Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 12213 del 13/02/2014

Penale Sent. Sez. 5 Num. 12213 Anno 2014

Presidente: FERRUA GIULIANA

Relatore: FUMO MAURIZIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

A.M.

B.M.

B.P.

B.B.

D.M.

F.F.

A.A.

P.P.

avverso la sentenza n. 1067/2010 CORTE APPELLO di FIRENZE, del

21/09/2011

visti gli atti, la sentenza e il ricorso

udita in PUBBLICA UDIENZA del 13/02/2014 la relazione fatta dal

Consigliere Dott. MAURIZIO FUMO

–Utlite-il-P-r-oGur-ater-e–Gener-ge-in-fterstyna-del-Dett.–7che ha concluso per

Data Udienza: 13/02/2014

udito il P.G., in persona del sost.proc.gen. dott. E. Delehaye, che ha concluso chiedendo il

rigetto di tutti i ricorsi,

1.1. Le ipotesi criminose configurate comprendevano originariamente l’associazione per

delinquere ex art. 416 cp (capo 1), la falsità ideologica del PU in certificati o autorizzazioni

amministrative ex artt. 110, 117, 480, 61 n. 2 cp (capi da 2 a 5, 8, da 10 a 13, 15, 16, 18, 20,

22, 24, 25, 27, 29, 30, 32, 33, da 35 a 38, 41, da 43 a 45, 49, 51, 52, da 55 a 58, da 60 a

62), la falsità ideologica di PU in atto pubblico ex artt. 110, 117, 479, 476, 61 n. 2 (capi 9, 14,

17, 19, 21, 23, 26, 28, 31, 34, 39, 40, 42, 46, 47, 48, 50, 53, 54, 59, da 63 a 66), la

corruzione ex artt. 81, 319, 321, 61 n. 2 (capi 68 e 69), il peculato ex artt. 110, 117, 314 n. 2

cp (capo 70), la simulazione di reato ex artt. 110, 367, 61 n. 2 (capi da 71 a 77, 79), la truffa

(tentata o consumata) ex artt. (56), 110, 112 n. 1, 640, 61 n. 9 cp (capi da 81 a 104).

1.3. Per quel che riguarda gli attuali ricorrenti, è utile precisare che i primi cinque sono

stati chiamati a rispondere come privati cittadini, assicurati con diverse compagnie, i quali, in

concorso con B.B. , A.A. e P.P. (capo tecnico di radiologia il primo, medici

ortopedici gli altri due in servizio presso l’ospedale di Livorno) e con altri imputati la cui

posizione è stata stralciata, avrebbero simulato, appunto, incidenti stradali o avrebbero

indicato lesioni più gravi di quelle effettivamente riportate, munendosi -grazie all’intervento di

B.B., AA e P.P.- di documentazione sanitaria ideologicamente falsa, allo

scopo di inoltrare le pratiche di rimborso presso i relativi enti previdenziali.

1.4. Secondo l’ipotesi d’accusa, personaggio centrale della vicenda truffaldina sarebbe

stato Latini Mauro, soggetto che, di volta in volta, aveva accompagnato in ospedale le sedicenti

vittime di incidenti stradali, attivandosi per procurare, con la complicità del personale sanitario,

falsi referti e occupandosi anche di coltivare, successivamente, le pratiche di rimborso presso

le cornpagnie di assicurazione.

1.5. Il Latini, così come altri soggetti a vario titolo coinvolti nella presente vicenda

processuale, sono stati giudicati separatamente, anche con riti alternativi, a seguito dello

stralcio delle rispettive posizioni.

RITENUTO IN FATTO

Il tribunale di Livorno, per quanto di rilievo nel presente procedimento, con sentenza

del 23 maggio 2009 affermò la responsabilità degli attuali ricorrenti con riferimento ai reati di

cui ai capi come di seguito indicati.

3. La corte d’appello di Firenze, con la sentenza indicata in epigrafe, in parziale riforma

della pronuncia di primo grado, appellata dal competente procuratore della Repubblica e da

numerosi imputati, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti degli attuali ricorrenti per

intervenuta prescrizione con riferimento a tutti i reati per i quali è intervenuta sentenza di

condanna in primo grado, ad eccezione della falsità ideologica di PU in atto pubblico, ritenuta la

natura fidefacente del referto ospedaliero. Conseguentemente la corte fiorentina ha

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Il compendio probatorio è costituito da dichiarazioni testimoniali (in particolare del

medico ospedaliero Tagliaferri Dante), da documentazione sequestrata all’esito di perquisizioni,

dalle dichiarazioni di soggetti imputati in procedimento connesso , da acquisizioni di tabulati telefonici, da intercettazioni

ambientali eseguite in carcere (tra Latino e il suo difensore, l’epoca indagato per i medesimi

fatti), da intercettazioni telefoniche (nei confronti di P.P. e AA), dalle originarie

ammissioni e chiamate in correità provenienti dal B.B., dalle consulenze tecniche

esperite nel corso del procedimento.

5. Ricorrono per cassazione, tramite i rispettivi difensori, AM, FF, DB,

BM e BP, BB , A.A. e P.P..

6. Ricorsi AM, FF e DB.

6.1. Si deduce: a) nullità della sentenza per violazione dell’art. 178 comma primo lett.

c) cpp, b) violazione degli artt. 479, 476, 480 cp e omessa motivazione, c) violazione degli

artt. 190, 546 cpp e carenza dell’apparato motivazionale, d) violazione dell’art. 640 cp e

omessa motivazione sul punto.

6.2. Si argomenta come segue.

6.3. Ai tre ricorrenti fu assegnato un unico difensore d’ufficio, il quale fu nominato

anche con riferimento a numerosi altri imputati, che, secondo l’ipotesi di accusa, avevano

svolto vari ruoli nella simulazione dei sinistri e nel tentativo di truffare le compagnie

assicuratrici. È evidente dunque la incompatibilità tra le varie posizioni difensive, da cui

discende (sarebbe dovuta discendere) la impossibilità di nominare un unico difensore per tutti.

Secondo la corte d’appello, detta incompatibilità non sussisterebbe perché nel processo non si

discuterebbe della dinamica del sinistro, ma della ricostruzione del fatto illecito, nel quale,

secondo l’ipotesi di accusa, tutti avrebbero collaborato. L’assunto è errato perché il soggetto

imputato di truffa mira a un illecito guadagno, ma il soggetto che avrebbe compiacentemente

dichiarato di aver causato l’incidente vede peggiorare le sue condizioni di polizza per l’avvenire.

Lo stesso dunque è da qualificarsi alla stregua di un danneggiato dal reato.

