Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1227 del 15/11/2012


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 1227 Anno 2013
Presidente: BARDOVAGNI PAOLO
Relatore: SANTALUCIA GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
1) FACCIORUSSO NICOLA N. IL 19/08/1981
avverso l’ordinanza n. 585/2012 TRIB. LIBERTA’ di BARI, del
07/05/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIUS PE
SANTALUCIA;
4e41e/sentite le conclusioni del PG Dott. L e
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Uditi difensor Avv.;

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Data Udienza: 15/11/2012

RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale del riesame di Bari ha confermato l’ordinanza del 5 aprile 2012 del giudice
per le indagini preliminari di quello stesso Tribunale con cui è stata applicata a Nicola
Facciorusso la misura coercitiva della custodia cautelare in carcere per il reato di concorso,
unitamente al padre Matteo, nell’estorsione di Fabio Rosario Biondo, contitolare della ditta Play
and Win, costretto a consegnare la somma da C 700,00 a C 900,00, per un ammontare

complessivo non inferiore a C 18000,00; estorsione aggravata ai sensi dell’art. 7 d.l. n. 152 del

Preliminarmente il Tribunale ha fatto richiamo, per semplificazione dell’onere di
motivazione, al provvedimento applicativo della misura, di cui ha condiviso la ricostruzione in
fatto e le argomentazioni in diritto; ha quindi evidenziato che in base ai risultati delle
intercettazioni ambientali, delle assunzioni di informazioni e dei servizi di osservazione di
polizia giudiziaria emergono gravi indizi di colpevolezza, non contestati dalla difesa, e che
conducono ad affermare che Nicola Facciorusso, coadiuvato dal padre Matteo, si rese
protagonista dell’attività estorsiva nei confronti di Fabio Rosario Biondo, costretto a pagare una
somma di denaro per poter esercitare la sua attività lavorativa.
L’intera condotta estorsiva è stata attuata con metodo mafioso: la persona offesa ha
riferito che il proprietario di un bar, in cui vi era una slot machine da lui collocata, gli aveva
detto che il Facciorusso aveva perso una somma di denaro prestatagli e che era opportuno
risolvere la questione, come espressamente gli era stato confermato da Nicola Facciorusso nel
corso di un colloquio diretto e riservato. Quest’ultimo disse poi alla persona offesa che, se
voleva lavorare in tranquillità e proseguire senza problemi nella sua attività di noleggiatore di
slot machines in quella zona, Monte Sant’Angelo, doveva versargli la somma mensile pari al

30% del guadagno lordo, in relazione ai tre bar con cui aveva concluso i contratti. E fu per
queste parole che la persona offesa si determinò a versare quanto richiesto, provvedendo poi a
consegnare il denaro a Matteo Facciorusso, una volta che Nicola Facciorusso fu arrestato.
Quanto all’aspetto del collegamento con il clan Li Bergolis, il Tribunale del riesame ha
fatto richiamo al contenuto della conversazione, oggetto di intercettazione ambientale del 18
novembre 2010 tra Nicola e Matteo Facciorusso con Antonietta Simone, durante la quale il
Nicola riferiva ai congiunti di aver contattato Armando Li Bergolis, capo dell’omonimo clan
mafioso ristretto nella stesso istituto penitenziario, e che questi gli aveva raccomandato di non
litigare con gli altri detenuti, mandando i propri saluti a Matteo.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso, per mezzo del difensore avv.to Chiarello,
Nicola Facciorusso, deducendo:
violazione di legge e difetto di motivazione in riferimento al giudizio di
sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 7 d.l. n. 152 del 1991,
che ha comportato l’automatismo cautelare di cui all’art. 275 comma 3 c.p.p.
La circostanza è stata contestata in relazione all’uso del c.d. metodo mafioso,
ma dagli elementi in atti non emerge la provenienza e/o riconducibilità della
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1991

pretesa asseritamente estorsiva ad una – reale o presunta – compagine
associativa di stampo mafioso; né la spendita del nome di alcun associato o
di un intero gruppo. Nel caso di specie fa difetto, sia nella contestazione che
nelle risultanze degli accertamenti, un univoco collegamento tra Nicola
Facciorusso, di cui non constano sentenze di condanna per la partecipazione
a qualsivoglia associazione di tipo mafioso, e la forza intimidatrice del
sodalizio criminale Li Bergolis, ovvero al potere di pressione di un gruppo,

