Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 123 del 05/12/2012


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 123 Anno 2013
Presidente: ZAMPETTI UMBERTO
Relatore: BONI MONICA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
1) AURELI ANDREA N. IL 30/01/1974
avverso la sentenza n. 1405/2011 CORTE APPELLO di BOLOGNA,
del 18/04/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 05/12/2012 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MONICA BONI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. p
P.io
che ha concluso per /

Udito, per la parte civile,
Udit i difensor

Data Udienza: 05/12/2012

+IV

Ritenuto in fatto
1. Con sentenza resa in data 18/4/2012 la Corte d’Appello di Bologna
confermava la sentenza in data 16/12/2009 del Tribunale di Bologna, che,
all’esito di giudizio abbreviato, aveva condannato Andrea Aureli alla pena di
mesi sei di arresto, per la violazione della norma di cui all’art. 3-bis comma
4, della I. 575/1965, contestatagli per non avere adempiuto alla
19/12/2006 del Tribunale di Bologna.
2.Avverso detta pronuncia propone ricorso per cassazione a mezzo del
suo difensore l’imputato, il quale deduce:
-illogicità

e

contraddittorietà

della

motivazione

relativamente

all’affermazione di insussistenza della condizione di “impossidenza -indigenza” del ricorrente con conseguente impossibilità di adempiere ed
assenza dell’elemento soggettivo tipico,
-erronea applicazione di legge sostanziale quanto alla ritenuta sussistenza
dell’ipotesi criminosa e dei presupposti di applicabilità della cauzione di cui
all’art. 3 bis L. 575/165,
-nonché sull’immeritevolezza di attenuanti generiche.
In particolare, assume che la Corte d’Appello si era limitata a richiamare gli
argomenti svolti in sede di giudizio di prevenzione, senza considerare che
nel decreto urgente 13.10. – 16.10.2006 del Presidente del Tribunale,che
aveva disposto il sequestro anticipato di determinati beni,si era dato conto
del fatto che l’Aureli era il solo tra i soggetti proposti a non disporre
direttamente o indirettamente, né di redditi, né di beni sequestrabili,
valutazioni che avrebbero dovuto prevalere rispetto alla pregressa
commissione di reati ed all’elevato tenore di vita tenuto, a cagione del quale
egli aveva dissipato ogni bene acquisito, mentre non rappresentava un
elemento probante la mancata formulazione di richiesta di revoca del
decreto impositivo. Deduce poi che la Corte non aveva indicato alcuna
giustificazione sulla sussistenza dell’elemento soggettivo colpevole e della
mala fede dell’imputato, ma aveva affermato la responsabilità a titolo
obiettivo senza considerare la situazione di forza maggiore in cui egli si era
trovato.
Infine, anche il diniego delle attenuanti generiche era immotivato e non
teneva conto dell’assenza di redditi e cespiti immobiliari.
Considerato in diritto

prescrizione di versare la cauzione di C 40.000, impostagli con decreto

Il ricorso è inammissibile.
1.La sentenza impugnata, premesso che la verificazione della condotta
materiale d’inadempimento non era in contestazione, ha dato conto del
fatto che nel procedimento di prevenzione erano state già valutate e
disattese le obiezioni difensive riguardanti il merito dei provvedimenti
adottati e che l’imputato, una volta sottopostovi con decisione
incontrovertibile, non ne aveva chiesto la revoca o la modifica per
sostenere di essere impossidente e privo di redditi, giustificazione
riproposta nel giudizio d’appello e disattesa con motivazione che è priva dei
vizi di illogicità e contraddittorietà denunciati. Infatti, la Corte territoriale ha
valorizzato la già avvenuta considerazione dell’assenza di redditi e beni e
della cessazione dalle cariche societarie in precedenza ricoperte sin dalla
fase dell’imposizione della sorveglianza speciale di p.s e della
determinazione della misura della cauzione, allorché il Tribunale di Bologna
aveva ritenuto prevalente “il dato certo che dai plurimi reati di cui alla
sentenza 20/06/2006 Tribunale Bologna erano stati ricavati proventi di
molto superiori al milione di euro dai componenti (tra cui il prevenuto) della
banda criminale professionalmente dedita allo scasso di sportelli bancomat”,
questione dibattuta poi anche nei giudizi d’impugnazione intentati dall’Aureli
e puntualmente disattesi nei gradi successivi.
1.2 Pertanto, la sentenza impugnata non è frutto di alcuna omissione
nella valutazione di tutti gli elementi disponibili, compresi quelli offerti dalla
difesa, e l’impugnazione non ha superato, né potuto smentire il “dato certo”
dell’entità considerevole dei proventi ricavati dall’attività delittuosa,
accertata con sentenza passata in giudicato e “della disponibilità di riserve
occulte diverse dai redditi fiscalmente dichiarati”, certamente in grado di
consentire all’imputato il pagamento della cauzione, ricondotta quindi ad
una determinazione volontaria e non ad una condizione d’impossibilità
oggettiva. Né ha consistenza l’obiezione che indica come diabolica ed
impossibile la prova della dedotta indigenza, che avrebbe, al contrario,
potuto essere offerta nel giudizio di merito mediante la dimostrazione delle
condizioni di vita, della necessità di fruire dell’altrui ospitalità o di sussidi da
parte di privati o enti pubblici assistenziali. Il che è sufficiente per dare
conto della ricorrenza dell’elemento soggettivo, preteso dalla norma
incriminatrice.
1.3 Va ricordato che la Corte di Cassazione con l’orientamento
interpretativo più recente considera sindacabile anche nel separato
procedimento penale per violazione dell’art. 3-bis la ricorre z di una
condizione di impossibilità economica, tale da non consentir