. 6.4. Il giudice di secondo grado, poi, si è limitato a condividere la ricostruzione dei fatti

e l’interpretazione ad essa fornita dal tribunale senza dare risposta alle censure formulate

contro la sentenza di primo grado.

Per questa ragione, nel ricorso, per esplicita ammissione del redattore dello stesso, vengono

trascritti integralmente i motivi di impugnazione in cui si è sostanziato l’atto di appello, motivi

con i quali si era fatta rilevare la illogicità della ricostruzione operata dal primo giudicante, con

particolare riferimento alla esclusione di responsabilità penale nei confronti di alcuni sanitari (in

quanto essi, secondo il tribunale, avrebbero redatto inconsapevolmente false diagnosi

basandosi sui documenti redatti dai loro colleghi) e tuttavia si afferma la responsabilità di

AM, FF e DB, in quanto gli stessi “non potevano non sapere”.

6.5. La sentenza poi merita censura anche perché non è stato tenuto in adeguata

considerazione l’intero compendio probatorio, ma solo una parte dello stesso e in particolare

non si è dato adeguato rilievo alla impossibilità, testimoniata da numerosi consulenti tecnici, di

rilevare e interpretare le fratture in zona sacro-coccigea.

Per quanto specificamente riguarda il delitto di truffa, la corte d’appello, ancora una volta, non

fornisce alcuna sostanziale motivazione sullo specifico motivo di impugnazione.

7. Ricorsi B.M. e B.P.

7.1. Si deduce: a) mancanza e manifesta illogicità della sentenza, b) violazione di legge

per mancata dichiarazione in appello della prescrizione dell’unico reato superstite, c) errata

rideterminato il trattamento sanzionatorio, ha concesso il beneficio della sospensione

condizionale della pena nei confronti dei tre dipendenti ospedalieri e ha revocato nei confronti

dei predetti la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici a suo tempo disposta. Le

statuizioni civili sono state confermate.

3.1. Pertanto, all’esito della sentenza di secondo grado, risultano le seguenti pronunce

di condanna con riferimento ai singoli imputati: A.M. capo 19, B.M., B.P.,

rispettivamente capi 21 e 23, D.B. capo 50, FF capo 31, BB  capi 65, 66 e 67,

A.A capi 19, 21, 23, 28, 31, 34, 42, P.P. capi 46, 47, 48, 50, 53, 59.

Ricorso P.P.

8.1. Si deduce: a) violazione di legge per mancata dichiarazione in appello della

prescrizione del reato di falso, nonché errata applicazione della legge penale con riferimento al

medesimo reato, con particolare riferimento al secondo comma dell’art. 476 cp, b) mancanza o

illogicità della motivazione con riferimento al dolo del delitto di falso ed errata applicazione

della legge penale con riferimento al medesimo punto, c) mancanza e manifesta illogicità della

motivazione con riferimento ai singoli reati di falso.

8.2. Si argomenta come segue.

8.3. La censura sub a) equivale a quelle sub a) e b) del ricorso B.B. ;ad esse può

dunque farsi riferimento.

8.4. Anche ad ammettere che i sinistri stradali non si siano verificati, ciò non sta

necessariamente significare che il referto che attesta l’esistenza di un trauma sia falso. La

mancata verificazione del sinistro, al più, potrebbe avere rilevanza con riferimento al delitto di

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applicazione della legge penale con riferimento al reato di falso di cui all’articolo 476 secondo

comma cp.

7.2. Si argomenta come segue.

7.3. Secondo il giudice di merito, i due ricorrenti non sarebbero stati coinvolti

nell’incidente stradale che hanno denunciato, perché esso non si sarebbe mai verificato. Ciò

viene dedotto da numerosi contatti telefonici risultanti dai tabulati acquisiti. In realtà non può

negarsi che i due B.B. si recarono effettivamente al pronto soccorso dell’ospedale di

Livorno, dove tale dottor Nenci procedette ad eseguire esami radiografici. L’esito fu negativo,

ma il solo fatto che i due si siano recati in ospedale e che le radiografie furono effettuate da un

medico non imputato è un evidente indizio della circostanza che l’incidente si verificò

effettivamente. Il dolore accusato da due ricorrenti, tuttavia, era talmente intenso che

l’ortopedico -nonostante l’esito negativo dell’esame strumentale- sovvertì la diagnosi del

radiologo, sospettando fratture composte in distretti corporei particolarmente difficili da

indagare. Tale seconda ipotesi ha trovato riscontro nelle (o quanto meno non è stata smentita

dalle) radiografie successivamente effettuate. Esse sono state effettuate dal dottor Bardelli, la

cui posizione è stata archiviata. È dunque evidente che la firma del Bardelli è degna di

particolare fede ed attenzione, essendo lo stesso stato giudicato estraneo ai fatti per i quali si

procede. Semplicisticamente la sentenza afferma che la password del Bordelli sarebbe stata

abusivamente utilizzata. In realtà, i giudici del merito vanno ben oltre le conclusioni cui sono

giunti i consulenti tecnici di ufficio, i quali hanno ritenuto che le immagini radiografiche, per la

loro scarsa chiarezza, non consentissero una sicura interpretazione diagnostica.

D’altra parte, le lesioni lamentate, come anticipato, sono collocate in una zona corporea che,

per unanime opinione degli esperti, è difficilmente visibile all’esame radiografico.

7.4. A tutto voler concedere poi, anche se l’incidente stradale non si fosse verificato, ciò

non significa che le lesioni, come refertate, non siano state effettivamente sussistenti. Gli

imputati potrebbero essersele diversamente procurate. La refertazione infatti non riguarda

l’eziologia del trauma, ma la sua sussistenza e consistenza e, al massimo, la compatibilità del

trauma stesso con le dichiarazioni del paziente. Dedurre poi la falsità di un incidente stradale

da anonimi tabulati telefonici, alcuni dei quali del tutto irrilevanti, significa dare corpo alle

ombre e costruire un’affermazione di responsabilità su una base puramente ipotetica.

7.5. I reati dei capi 21 e 23, comunque, devono dichiararsi ormai prescritti, in quanto

deve ritenersi correttamente contestata la ipotesi di cui al primo comma dell’articolo 476 cp,

atteso che l’atto (il referto) certamente non era destinato a far fede fino a querela di falso.

D’altra parte, nel dispositivo della sentenza di primo grado, é parola di attenuanti generiche

equivalenti alla contestata aggravante (al singolare). È dunque evidente che l’unica aggravante

in concreto contestata è quella di cui all’articolo 61 n. 2 cp. Diversamente opinando, si

dovrebbero ritenere nulle le sentenze per difetto di correlazione tra contestazione e decisione.

