Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 123 del 14/12/2015


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 123 Anno 2016
Presidente: BIANCHI LUISA
Relatore: CAPPELLO GABRIELLA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GALLINA ANGELO N. IL 20/03/1943
avverso l’ordinanza n. 98/2014 CORTE APPELLO di PALERMO, del
03/04/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GABRIELLA
CAPPELLO;
lette/sentita le conclusioni del PG Dott. )1. 6- ‘f0-1-cxt-octA ,

Udit i difensor Avv.;

Data Udienza: 14/12/2015

;

Ritenuto in fatto
1. GALLINA Angelo ha proposto ricorso avverso l’ordinanza 3
aprile 2015 della Corte d’Appello di Palermo che ha rigettato la richiesta di
riparazione dell’ingiusta detenzione subita in carcere dal 25 gennaio 2007
al 13 aprile 2012 per i reati di cui agli artt. 416 bis (dal quale era poi

cod. pen. (dai quali era stato assolto già in primo grado).
2. Il giudice della riparazione, premesso che nella specie poteva
procedersi alla valutazione della condotta ostativa solo con riferimento al
reato associativo, per essere stato il titolo annullato dal tribunale adito
per il riesame quanto agli altri reati, sulla base della (ri)valutazione dei
medesimi elementi, ha rigettato la domanda, ravvisando la condizione
negativa di cui all’art. 314 comma 1 ultima parte c.p.p.
Più specificatamente, si dà atto nell’impugnata ordinanza che il
GALLINA era stato ritenuto appartenente a Cosa Nostra e segnatamente
alla famiglia di Carini, sulla scorta degli esiti dell’attività di intercettazione
e di una chiamata in correità che lo indicava come uomo d’onore, affiliato
a quella famiglia.
Poiché, tuttavia, tale ultima indicazione era stata ritenuta dal
giudice del gravame non sicuramente ed intrinsecamente attendibile e
comunque priva di riscontri, il giudice della riparazione ha
preliminarmente ritenuto che di essa, anche in questa diversa sede, non
potesse tenersi conto, al fine di individuare comportamenti addebitabili al
GALLINA.
Dai dialoghi intercettati, invece, il cui contenuto quel giudice ha
ritenuto pienamente utilizzabile ai fini dello scrutinio ex art. 314 c.p.p.,
erano emersi rapporti tra il GALLINA e giovani esponenti mafiosi (LO
DUCA e PASSALACQUA), figli di boss allora detenuti, ed anche provata
l’esistenza di alcuni dissidi legati a compravendite di bestiame, a presunte
violazioni di diritti di pascolo e a pretese creditorie vantate dal GALLINA.
Tutti questi elementi, sebbene svalutati in chiave di contributo
associativo, sono stati invece valorizzati dal giudice della riparazione ai
diversi fini oggetto del presente scrutinio.
Quel giudice, ha peraltro, richiamato anche le risultanze probatorie
relative alla vicenda avente ad oggetto una speculazione edilizia in
territorio di Carini che avrebbe visto interessata la locale famiglia mafiosa.

assolto in grado di appello, ad esito del giudizio di rinvio) e 648 bis e ter

Riguardo a tale specifico episodio, si dà atto nell’ordinanza impugnata che
dai dialoghi captati erano emersi elementi parimenti valutabili ai fini della
verifica di cui all’art. 314 comma 1 ultima parte c.p.p., pur se svalutati in
termini di responsabilità penale, avendo il giudice del merito ritenuto che
le conversazioni non dimostravano l’esistenza di un confronto tra sodali,
avendo il GALLINA agito per un proprio interesse personale di tipo
economico, rivendicando un diritto di mezzadria sull’area oggetto della
speculazione edilizia in questione.