sopravvenuta impossibilità o difficoltà ad adempiere, essendosi limitato a

l’adempimento tempestivo dell’obbligo di versamento della cauzione (Cass.
Sez. 1, n. 1803 del 13/01/2000, Tecchio, Rv. 215346; Sez. 1, n. 13575 del
06/02/2001, Varriale, Rv. 218785; Sez. 1, n. 39740 del 09/11/2006,
Bellocco, Rv. 235416; Sez. 5, n. 32615 del 13/07/2007, De Marzo, Rv.
237106; Sez. 5, n. 39025 del 11/07/2008, Iaffaldano, Rv. 242325): la tesi
opposta, che riserva al solo procedimento di prevenzione la valutazione
delle condizioni economiche e patrimoniali, si pone in contrasto, sia con la
finisce per ammettere un’ipotesi di responsabilità oggettiva, sia, col
prevedere una sorta di pregiudizialità limitata all’accertamento contenuto
nel provvedimento conclusivo del procedimento di prevenzione, con quella
ancor più generale di cui agli artt. 2 e 3 c.p.p, che escludono dall’ambito di
cognizione del giudice penale le sole questioni di stato di famiglia o di
cittadinanza, per includervi esplicitamente qualsiasi altra questione da cui
dipenda la decisione. Appartiene altresì a costante insegnamento di questa
Corte l’affermazione per cui grava sull’imputato l’onere di allegare precise
circostanze di fatto, dalle quali desumere l’assoluta impossibilità di
adempiere, così da mettere il giudice in grado di controllare la loro
sussistenza con riguardo a tutte le presumibili fonti di reddito, non essendo
sufficiente la labiale affermazione di tale condizione (Cass. sez. 5, n. 39025
del 11/07/2008, Iaffaldano, Rv. 242325; Sez. 5, n. 32615 del 13/07/2007,
De Marzo, Rv. 237106; sez. 1, n. 39740 del 9/11/2006, Bellocco, rv.
235416; Sez. 5, del 23/6/2004, Amoruso, rv. 229335), onere che, come già
detto, il ricorrente non ha assolto.
2. Parimenti destituita di fondamento è la doglianza circa l’assenza di
motivazione in ordine al diniego delle circostanze attenuanti generiche: la
Corte territoriale ha giustificato, sia la determinazione del trattamento
sanzionatorio, individuato in misura di poco superiore al minimo edittale, e
tale diniego in ragione di specifici elementi negativi di valutazione,
consistenti nei precedenti di vita e penali dell’imputato e dell’assenza di
motivi di meritevolezza, non ravvisati nella condizione di indigenza e di
disagio socio-economico, assenta, ma ritenuta inesistente. La sentenza
presenta dunque un apparato motivazionale effettivo ed adeguato e rsiste
alle censure che le sono state mosse.
Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile per manifesta
infondatezza con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali e, in relazione ai profili di colpa insiti nella
proposizione di impugnazione di tale tenore, di una somma che si stima
equo determinare in euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende

2

disposizione di cui all’art. 42 c.p. circa l’intenzionalità della condotta perché

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e di euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 5 dicembre 2012.

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