7.6. Anche volendo superare le argomentazioni sopra esposte, non può poi certamente

affermarsi che ricorra l’ipotesi di cui al secondo comma dell’articolo 476 cp. Invero la

giurisprudenza citata nella sentenza è certamente minoritaria, laddove la giurisprudenza

maggioritaria della corte di cassazione è in senso contrario. D’altra parte, una diagnosi consiste

in una valutazione e la valutazione non può essere considerata falsa, ma solo corretta o

sbagliata. L’articolo 2700 cc, riguardante l’efficacia dell’atto pubblico, non consente di

estendere la fidefacenza ai documenti in questione.

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truffa. Il caso della Smith è paradigmatico, atteso che la stessa effettivamente si infortunò, ma

non nel corso di un incidente stradale. Quanto ai contatti telefonici tra il ricorrente e Latini, la

corte trascura il fatto che il Latini era cliente del P.P.  e che quindi aveva necessità di

contattarlo più volte. Quanto al fatto che talune diagnosi sarebbero state enfatizzate, la corte

non tiene conto del diffuso costume della cosiddetta “medicina difensiva”, per la quale il

sanitario, per non esporsi ad azioni di risarcimento danni, preferisce, nel dubbio, attestarsi

sulla diagnosi più grave che appunto lo garantisce nei confronti di azioni civilistiche contro di

lui intentate. In ogni caso, va rilevato che questo ricorrente in nessuna occasione ha refertato

più di quanto indicato da medici radiologi e, se per altri ortopedici i giudici di merito hanno

ritenuto l’assenza di dolo, essendosi costoro fidati delle diagnosi dei colleghi ortopedici che li

avevano preceduti, non si comprende per qual motivo lo stesso criterio non sia stato adoperato

per il P.P., il quale aveva fatto affidamento sui referti radiologici, spesso redatti addirittura

dal primario di radiologia. D’altra parte, non si può paragonare l’opera del P.P.  a quella

dei consulenti del PM. Invero, il primo ha operato sotto la spinta dell’urgenza e della fretta, i

secondi hanno operato con tutta calma e hanno potuto anche confrontarsi tra loro. La sentenza

di appello non affronta minimamente il problema della sussistenza dell’elemento psicologico in

capo a questo ricorrente e in ciò, certamente, mostra un’evidente carenza motivazionale. Certo

il dolo del reato in questione non può essere dedotto da alcune telefonate, delle quali,

oltretutto, non si conosce il contenuto.

8.5. Con riferimento ai singoli episodi contestati al P.P., poi, si osserva: quanto alla

referto Morgani (capo 59), non è dubbio che la donna sia stata effettivamente vittima di un

incidente stradale e che ella si recò nell’ospedale di Livorno in due occasioni. In merito furono

redatti più referti radiologici ad opera di diversi radiologi (Falleni, Bardelli). P.P. visitò

questa paziente facendo affidamento sulla esistenza dei predetti referti. Egli invero non aveva

nessuna ragione per discostarsi da quanto i colleghi avevano autorevolmente attestato. I

predetti colleghi -peraltro- o non sono stati imputati o sono comunque stati assolti. Non vi è

dunque nessuna ragione per escludere la buona fede del ricorrente, oltretutto anche in

considerazione del fatto che, con riferimento alla Morganti, egli redasse una diagnosi di

“infrazione” e non di “frattura”. Qualcun altro (la grafia certamente non è di P.P.) corresse

poi il referto, cancellando “infrazione” e riscrivendo “frattura”. Il fatto che quel giorno vi sia.

stata una telefonata con il Latini di 16 secondi, ovviamente, non riveste alcun valore indiziante.

In questo quadro, non sussistono neanche elementi per negare che il ricorrente abbia

effettivamente effettuato l’artrocentesi, circostanza che neanche i consulenti del PM hanno

potuto escludere; quanto al referto Di Bianco (capo 50), i giudici del merito hanno ritenuto

correttamente di assolvere i medici ortopedici che hanno effettuato i referti successivi al primo,

vale a dire i referti di controllo e ciò hanno fatto affermando che costoro avevano

correttamente fatto affidamento su quanto certificato dal collega che precedentemente era

intervenuto. Ancora una volta, però, non si vede perché tale logico ragionamento non possa e

non debba valere anche per il ricorrente, il quale, anche in questo caso, si è limitato a seguire

le indicazioni del radiologo e le ha riportate nel suo referto; si trattava, in questo caso, del

primario di radiologia dott. Malventi. E’ superfluo notare che anche i medici assolti hanno avuto

conversazioni telefoniche con il Latini, ma -nel loro caso- non si comprende per quale ragione,

dette telefonate sono state ritenute irrilevanti. Inoltre la sentenza non spiega perché, anche

nei giorni in cui non vi fu alcun ricovero caldeggiato dal Latini vi furono contatti telefonici tra

quest’ultimo e il ricorrente; quanto al referto Cottini (capo 48), valgono le stesse

considerazioni sull’affidamento fatto sull’operato dei precedenti colleghi. Nel caso di specie,

l’imputato si conformò al referto redatto dal Bardelli e anche i consulenti del PM non si

esprimono in termini di certezza, scrivendo che non si evidenziano sicure lesioni traumatiche;

quanto al referto del Bertini (capo 47), l’unica differenza dai casi precedenti consiste nel fatto

che, non essendo stata fatta l’artrocentesi, non ci sarebbe comunque un falso fidefacente;

quanto al referto Bartalini (capo 46), la sentenza non richiama né le argomentazioni difensive

dell’appello del Latini, né le argomentazioni in base alle quali ha deciso di confermare la

sentenza di primo grado. Manca quindi ogni riferimento alle lesioni che sarebbero state

falsamente refertate; quanto al referto G.G. (capo 53), va ribadito che P.P. non ha mai

visitato il predetto, come è emerso chiaramente dall’istruttoria dibattimentale, attesa la

negatoria dell’imputato e il fatto che G.G. non l’ha riconosciuto in fotografia. Sostenendo il

contrario, quindi, la sentenza d’appello travisa i fatti e ancor di più li travisa quando vuole

Ricorso A.A

, 9.1. Si deduce: a) illogicità e mancanza della motivazione in relazione alla

partecipazione del A.A ad associazione ex art. 416 cp e alla sussistenza di dolo con

riferimento agli altri reati dei quali è chiamato a rispondere, b) erronea applicazione dell’art.

