Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 12220 del 12/12/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 12220 Anno 2014
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: CAPUTO ANGELO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SICCONE ANNA N. IL 21/04/1940
PERRONE ROSA N. IL 18/01/1963
avverso il decreto n. 135/2007 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
09/10/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANGELO CAPUTO;
n

e
Uditi difensor vv.;

Data Udienza: 12/12/2013

Letta la requisitoria in data 21/05/2013 del Sostituto Procuratore generale
della Repubblica presso questa Corte di cassazione dott. Piero Gaeta, che ha
concluso per l’inammissibilità dei ricorsi.

RITENUTO IN FATTO

1. Con decreto in data 09/10/2012, la Corte di appello di Napoli ha
confermato il decreto di confisca pronunciato in data 13/02-03/04/2007 dal

Rosa Perrone e Aniello Frenello Cacciapuoti, terzi intestatari. Richiamate le
dichiarazioni scritte rese dai clienti e dai fornitori di Domenico Perrone (padre del
proposto) e sottolineata la manifesta insufficienza degli elementi dedotti dalla
difesa a superare il vaglio di attendibilità, la Corte di merito giunge alla
conclusione che, per un verso, il complesso immobiliare confiscato risulta
eseguito in parte negli anni immediatamente precedenti il 1986 e in parte tra il
1986 e il 2004 e che, per altro verso, nessuno dei componenti della famiglia
Perrone era in grado, tra i 1971 e il 1982, di produrre reddito lecito in misura
tale da consentire la realizzazione del complesso immobiliare confiscato. Rileva,
inoltre, la Corte di merito la mancanza di qualsiasi credibile allegazione circa
l’attività edilizia che avrebbe svolto Castrese Paragliola, marito di Rosa Perrone,
le cui movimentazioni bancarie, analizzate anche alla luce del percorso criminale
del cognato Roberto Perrone, delineano un quadro indiziario che conduce ad
attribuire al primo il ruolo di prestanome o, comunque, di “uomo di paglia” di
quest’ultimo.

2. Avverso il decreto della Corte di appello di Napoli hanno proposto ricorso
per cassazione, nell’interesse di Anna Sciccone, i suoi difensori avv. Michele
Cerabona e avv. Raffaele Esposito, deducendo la motivazione apparente,
contraddittoria e gravata da vistosi vizi logici del provvedimento impugnato, che,
in particolare, ha svilito le dichiarazioni rese dai clienti e dai fornitori di Domenico
Perrone, sicuramente indicative della sua capacità economica, e ha omesso
l’approfondimento dell’elaborato del consulente degli appellanti.

3. Avverso il medesimo decreto ha altresì proposto ricorso per cassazione,
nell’interesse di Rosa Perrone, il difensore avv. Bruno von Arx, deducendo la
nullità del provvedimento impugnato, ex art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc.
pen., per violazione e falsa applicazione degli artt. 2 bis e 2 ter della legge n.
575 del 1965, per l’impossibilità di ritenere sussistenti nel caso di specie i
presupposti applicativi della confisca del bene oggetto della procedura, come si

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Tribunale di Napoli nei confronti di Roberto Perrone, proposto, Anna Sciccone,

evince dalla natura meramente apparente della motivazione sviluppata
attraverso semplici deduzioni e non individuante fatti dai quali desumere la
natura fittizia dell’intestazione del bene. L’assunto del decreto impugnato,
secondo cui la realizzazione dell’immobile nella nuda proprietà di Rosa Perrone
risalirebbe agli anni immediatamente precedenti il 1986, è fondato su mere
deduzioni, contrastanti con l’autocertificazione della parte in sede di istanza di
condono ai sensi della legge n. 47 del 1985, e comunque non modificherebbe i
termini della riferibilità della realizzazione all’intervento della stessa Perrone,

che individua nel 1985 l’inizio dell’attività delinquenziale di Roberto Perrone.
Anche l’insussistenza di un’attività di impresa svolta da Castrese Paragliola è
argomentata dal decreto impugnato sulla base di mere deduzioni. Individuata
l’esistenza di redditi di impresa, la relazione tra l’ascesa criminale di Roberto
Perrone e le movimentazioni bancarie di Castrese Paragliola è frutto della
confusione tra l’inferenza causale e la mera interferenza di fenomeni.