dialogando con il suo consigliere, aveva fatto un chiaro riferimento ad
alcune somme che, proprio in relazione a questa vicenda, sarebbero
spettate al GALLINA; inoltre, i due conversanti erano impegnati a studiare
un modo per risolvere la questione con il predetto e a fissare un incontro
con costui. L’incontro aveva poi avuto luogo, come rilevato dai servizi di
osservazione all’epoca predisposti.
Si dà inoltre atto nell’impugnata ordinanza che l’imputato, in sede
di ìnterrogatorio di garanzia, si era avvalso della facoltà di non
rispondere, mantenendo tale atteggiamento anche negli ulteriori passaggi
del procedimento, con la conseguenza che egli non aveva mai spiegato in
forza di quali rapporti avesse preteso del denaro dal padre del
PASSALACQUA o perché il consigliere della famiglia di Carini fosse
intervenuto per dirimere una controversia che lo opponeva a LO DUCA e
PASSALACQUA, tanto più ove si consideri che tale intervento era
strettamente collegato ad alcune prerogative mafiose del soggetto la cui
mediazione si era resa necessaria. Né ha mai spiegato il GALLINA perché
pretendesse ingenti somme di denaro da parte di chi stava gestendo la
speculazione edilizia di cui sopra e neppure il contenuto del colloquio dal
medesimo intrattenuto con esponenti di vertice della famiglia mafiosa, i
quali non avevano avuto alcuna remora a svelargli i retroscena mafiosi di
quel lucroso affare.
Quel giudice ha pure sottolineato come la tesi difensiva alternativa
(l’avere, cioè, il GALLINA agito per far valere presunti diritti di mezzadria
o pascolo) avesse trovato riscontro solo nelle dichiarazioni del
collaboratore PULIZZI, acquisite però successivamente alla esecuzione del
provvedimento restrittivo.
Alla luce di quanto precede, la corte palermitana ha pertanto
ritenuto che il GALLINA, intrattenendo relazioni di particolare confidenza
con esponenti di Cosa Nostra che non avevano avuto remore a palesarsi a
lui in tale veste, avesse così dimostrato di godere della loro fiducia e di

3

Era, infatti, emerso che il reggente della famiglia mafiosa,

essere considerato soggetto con il quale era necessario confrontarsi,
eventualmente anche tirandosi indietro, come accaduto allorché la
famiglia mafiosa era intervenuta per sedare i dissidi insorti con í giovani
figli dei boss. Il ricorrente avrebbe quindi consapevolmente avuto
ambigue relazioni con tali soggetti, non circoscrivibili alla mera
soggezione a pretese e, in un simile contesto, anche il silenzio serbato in
sede di interrogatorio di garanzia, pur espressione di un legittimo diritto
di difesa, avrebbe impedito di acquisire una pur minima allegazione in

La lettura alternativa, continua la corte territoriale, era stata
accreditata in modo solo generico e non esclusivo dal PULIZZI,
considerato peraltro che delle sue dichiarazioni neppure il tribunale della
libertà aveva avuto disponibilità, allorché aveva escluso i gravi indizi di
colpevolezza per le altre imputazioni (artt. 648 bis e 648 ter c.p.). tale
giudizio negativo era peraltro dipeso dalla clausola di riserva delle relative
norme incriminatrici che escludeva la commissione di qui reati da parte di
chi fosse anche associato mafioso.
3. Con il proposto ricorso si deduce vizio ai sensi dell’art. 606
comma 1 lett. b) ed e) c.p.p., non avendo il giudice della riparazione
spiegato come l’allegazione delle vere ragioni a base dei contatti avuti dal
GALLINA avrebbe potuto evitare l’esecuzione della misura nei suoi
confronti, essendo dette spiegazioni emerse già nella fase del riesame.
Inoltre, con riferimento alle pretese relazioni ambigue del GALLINA con i
boss locali, si rileva che è lo stesso giudice dell’assoluzione a sottolineare
come il ricorrente si sia opposto alla mediazione mafiosa e come egli
avesse agito, quanto al terreno oggetto della speculazione edilizia, a
difesa di propri, personali interessi economici.
4. Il Procuratore Generale, nella sua memoria, ha concluso per il
rigetto del ricorso, avuto riguardo al rifiuto del ricorrente di rispondere in
sede di interrogatorio di garanzia e alle sue frequentazioni malavitose,
espressive di una contiguità ad elevata valenza indiziante.