476 cp, c) difetto di motivazione sul trattamento sanzionatorio (mera equivalenza delle

circostanze attenuanti generiche e mancata concessione della non menzione)

9.2. Si argomenta.

9.3. La sentenza di appello è profondamente contraddittoria nella parte in cui,

rigettando il gravame del PM, ribadisce che questo ricorrente non possa essere chiamato a

rispondere del delitto di corruzione. Non si comprende quindi per quale motivo il AA

avrebbe dovuto ripetutamente attestare il falso, rischiando gravi conseguenze. Esclusa la sua

responsabilità per il reato di corruzione, dunque, la corte avrebbe dovuto trarne la logica

conseguenza, limitandosi, invece di dichiarare la prescrizione del delitto di associazione per

delinquere, ad affermare l’assoluta estraneità di questo ricorrente nei confronti della pretesa

struttura delinquenziale. Viceversa, semplicemente sulla base del dato numerico, vale a dire:

considerando che AA è stato chiamato a rispondere di sette casi (in un periodo

temporale che abbraccia più di un anno), la corte territoriale ha ritenuto che costui fosse parte

integrante della societas sceleris. Si tratta, come anticipato, di una affermazione immotivata e

che non tiene alcun conto delle deduzioni difensive proposte con l’atto di appello.

È dunque inevitabile fare riferimento ai singoli episodi addebitati a questo ricorrente per

esaminarli anche sotto l’aspetto della sussistenza dell’elemento psicologico.

9.4. Si devono pertanto svolgere considerazioni in ordine ai referti compilati nei

confronti di A.M, F.F, B.M e B.P, M.M. e V.V. . Ebbene, da un

lato, si deve tener conto che nessun rilievo è stato attribuito dal giudice di merito al cosiddetto

“effetto di mascheramento”, descritto dai consulenti quale accadimento frequente medicina. Il

forte dolore localizzato in una parte del corpo ben può oscurare dolori di minore intensità, che

riguardano altri distretti corporei, dolori che -però- possono emergere ed essere avvertiti in un

secondo momento. Ciò spiega il contrasto tra la prima e le successive diagnosi, ad esempio,

con riferimento alla A.M., in relazione alla quale non si deve necessariamente pensare ad

un consapevole coinvolgimento doloso del A.A. D’altra parte, l’adesione ai criteri della

“medicina difensiva” è, di per sé, sufficiente a spiegare perché, in taluni casi, anche questo

sanitario abbia, nel dubbio, certificato una situazione patologica anche più grave di quella che

gli esami obiettivi evidenziavano, in ciò assecondando, per evidenti motivi prudenziali, quanto i

singoli pazienti riferivano circa il loro stato di salute e le dolenzie che accusavano. E tutto ciò è

ben sufficiente a spiegare il contrasto tra successive (e susseguentesi) indicazioni diagnostiche,

senza che debba essere necessariamente ipotizzato un atteggiamento doloso in capo al

A.A, il quale, ovviamente, faceva affidamento sull’autorevolezza dei colleghi che

l’avevano preceduto e che, per le ragioni sopra illustrate, non poteva ignorare la

sintomatologia come riferita dai diversi pazienti. D’altra parte (ad es. nel caso dei B.M-B.P.),

si è trattato di lesioni (riferite) di minima entità, di difficile accertamento strumentale e di

scarsissima rilevanza sul piano risarcitorio.

9.5. Con riferimento poi specifico al “caso Voliani”, si deve rilevare come esso

costituisca la migliore dimostrazione della inconsistenza motivazionale del ragionamento

utilizzare in senso accusatorio le dichiarazioni del dott. Balma, le quali anzi rappresentano un

elemento a favore della tesi difensiva.

8.6. In data 27 gennaio 2014 è stata depositata memoria e motivo aggiunto. Con tale

scritto si deduce la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione della sentenza con

riferimento al disposto dell’articolo 192 del codice di rito, in considerazione del fatto che le

prime dichiarazioni rese dal coimputato B.B.. devono essere considerate vere e proprie

chiamate in correità. Ebbene il predetto ha ammesso di essersi prestato, su richiesta del Latini,

ad alterare i risultati di esami radiografici e ha chiarito che ciò ha fatto in concorso con due

radiologi. Lo stesso non ha mai chiamato in causa gli ortopedici e meno che mai

specificamente il P.P.. La corte non ha mai dubitato della rispondenza al vero di tali

dichiarazioni, tanto che ha completamente svalutato la successiva ritrattazione operata dal

B.B. . Ebbene: non si capisce come le dichiarazioni di costui non valgano anche,

nell’ottica di una corretta ricostruzione, a tenere del tutto al di fuori dei fatti criminosi che sono

contestati la figura e l’operato degli ortopedici.

. 10. Ricorso B.B.

10.1. Si deduce: a) erronea applicazione della legge penale con riferimento ai capi 1),

68), 94), 95) per avere la corte fiorentina ritenuto sussistenti le fattispecie di reato dichiarate

poi estinte e per illogicità della motivazione, con una conseguente violazione degli articoli 129

comma secondo cpp e 531 medesimo codice, b) omessa dichiarazione di prescrizione dei reati

di cui ai capi 65), 66), 67) per i quali la causa estintiva era maturata già prima della sentenza

d’appello, atteso che, da un lato, il ricorrente non rivestiva il ruolo di pubblico ufficiale,

dall’altro, non è contestata né sussistente la natura fidefacente dell’atto che si assume falso; in

ogni caso -ed eventualmente- nullità della sentenza per mancanza di correlazione tra accusa e

decisione, c) violazione di legge processuale e conseguenti nullità c-1) dell’informazione di

garanzia, c-2) della nomina del difensore di ufficio in sostituzione di quello originariamente

nominato, c-3) delle dichiarazioni spontanee e del verbale d’interrogatorio del B.B. in

data 5 marzo 2004 (ovvero loro inutilizzabilità), e inoltre: c-4) omessa motivazione in ordine

alle richieste istruttorie formulate ovvero reiterate con i motivi di appello, c-5) omessa,

mancata parziale rinnovazione del dibattimento e in particolare omesso espletamento dei

confronti tra il ricorrente ed dott. Tagliaferri, tra il ricorrente ed dott. Neri, mancata escussione

del teste Biscottino Sonia ai sensi dell’articolo 195 comma primo del codice di rito, nonché

mancata assunzione di prova decisiva in relazione a quanto appena esposto e in relazione alla

mancata acquisizione delle dichiarazioni del B.B. in qualità di teste nel processo a carico

di Scura ed altri, processo che vide quale protagonista anche il Tagliaferri. Si tratta di richieste

istruttorie indicate e/o reiterate con i motivi di gravame e alla cui decisione la corte territoriale

si è sottratta.

• 10.2. Si argomenta come segue.