4. In data 04/12/2013 l’avv. Massimo Krogh, nell’interesse e quale difensore
di fiducia nonché procuratore speciale di Anna Sciccone e di Rosa Perrone giusta
nomina e procura speciale in data 29/11/2013, ha depositato memoria di replica
alla requisitoria del Procuratore generale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.
Come ha rilevato nella sua requisitoria il Procuratore generale, i ricorsi
nell’interesse di Anna Sciccone e di Rosa Perrone sono stati presentati da
difensori non muniti di procura speciale: il rilievo, non contestato in fatto
neanche nella memoria di replica, determina l’inammissibilità dei ricorsi alla luce
del principio, più volte affermato da questa Corte, secondo cui, in tema di
procedimento di prevenzione, il difensore del terzo interessato non munito di
procura speciale non è legittimato a ricorrere per cassazione avverso il decreto
che dispone la misura di prevenzione della confisca (Sez. 6, n. 13798 del
20/01/2011 – dep. 07/04/2011, Bonura, Rv. 249873; conformi, ex plurimis: Sez.
6, n. 46429 del 17/09/2009 – dep. 02/12/2009, Pace e altri, Rv. 245440; Sez. 2,
n. 27037 del 27/03/2012 – dep. 10/07/2012, Bini, Rv. 253404; Sez. 6, n. 35240
del 27/06/2013 – dep. 21/08/2013, Cardone e altri, Rv. 256264).

2. La memoria di replica del 29/11/2013 ha richiamato diffusamente e in
termini adesivi le critiche a tale indirizzo espresse da un contributo dottrinale, le

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considerato quanto affermato dalla sentenza citata nel decreto di primo grado

cui argomentazioni, tuttavia, non inducono il Collegio ad una revisione del
consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità.
Il contributo richiamato dalla difesa sostiene, in primo luogo, che
un’interpretazione sistematica dell’art. 23, comma 3, del d.lgs. 6 settembre
2011, n. 159 dovrebbe escludere qualsiasi tipo di interpretazione analogica,
posto che la nuova normativa antimafia non fa alcun riferimento al requisito della
procura speciale. Al riguardo, può osservarsi che la disciplina di cui al terzo
comma dell’art. 23 del c.d. “codice antimafia” (comunque, non applicabile al caso

quella delineata dall’art. 2 ter, quinto comma, della legge n. 575 del 1965, non
conduce al risultato interpretativo prospettato, in quanto «le disposizioni
espressamente poste dal legislatore del giudizio di prevenzione non possono
leggersi in una prospettiva di deroga al principio generale, secondo cui per i
soggetti portatori di un interesse meramente civilistico vale la regola posta
dall’art. 100 cod. proc. pen. in riferimento alla parte civile, al responsabile civile
e alla persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria, in forza della quale
“esse stanno in giudizio con il ministero di un difensore munito di procura
speciale”, al pari di quanto previsto dall’art. 83 cod. proc. civ.; e che soltanto
l’indagato o l’imputato, assoggettati all’azione penale, stanno in giudizio
personalmente, avendo solo necessità di munirsi di difensore, che è titolare di un
diritto di impugnazione in favore dell’assistito per il solo fatto di esserne
difensore, senza che debba essere munito di procura speciale, imposta solo per
casi riservati all’iniziativa personale dell’imputato» (Sez. 1, n. 39204 del
17/05/2013 – dep. 23/09/2013, Ferrara e altro, che ha dichiarato inammissibile il
ricorso avverso il decreto della corte di appello che, a sua volta, aveva dichiarato
inammissibile l’appello a favore del terzo interessato proposto dal difensore privo
di procura speciale).
La tesi difensiva fa leva poi sul rilievo che mentre nel processo penale
imputato e persona offesa si trovano in posizioni antitetiche e la presenza della
parte civile è solo eventuale, nel procedimento di prevenzione patrimoniale una
comunanza di interessi lega l’indiziato al terzo interessato, destinato a subire gli
stessi effetti pregiudizievoli del primo. L’argomento non può essere condiviso,
poiché il fondamento del principio generale, secondo cui per i soggetti portatori
di un interesse meramente civilistico vale la regola di cui all’art. 100 cod. proc.
pen., va individuato, appunto, nella natura – civilistica – dell’interesse fatto
valere e non già nel rapporto tra detto interesse e la posizione, nelle ipotesi in
esame, del proposto, tanto più che, nell’ambito della disciplina stabilita dall’art.
100 cit. sono ricompresi soggetti portatori di interessi non solo “divergenti”
rispetto a quelli dell’imputato, ma anche “convergenti” con essi (il responsabile