Considerato in diritto

1. Il ricorso va rigettato.
Va, infatti, osservato, sulla scorta del costante orientamento di
legittimità (cfr. Sez. U., n. 34559 del 26/06/2002 C.. (dep. 15/10/2002),
Rv. 222263; ma anche successivamente Sez. 4^, n. 9212 del 13/11/2013
Cc. (dep. 25/02/2014) Rv. 259082) che “In tema di riparazione per

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ordine ad una plausibile spiegazione alternativa di tali rapporti.

l’ingiusta detenzione, il giudice di merito, per valutare se chi l’ha patita vi
abbia dato o concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve
apprezzare, in modo autonomo e completo, tutti gli elementi probatori
disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza di condotte che
rivelino edatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di
leggi o regolamenti, fornendo del convincimento conseguito motivazione,
che, se adeguata e congrua, é incensurabile in sede di legittimità.
(Nell’occasione, la Corte ha affermato che il giudice deve fondare la

supposizioni, esaminando la condotta tenuta dal richiedente sia prima, sia
dopo la perdita della libertà personale, indipendentemente dall’eventuale
conoscenza, che quest’ultimo abbia avuto, dell’inizio dell’attività di
indagine, al fine di stabilire, con valutazione “ex ante”, non se tale
condotta integri estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che
abbia ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’autorità procedente,
la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale, dando
luogo alla detenzione con rapporto di causa ad effetto).

Nel caso che ci occupa, l’iter argomentativo seguito dalla corte
territoriale resiste alle censure di cui al ricorso in quanto gli elementi
probatori emersi dal processo costituiscono condotte indicative di una
eclatante e macroscopica negligenza ed imprudenza, presupposto che
ha ingenerato la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito
penale dando luogo, così, alla detenzione con rapporto di causa ed
effetto.
In sostanza, l’aver il GALLINA intrattenuto rapporti confidenziali
con esponenti mafiosi, l’intervento di costoro a titolo di mediazione in una
controversia che lo opponeva a giovani rappresentanti della stessa
consorteria, in uno con la considerazione che gli stessi esponenti mafiosi
sembravano riconoscergli nel gestire la speculazione edilizia che li
contrapponeva al GALLINA, costituiscono una condotta certamente
valutabile in termini di ostacolo all’insorgenza del diritto azionato.
Per consolidato orientamento giurisprudenziale, infatti, “In tema di
riparazione per l’ingiusta detenzione, integra gli estremi della colpa grave
ostativa al riconoscimento del diritto, la condotta di chi, nei reati
contestati in concorso, abbia tenuto, pur consapevole dell’attività
criminale altrui, comportamenti percepíbill come Indicativi di una sua
contiguità” (cfr. Sez. 4, n. 45418 del 25/11/2010 Cc. (dep. 27/12/2010)

Rv. 249237; vedi più recentemente, anche Sez. 4, n. 5628 del
13/11/2013 Cc. (dep. 04/02/2014) Rv. 258425).

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deliberazione conclusiva su fatti concreti e precisi e non su mere

Peraltro, anche l’atteggiamento successivo del GALLINA ha
contribuito al mantenimento dello stato detentivo, non avendo egli
fornito spiegazioni alternative alla sua condotta, ragioni che, solo dopo
l’acquisizione delle propalazioni del PULIZZI, hanno cominciato a
delinearsi nello scenario processuale.
Sul punto è sufficiente ancora una volta un richiamo al
consolidato orientamento di questa corte in ordine al silenzio o al
mendacio del soggetto che agisce per il riconoscimento dell’indennizzo

ingiusta detenzione, ai fini dell’accertamento della sussistenza della
condizione ostativa della colpa grave dell’interessato – fermo restando
l’insindacabile diritto al silenzio o alla reticenza o alla menzogna da
parte della persona sottoposta alle indagini e dell’imputato – nell’ipotesi
in cui solo questi ultimi siano in grado di fornire una logica spiegazione,
al fine di eliminare il valore indiziante di elementi acquisiti nel corso
delle indagini, non il silenzio o la reticenza, in quanto tali, rilevano ma
il mancato esercizio di una facoltà difensiva, quanto meno sul piano
dell’allegazione di fatti favorevoli, che se non può essere da solo posto
a fondamento dell’esistenza della colpa grave, vale però a far ritenere
l’esistenza di un comportamento omissivo causalmente efficiente nel
permanere della misura cautelare, del quale può tenersi conto nella
valutazione globale della condotta, in presenza di altri elementi di
colpa” (cfr., tra le altre, sez. 4, sentenza n.7296 del 17/11/2011
Cc. (dep. 23/02/2012 ) Rv. 251928).
2. – Dalle considerazioni che precedono discende, pertanto, il
rigetto del ricorso e la condanna al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Deciso in Roma il 14 dicembre 2015.
Il Consigliere est.

Il • esidente

Gabriella Cappello

Bianchi

CORTE UVEÀ

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IV Se.torr e Penale

ex art. 314 codice di rito, per affermare che “In tema di riparazione per

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