10.3. La corte di merito, nel dichiarare la prescrizione dei reati sopra indicati, ha

implicitamente ritenuto che il ricorrente si fosse reso colpevole dei delitti di associazione per

delinquere e di concorso in corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio, applicando la causa

estintiva e non valutando la necessità di un proscioglimento nel merito.

10.4. Quanto alle ipotesi di falso allo stesso addebitate (capi 65, 66, 67), esse devono,

quantomeno, ritenersi estinte per intervenuta prescrizione, sia perché il B.B. non

avrebbe operato come pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni (e dunque, a tutto

voler concedere, lo stesso avrebbe dovuto essere chiamato a rispondere del delitto di cui

all’articolo 482 cp), sia perché gli atti che si assumono falsi non possono ritenersi documenti

fidefacenti ai sensi del secondo comma dell’articolo 476 cp e degli articoli 2699 e 2700 cc.

In merito vengono svolte considerazioni “sovrapponibili” a quelle già illustrate con riferimento

ai ricorsi B.B., A.A e P.P..

Si aggiunge che al B.B. è attribuita, in pratica, la qualifica di “radiologo

dell’associazione”, ma poi -di fatto- gli vengono attribuiti solo tre episodi su 107 capi

d’imputazione, nell’ambito della operatività di un’associazione, che sarebbe stata attiva dal

1999 al 2004. Un profilo di particolare illogicità si riscontra nella sentenza di appello quando

essa assume che il ricorrente si sarebbe rivolto proprio al suo acerrimo nemico, il dott.

Tagliaferri, per ottenere il cosiddetto “referto di comodo”. La corte territoriale non ha saputo

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seguito nella sentenza impugnata. L’atteggiamento doloso del ricorrente viene fatto discendere

unicamente dalla considerazione che i casi in cui lo stesso sarebbe rimasto coinvolto sono

numerosi, nonostante che agli atti processuali nulla risultasse a carico del A.A diverso

dalla sua conoscenza del Latini come paziente che a lui si era rivolto per essere curato.

Dunque: un mero indizio è stato trasformato in una prova piena della pretesa, costante

disponibilità di questo ricorrente a prestarsi -in via continuativa- in favore dell’ipotizzata

associazione criminosa.

La petizione di principio è evidente.

9.6. Con riferimento alla sussistenza dell’aggravante di cui al secondo comma

dell’articolo 476 cp, questo ricorrente sviluppa considerazioni analoghe a quelle sopra illustrate

a proposito dei ricorsi P.P. e B.B..

Infine, il ricorrente si duole per l’assoluta mancanza di motivazione con riferimento alla

ritenuta equivalenza tra le riconosciute attenuanti generiche e la (erroneamente contestata)

aggravante di cui al secondo comma dell’articolo 476 cp sulla assoluta carenza di motivazione

in ordine alla richiesta di concessione del beneficio della non menzione, atteso che al

medesimo imputato è stato comunque concesso il beneficio della sospensione condizionale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi, pur non inammissibili, sono, tuttavia, non fondati per le ragioni che di

seguito si specificheranno.

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superare l’ostacolo logico consistente nel fatto che, ben potendo il ricorrente falsificare

autonomamente le firme, magari facendo uso delle sottoscrizioni scannerizzate che egli

legittimamente deteneva, lo stesso si sarebbe rivolto a una persona che, come la stessa

sentenza ammette, aveva motivo di astio e di rancore nei suoi confronti. Ciò inficia in radice la

ricostruzione dell’episodio che vede quali protagonisti Smith Catherine e Latini. In merito,

sarebbe stato risolutivo il confronto tra Tagliaferri e B.B., confronto arbitrariamente

negato. Con una motivazione nient’affatto convincente, la corte di merito sostiene che la

richiesta avanzata al Tagliaferri (di redigere una falsa diagnosi) non fosse una vera richiesta,

ma solo un espediente per sondare il terreno. L’assurdità di tale assunto era stata fatta notare,

ma, sul punto, vi è addirittura carenza grafica di motivazione. Ne consegue che non vi è alcun

rapporto tra il certificato della Smith e il ricorrente. Peraltro risulta chiaramente che Latini e

Smith, successivamente al rifiuto del Tagliaferri, si recarono autonomamente dall’altro

radiologo, Bardelli, a firma del quale fu poi redatto -di fatto- il referto.

10.6. Quanto al capo 65), risulta che la sottoscrizione del referto radiologico fu del dott.

Malventi, la cui posizione è stata archiviata. Dunque: non si comprende in qual maniera debba

essere chiamato a rispondere di tali atti il ricorrente, atteso che, se si volesse ritenere, nel

caso di specie, ravvisabile un falso per induzione, va detto che né nel capo d’imputazione né

nella sentenza mai -esplicitamente o implicitamente- si adombra tale possibilità.

Quanto al capo 67), esso è formulato in maniera così generica che si deve ritenere la ipotesi di

contestazione, in sostanza, mancante, con conseguente violazione del diritto di difesa o,

quantomeno, con conseguente nullità ai sensi degli articoli 521 e 522 cpp. In realtà, il capo

predetto non si riferisce ad alcun episodio specifico, esso non indica data e luogo di

consumazione, né fornisce altri elementi utili per articolare una consapevole difesa.

10.7. Quanto alle cosiddette dichiarazioni spontanee e all’interrogatorio reso dalk

B.B. al PM, va innanzitutto chiarito che, unitamenteA sentenza di primo grado, sono

state impugnate tutte le ordinanze emesse dal tribunale di Livorno in merito.

La perquisizione eseguita il 5 marzo 2004 alle ore 4.30 del mattino è stata documentata in un

verbale nel quale viene indicato come difensore di ufficio nominato tale avvocato Sbrighi, privo

di nome di battesimo, di numero telefonico e di altre indicazioni utili al suo rintraccio. Si tratta

di un modus operandi contrario al dettato dell’articolo 369 bis (comma primo e secondo, lett.

b) cpp, che determina la nullità dell’informazione di garanzia incorporata nel decreto di

perquisizione e sequestro e che determina anche la nullità di tutti gli atti successivi. B.B.

solo alle 15.30 di quello stesso giorno (a seguito di indebita sostituzione dei difensori d’ufficio,

avvenuta alle 14.00) fu ammesso a rendere interrogatorio. Fino a quell’ora, egli fu

indebitamente trattenuto in attesa dell’incontro con il PM, senza che gli fosse data la possibilità

di rifocillarsi o di colloquiare con il difensore. L’interrogatorio si protrasse fino alle le 22.30 e fu

poi interrotto in quanto il ricorrente si sentì male (crisi diabetica), tanto che fu chiamato il

soccorso del 118. È evidente allora che l’interrogatorio in questione fu reso in condizioni

psicofisiche tali da inficiarne il contenuto e la validità.