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in esame in forza della disciplina transitoria dettata dall’art. 117), così come

civile), sicché il “parallelismo” evocato dalla tesi in discussione non può condurre
alle conclusioni sostenute.
La necessità, nella fattispecie in esame, della procura speciale non può,
infine, essere revocata in dubbio dal riferimento all’art. 24 Cost., poiché quello
che in dottrina è stato definito l’onere di patrocinio non determina alcuna
compromissione della garanzia della tutela giurisdizionale dei diritti, essendo,
come più volte ribadito, espressione di un principio generale relativo ai soggetti

3. La disamina del thema decidendum richiede, per completezza, l’esame di
un ulteriore profilo rappresentato dall’applicabilità nel procedimento penale – e,
dunque, nel procedimento di prevenzione giusta il rinvio che ne caratterizza la
disciplina a quella processual-penalistica – dell’art. 182, comma 2, cod. proc. civ.
Il problema si è posto in tema di richiesta di riesame del provvedimento
applicativo del sequestro preventivo, poiché si è affermato, richiamando appunto
la disciplina di cui all’art. 182, comma 2, cod. proc. civ., che la richiesta di
riesame proposta dal difensore del terzo interessato alla restituzione del bene in
sequestro, ove sia rilevato il difetto di procura, non può essere dichiarata
inammissibile, perché è fatto obbligo al giudice, in tal caso, di assegnare alla
parte un termine perentorio per munirsi di una valida procura (Sez. 3, n. 11966
del 16/12/2010 – dep. 24/03/2011, Pangea Green Energy S.r.l., Rv. 249766;
conforme: Sez. 6, n. 1289 del 20/11/2012 – dep. 10/01/2013, Cooperativa
Leonardo Da Vinci Arl, Rv. 254287).
L’indirizzo seguito dalle decisioni ora indicate non può essere condiviso.
Ribadendo l’orientamento già sostenuto dalla giurisprudenza di legittimità, si è
affermato che è inammissibile l’istanza di riesame avverso il decreto di sequestro
preventivo proposta dal difensore del terzo interessato privo di procura speciale,
non trovando applicazione, in tale ipotesi, la concessione del termine previsto
dall’art. 182, comma 2, cod. proc. civ. (Sez. 5, n. 10972 del 11/01/2013 – dep.
08/03/2013, Cassa di Risparmio della Provincia di Teramo, Rv. 255186); infatti,
come è stato rilevato, «nessuna norma del codice di procedura penale prevede
che il giudice sia tenuto, a fronte di una carente rappresentanza od assistenza,
ad assegnare alla parte un termine per “sanare” tale carenza» (Sez. 3, n. 23107
del 23/04/2013 – dep. 29/05/2013, Stan, Rv. 255445).
L’orientamento che esclude l’applicabilità, nelle ipotesi in esame, della
disciplina ex art. 182, comma 2, cod. proc. civ. della concessione di un termine
per la sanatoria del vizio derivante da un difetto di rappresentanza trova
ulteriore conferma nel rilievo che la presenza, nel processo penale, di parti
portatrici di interessi civilistici deve necessariamente armonizzarsi con le regole e

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portatori di un interesse civilistico.

i princìpi di quest’ultimo. Espressioni di questa esigenza di coordinamento si
rinvengono in vari orientamenti della giurisprudenza dì legittimità che escludono,
in caso di esercizio dell’azione civile nel processo penale, l’applicabilità di
determinati istituti del processo civile: si è, ad esempio, escluso che, alla morte
della persona costituita parte civile, conseguano gli effetti della revoca tacita o
quelli interruttivi del rapporto processuale previsti dall’art. 300 cod. proc. civ.
inapplicabili al processo penale, ispirato all’impulso d’ufficio (Sez. 5, n. 15308 del
21/01/2009 – dep. 09/04/2009, Picierro e altro, Rv. 243603; conforme: Sez. 5,

L’esigenza di ordine sistematico sopra indicata, dunque, è pienamente
assicurata dal principio generale secondo cui per i soggetti portatori di un
interesse meramente civilistico vale la regola di cui all’art. 100 cod. proc. pen.,
mentre rende inapplicabile, alle ipotesi in esame, la disciplina di cui all’art. 182,
comma 2, cod. proc. civ.

4. Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna di
ciascuna delle ricorrenti al pagamento delle spese processuali e al versamento
alla Cassa delle ammende della somma, che si stima equa, di Euro 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascuna ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa
delle ammende.
Così deciso il 12/12/2013

n. 23676 del 19/05/2005 – dep. 23/06/2005, Tosato, Rv. 231911).

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