integrare la circostanza aggravante che Nicola Facciorusso (e non anche il
padre Matteo) abbia detto alla vittima dell’estorsione di essere considerato un
“uomo di rispetto”, perché a tal fine non basta il mero collegamento a
contesti di criminalità organizzata o la caratura mafiosa degli autori del fatto,
occorrendo, invece, l’effettivo utilizzo del metodo mafioso. Né assumono
rilievo, in tale prospettiva, i fugaci contatti tra Nicola Facciorusso e Armando
Li Bergolis all’interno della casa circondariale di Foggia.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato per le ragioni di seguito esposte.
È opportuno chiarire preliminarmente che, come di recente affermato da questa Corte,
“la contestazione di entrambi i profili che caratterizzano l’aggravante speciale di cui all’art. 7
d.l. n. 152 del 1991, conv. in legge n. 203 del 1991, quali l’utilizzo del metodo mafioso o la
finalità di agevolazione mafiosa, non è illegittima, perché in presenza di condotte delittuose
complesse e aperte all’una o all’altra modalità operativa o anche ad entrambe, essa amplia e
non riduce le prerogative difensive” – Sez. 1, n. 11742 del 17/11/2011 – dep. 29/03/2012,
Buono, Rv. 252275 Nel caso di specie, infatti, la circostanza aggravante di cui all’art. 7 di.
n. 152 del 1991 è stata apprezzata per entrambi i profili, oggettivo e soggettivo, ma le
motivazioni poste a fondamento del giudizio di sussistenza dell’aggravante sono carenti.
L’uso del c.d. metodo mafioso è stato individuato nella commissione dell’intera
condotta, sin dal modo con cui la vittima fu avvicinata e per le espressioni da Nicola
Facciorusso utilizzate nel colloquio con la vittima, che fu invitata a corrispondere il denaro
richiesto in modo da non aver problemi nella prosecuzione dell’attività commerciale, problemi
che sarebbero stati appunto evitati e risolti da Nicola Facciorusso, che a Monte S. Angelo era
considerato uomo di rispetto. I dati di fatto evidenziati dall’ordinanza impugnata e ora riassunti
non sono però sufficienti, nel tessuto argomentativo in cui sono stati collocati, a dare conto del
c.d. metodo mafioso. è bene rammentare che “ai fini della configurabilità della circostanza
aggravante … è necessario l’effettivo ricorso … al metodo mafioso, il quale deve essersi
concretizzato in un comportamento oggettivamente idoneo ad esercitare sulle vittime del reato
la particolare coartazione psicologica evocata dalla norma menzionata e non può essere
desunto dalla mera reazione delle stesse vittime alla condotta tenuta dall’agente – Sez. 6, n.
28017 del 26/05/2011 – dep. 15/07/2011, Mitidieri, Rv. 250541). Occorre, allora, che la
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riconducibile ai requisiti di cui al’art. 416-bis c.p. Non è sufficiente ad

Trasmessa copia ex art. 23
n. 1 ter L. 8-8-95 n. 332
O 6E,N. 200
Roma, lì
condotta si connoti per il ricorso ad un metodo capace di potenziare la forza di coazione che
già qualifica qualunque altra condotta che debba dirsi estorsiva. La prospettazione di un male
futuro (i problemi sul lavoro…) evitabile attraverso la soggezione alla richiesta di denaro è un
dato che caratterizza il fatto estorsivo anche nella forma non aggravata; non è neppure
sufficiente, per giustificare la sussistenza della circostanza aggravante de qua, il riferimento
all’essere considerato “uomo di rispetto”, perché esso è sì elemento che evoca l’esistenza di un
contesto di criminalità mafiosa, ma non è da solo sufficiente a fare avvertire, al di là di quel
mafiosa, di cui si intenda spendere la carica intimidatrice.
Per quel che poi attiene al profilo soggettivo della circostanza aggravante, l’ordinanza
impugnata, richiamati i dati processuali che attestano l’esistenza dell’associazione di tipo
mafioso denominata “clan Li Bergolis”, ha affidato la giustificazione della finalità di
agevolazione mafiosa al fatto che Armando Li Bergolis, capo dell’omonimo clan, mandò dal
carcere i suoi saluti a Matteo Facclorusso e raccomandò a Nicola Facciorusso di non litigare con
gli altri detenuti; oltre che all’argomento, meramente logico, dell’inverosimiglianza della tesi
che un’azione estorsiva possa essere condotta isolatamente in un territorio controllato
criminalmente da un gruppo mafioso. Tale ultimo elemento non può che essere di mero
contorno nell’economia di una motivazione sufficiente, appunto perché non ha un fondamento
di fatto e si sviluppa interamente sul piano della plausibilità dell’argomentazione presuntiva. Il
dato che, invece, dovrebbe avere maggiore consistenza è quello che evoca collegamenti diretti
tra il capo della consorteria mafiosa e Matteo e Nicola Facciorusso; esso è però equivoco,
perché non pone, almeno per come è ricostruito nell’ordinanza impugnata, nelle condizioni di
distinguere la mera conoscenza personale da una cointeressenza che possa far dire che la
condotta estorsiva imputabile a Matteo e Nicola Facciorusso sia stata finalizzata
all’agevolazione della consorteria del Li Bergolis.
L’ordinanza impugnata deve dunque essere annullata con rinvio, per dar modo al
giudice del merito cautelare di riesaminare la vicenda alla luce del principio di diritto sopra
indicato.
P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame limitatamente all’aggravante di
cui all’art. 7 d.l. n. 152 del 1991 al Tribunale di Bari.
Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al direttore
dell’istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94, comma 1-ter, disp. att. c.p.p.
Così deciso, il 15 novembre 2012
Il C s liere estensore

Il Presidente

che può essere la reazione soggettiva della vittima, il peso della presenza di una consorteria

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