10.8. In sintesi: B.B. non fu edotto della facoltà di astenersi da rendere

dichiarazioni, non fu edotto della facoltà di nominare un difensore, fu trattenuto senza alcuna

spiegazione in attesa dell’interrogatorio, non fu messo in condizione di conferire con un

difensore, non fu destinatario di invito a presentarsi (né intervenne decreto motivato del PM in

ordine alle ragioni dell’urgenza), fu assistito da un difensore d’ufficio diverso da quello

originariamente nominatogli e col quale (sci!. avv. Sbrighi), data la scarsità delle indicazioni,

non fu in grado di mettersi in contatto.

Così stando le cose, è evidente che la pretesa confessione resa al PM non ha alcuna valenza e

rilievo processuale. Peraltro l’imputato ha sempre negato di avere manifestato l’intenzione di

rendere spontanee dichiarazioni; in ogni caso tali dichiarazioni sono inutilizzabili ai sensi

dell’articolo 63 comma secondo del codice di rito.

È dunque necessario esaminare preliminarmente la questione relativa alla eventuale

prescrizione della fattispecie criminosa “superstite” (artt. 110, 117, 479, 476, 61 n. 2 cp; cfr.

capi di imputazione 19, 21, 23, 28, 31, 34, 42, 46, 48, 50, 53, 59, 65, 66, 67).

2.1. La problematica va affrontata, in realtà, sotto un duplice aspetto, dovendo essere

chiarito: a) se il referto rilasciato da medico ospedaliero operante in una struttura pubblica sia

atto fidefacente, b) in caso di risposta positiva, se, nel caso in esame, mancando una esplicita

contestazione della aggravante ex art. 476 comma secondo cp ed essendo quantomeno dubbia

la contestazione in fatto, la predetta aggravante debba essere ritenuta “operativa”.

2.2. Ebbene, quanto al quesito sub a), la risposta non può che essere positiva, alla luce

della giurisprudenza di questa sezione e, in particolare di una non lontana pronunzia

esattamente in termini, in base alla quale è stato affermato (ASN 200707921-RV 2365189)

che integra il delitto di falsità materiale commesso dal pubblico ufficiale in atto pubblico

fidefacente, la condotta del medico ospedaliero che rediga un certificato con false attestazioni,

in quanto ciò che caratterizza l’atto pubblico fidefacente, anche in virtù del disposto di cui

all’art. 2699 cc, è -oltre all’attestazione di fatti appartenenti all’attività del pubblico ufficiale o

caduti sotto la sua percezione- la circostanza che esso sia destinato ab initio alla prova e cioè

precostituito a garanzia della pubblica fede e redatto da un pubblico ufficiale autorizzato,

nell’esercizio di una speciale funzione certificatrice; ne deriva che la diagnosi riportata nel

certificato ha natura di fede privilegiata, essendo preordinata alla certificazione di una

situazione, caduta nella sfera conoscitiva del pubblico ufficiale, certificazione che assume anche

un rilievo giuridico esterno rispetto alla mera indicazione sanitaria o terapeutica.

Nella fattispecie allora in esame, il medico aveva aggiunto al testo originario l’ulteriore falsa

attestazione della rottura dei denti incisivi dell’arcata superiore del paziente e ciò allo scopo di

garantirgli un più cospicuo rimborso (conforme più recentemente: sez. VI, ASN 201112401-RV

249633).

Orbene è di tutta evidenza che il referto (nel caso che occupa, ortopedico) è atto opponibile a

tutti, atto in base al quale, non solo, si attiva (si può attivare) l’iter terapeutico, ma anche atto

che può essere fatto valere in giudizio, che può essere presentato a un ente previdenziale,

ovvero, come nel caso in esame, atto che può essere posto alla base di una richiesta

risarcitoria in esecuzione delle disposizioni di un contratto di assicurazione. Ed è proprio questa

sua valenza erga omnes, che, pur non rappresentandone l’essenza, costituisce un riconoscibile

indicatore della natura fidefacente dello stesso.

2.3. In senso contrario si deve rispondere al quesito sub b).

È pacifico che i capi di imputazione che in questa sede interessano non recano alcuna esplicita

indicazione della fidefacenza dell’atto che assumono falso, né recano la indicazione del secondo

comma dell’art. 476 cp. La natura fidefacente non viene nemmeno indicata “in fatto”, con

l’uso, vale a dire, di sinonimi o con il ricorso a formule verbali equivalenti. L’unico riferimento

formale è nell’uso delle espressioni “allo scopo di ottenere la refertazione” e “refertava

falsamente”.

Si tratta di una contestazione oggettivamente criptica, non intelligibile e che -con ogni

probabilità- non è nemmeno sintomatica dell’intenzione del PM di contestare l’aggravante in

questione. In altre parole, l’imputato e il difensore avrebbero dovuto intuire che, poiché il capo

di imputazione faceva riferimento a referti (rectius: alla attività di refertazione), per ciò solo,

doveva intendersi contestata l’aggravante in discorso.

2.4. Si legge nella sentenza di appello (pag. 79) che i giudici di primo grado avrebbero,

essi per primi, ritenuto sussistente la aggravante de qua, ma, come acutamente osserva uno

dei difensori ricorrenti, ciò è quantomeno dubbio, atteso che la sentenza di primo grado opera

un giudizio di equivalenza tra le riconosciute

attenuanti generiche e la aggravante (al singolare) contestata, che altra non può essere se non

quella di cui all’art. 61 n. 2 cp, la cui menzione compare esplicitamente (e da sola) nei capi di

imputazione che qui interessano.

Dunque: il secondo comma dell’art. 476 cp deve ritenersi non essere mai stato contestato -né

esplicitamente, né in fatto- agli imputati e che esso non possa essere semplicemente ritenuto

in sentenza (ammesso che lo sia stato, atteso il contenuto del giudizio di bilanciamento appena

ricordato) è, ormai, conseguenza dei vincolanti orientamenti della Corte EDU (cfr. sent.

Drassich vs Italia in data 1.12.2007 e, precedentemente, Pelissier e Sassi vs Francia in data

25.3.1999). Invero è diritto dell’imputato essere tempestivamente informato dettagliatamente,

tanto dei fatti materiali posti a suo carico, quanto della qualificazione giuridica data a questi

2.5. Deve giungersi dunque alla conclusione che il termine prescrizionale sia maturato

anche per i reati (ritenuti) “superstiti” in quanto, appunto, non aggravati dalla natura

fidefacente dell’atto e ciò, come premesso, non perché detta natura -obiettivamente- non

sussistesse, ma perché la relativa aggravante non risulta essere stata contestata “nei tempi

canonici” agli imputati, con conseguente, irrimediabile lesione del diritto di difesa.

