che la ritenuta inammissibilità del ricorso comporta le conseguenze di cui

escludere ogni profilo di colpa, anche l’applicazione della prescritta sanzione
pecuniaria, il cui importo stimasi equo fissare in euro mille;

P. Q. M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di mille euro in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 20 novembre 2015
Il consigliere estensore

Il presid nte

all’art. 616 cod. proc. pen., ivi compresa, in assenza di elementi che valgano ad

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