In tal.senso le specifiche censure formulate nei diversi atti di ricorso devono ritenersi fondate;

di conseguenza la sentenza ricorsa va annullata, agli effetti penali, senza rinvio.

3. Non si può tuttavia trascurare il fatto che vi è stato tra i ricorrenti chi ha formulato

specifica doglianza di mancato proscioglimento nel merito (per i reati diversi da quelli di cui ai

capi 19,21, 23, 28, 31, 34, 42, 46,48, 50, 53, 59, 65, 66, 67), pur in presenza di (pretesa)

evidenza di innocenza/estraneità ai fatti contestati. Invero il difensore del B.B.

“sollecita” (testuale) in tal senso questa corte di legittimità.

D’altra parte, la necessità di esaminare i ricorsi agli effetti civili comporta che la decisione di

questo collegio non possa arrestarsi alla semplice costatazione del verificarsi del ricordato

effetto estintivo.

Conviene allora prendere le mosse proprio dal ricorso del B.B..

4. Le censure di carattere processuale sono infondate.

4.1. Quanto alla incompleta indicazione del difensore di ufficio e alla irregolarità della

informazione di garanzia: la corte territoriale ha chiarito che a Livorno esercita un solo

avvocato Sbrighi, con la conseguenza che nessuna difficoltà avrebbe avuto il ricorrente, se

avesse avuto intenzione di farlo, a mettersi in contatto con il predetto.

È tuttavia il caso di osservare che nel ricorso non si sostiene affatto che il B.B. abbia

tentato vanamente un contatto con il nominato difensore, di talché la censura proposta sembra

avere carattere meramente teorico e astratto.

In ogni caso, la giurisprudenza di questa corte (ASN 201141092-RV 251382) ha chiarito che

l’omessa indicazione, nell’informazione sul diritto di difesa ex art. 369 bis cpp, dei requisiti ivi

prescritti (nella specie, l’indirizzo e il recapito telefonico del difensore d’ufficio), integra una

nullità generale a regime intermedio, da ritenersi sanata ove non tempestivamente dedotta

(conf. ASN 200610475-RV 233803). Tale è il caso in esame.

4.2. Quanto alla sostituzione del difensore di ufficio: essa deve ritenersi legittima se il

difensore nominato ab origine non ha svolto alcuna incombenza difensiva e non si è attivato in

favore del proprio assistito (ASN 200924582-RV 243820), atteso che in questo caso non opera

il principio della immutabilità della difesa sino alla eventuale dispensa dall’incarico o nomina

fiduciaria, ma viene ancor più assicurata una concreta difesa per gli atti processuali ancora da

compiersi (ASN 200525812-RV 231816). Tale è -ancora una volta- il caso in esame.

4.3. Quanto alle dichiarazioni spontanee e all’interrogatorio reso dal B.B. al

pubblico ministero, premesso che dette dichiarazioni ex comma settimo art. 350 cpp (rese

dall’indagato alla polizia giudiziaria) sono pienamente utilizzabili nella fase delle indagini

preliminari (SU sent. n. 1150 del 2009, ric. Correnti RV 241884), il loro contenuto, nel caso in

esame, è irrilevante, in quanto dette dichiarazioni sono state “superate” dall’interrogatorio

reso, con l’assistenza del difensore, dal B.B. al pubblico ministero procedente,

interrogatorio che, fino a prova del contrario, deve ritenersi sia stato richiesto (o, quantomeno,

accettato) dal ricorrente.

10

ultimi. Nel caso allora in esame, la Corte europea rilevò che il ricorrente era stato condannato

per un reato diverso rispetto a quello per il quale era stato rinviato a giudizio. La condanna era

infatti intervenuta in relazione all’art. 319 ter (corruzione in atti giudiziari), ipotesi ritenuta

dalla giurisprudenza di questa corte figura autonoma di reato; ciò era avvenuto senza che la

modifica del nomen iuris fosse stata comunicata all’imputato in alcuna fase della procedura,

con conseguente violazione del paragrafo terzo lett. a) e b) dell’articolo 6 CEDU.

Ebbene, nel caso oggi in esame, il riferimento al secondo comma dell’art. 476 cp, vale a dire

alla ipotesi aggravata di falso in atto pubblico, è stata -ambiguamente e contraddittoriamente,

come si è visto- ritenuta in sentenza di primo grado (e confermata in secondo), ma non è

dubbio che il rapporto processuale si è instaurato con riferimento a una contestazione che non

aveva adeguatamente esplicitato la sussistenza della aggravante de qua.

Passando all’esame delle ulteriori censure proposte nell’interesse del B.B.,

appare opportuno ricordare la genesi delle indagini che hanno dato luogo al presente

procedimento, così come illustrate nella sentenza impugnata.

5.1. Gli accertamenti della polizia giudiziaria e del pubblico ministero hanno avuto

origine da un esposto del dott. Tagliaferri, il quale aveva riferito che il capo tecnico di

radiologia B.B. un giorno, consegnandogli alcune radiografie, gli aveva chiesto di

redigere un referto relativo a tale Smith Catherine, referto che, nelle intenzioni del B.B.,

avrebbe dovuto attestare, contrariamente a quanto evidenziavano le lastre, la sussistenza di

lesioni ossee a carico della predetta. Egli aveva rifiutato, ma successivamente aveva accertato

che altro radiologo, il dottor Bardelli, aveva redatto (o sottoscritto) il referto richiesto dal

B.B..

5.2. Avviatasi l’attività di indagine, si era accertato che la Smith era stata

accompagnata in ospedale da tale Latini Mauro e che anzi proprio la presenza di quest’ultimo

aveva insospettito il tecnico di radiologia Rosa Giovanni, il quale, solo a seguito delle insistenze

del B.B., si era deciso a eseguire le radiografie.

La consulenza tecnica disposta in corso di indagini (e i cui risultati sono stati asseverati nel

corso della istruzione dibattimentale) aveva consentito di accertare che le lesioni di cui al

referto Smith, in realtà, non sussistevano.

La donna, per parte sua, esaminata in incidente probatorio, aveva ammesso di non aver

riportato alcuna lesione all’esito di incidente stradale, ma di essersi infortunata in discoteca e

di avere quindi accolto l’invito del Latini a recarsi con lui in ospedale allo scopo di ottenere

falsa documentazione, che le avrebbe consentito di richiedere un risarcimento alla compagnia

assicuratrice. Ella avrebbe dovuto sostenere di essere rimasta vittima di un investimento

mentre andava in bicicletta. Sempre la Smith ha aggiunto che era d’accordo con il Latini a

dividere al 50% il risarcimento che avrebbe incassato dalla compagnia assicuratrice. La donna

ha precisato che, una volta entrata nell’ospedale di Livorno in compagnia del Latini,

quest’ultimo la aveva condotto proprio dal B.B., il quale, facendo scorrere le immagini

su di un computer, aveva “scelto” il tipo di lesione che poteva meglio adattarsi al suo caso (in

effetti ella aveva riportato un leggero trauma a un ginocchio, essendo caduta al suolo mentre

era in discoteca). Individuata la lesione da (falsamente) denunciare e fatte eseguire le

radiografie, il B.B. si era quindi allontanato per far firmare il relativo referto, ma era poi

tornato a mani vuote, sostenendo che il medico che aveva incontrato si era rifiutato di firmare.

Subito dopo, sempre secondo il racconto della Smith per quel che si legge in sentenza, il

B.B. si era posto in contatto telefonico con altro medico, tale Andrea, che aveva

convocato in ospedale e dal quale aveva ottenuto l’agognata firma in calce al mendace referto.

Le dichiarazioni della Smith, ha osservato la corte fiorentina, riscontrano adeguatamente in

parte qua le spontanee dichiarazioni e il contenuto dell’interrogatorio reso dal B.B. al

pubblico ministero. Esse consentono di inquadrare tanto la condotta di quest’ultimo, quanto la

figura del Latini, vero dominus e motore dell’attività truffaldina, posta in essere in danno di

varie compagnie assicuratrici.

D’altra parte, a casa del Latini, a seguito di perquisizione operata in data 3 marzo 2004, furono

rinvenuti ben 25 fascicoli relativi a incidenti stradali e pratiche assicurative, fascicoli che

contenevano moduli di denuncia di sinistro, schemi di nomina di legali, copie di lettere, appunti

e conteggi vari, relativi a programmate spartizioni (tra il finto infortunato, il Latini, e altre

persone indicate come “medico” e “avvocato”) delle somme che ci si aspettava di incassare a

titolo di risarcimento danno.

Si deve poi ritenere che lo stato di prostrazione psico-fisica dell’indagato sia insorto verso la

fine dell’interrogatorio, atteso che ad esso assistette il difensore, che, per quanto non

destinatario di una nomina fiduciaria, deve ritenersi -ancora una volta fino a prova del

contrario- abbia adeguatamente tutelato la libertà morale (e la salute pisco-fisica) del suo

assistito.

La corte territoriale, d’altra parte, ricava dallo stesso contenuto dell’interrogatorio (scil, dalla

coerenza delle risposte con le domande, dalla stessa sequenza logica degli argomenti, dalla

dovizia dei particolari forniti) la conclusione che il B.B. era compos sui nel momento in

cui lo rendeva, pur avendolo dovuto interrompere, a una certa ora, per il sopraggiungere di un

malore.

Tanto chiarito, non è dubbio che la corte fiorentina abbia fondato il suo

convincimento, in ordine alla colpevolezza del B.B. , innanzitutto, sulle dichiarazioni della

Smith, del Tagaliaferri e di altri testi o imputati in procedimento connesso; dichiarazioni che

certamente non hanno trovato smentita nella tardiva e poco credibile ritrattazione

dibattimentale operata dal B.B., cui sono state puntualmente contestate la sue

dichiarazioni rese in sede di indagine, dichiarazioni, per quel che si è scritto sopra,

perfettamente utilizzabili.

12

5.3. Quali dunque che fossero i pregressi rapporti tra B.B. e Tagliaferri, sta di

fatto che il racconto di quest’ultimo ha trovato conferma -indiretta ma significativa- in quanto

esposto dalla Smith. Ed è evidentemente sulla base di tale emergenza probatoria che la corte

di merito ritiene veritiero il contenuto dell’esposto (e delle dichiarazioni) del Tagliaferri.

5.4. Partendo da tale considerazione, risulta di tutta evidenza perché non sia stato

disposto, riaprendo l’istruttoria dibattimentale, il confronto tra Tagliaferri e B.B.,

éssendo evidente che a nulla avrebbe portato tale ulteriore approfondimento istruttorio e gli

altri, pur richiesti.

5.5. Che, d’altra parte, l’associazione di cui al capo 1) sia esistita e che abbia visto

come suo perno il Latini deriva dal passaggio in giudicato della sentenza di condanna nei

confronti del predetto (e di Mazzoni Libertaria) a seguito della sentenza 20592/2010 (ud.

1.12.2010, dep. 28.3.2011) della VI sezione di questa corte, sentenza che, annullando la

sentenza di merito con riferimento ad alcuni capi di imputazione (senza rinvio per intervenuta

prescrizione, con rinvio per quanto riguarda l’imputazione di peculato di cui al capo 70), ha

rigettato nel resto i ricorsi dei predetti.

5.6. Le sentenze di merito, per parte loro, mettono adeguatamente in evidenza come

altro plemento essenziale della predetta societas sceleris fosse proprio il B.B., soggetto

in diretto e continuativo contatto con il Latini, soggetto cui il Latini si rivolgeva per ottenere le

radiografie dei finti infortunati, soggetto che, grazie alla sua rete di contatti all’interno

dell’ospedale (nel quale lavorava da decenni), riusciva a ottenere radiografie e diagnosi di

comodo dai sanitari in servizio. La qualifica di “radiologo dell’associazione”, dunque, è

tecnicamente impropria (essendo il B.B. un tecnico di radiologia), ma calzante perché

ne descrive sinteticamente la funzione all’interno della organizzazione criminosa.

5.7. Si sostiene poi che questo ricorrente, a tutto voler concedere, non avrebbe agito in

veste di pubblico ufficiale. La questione, così come posta, appare irrilevante, sia perché,

comunque, il B.B. ha concorso con soggetti che detta qualifica certamente rivestivano (e

dunque, al più, trattasi di concorso nel reato proprio), sia perché, in ogni caso -come

premesso- anche i delitti di falso ideologico commessi da pubblico ufficiale devono ritenersi

prescritti, per mancanza di valida contestazione della aggravante di cui al secondo comma

dell’art. 476 cp.

Va da sé che il coinvolgimento di questo imputato nella societas scelerís di cui al capo 1)

comporta la sua piena partecipazione anche ai delitti (prescritti) di tentata truffa.

La dichiarazione di estinzione dei predetti reati per intervenuta prescrizione è dunque

ineccepibile.

5.8. La prima censura del ricorso B.B., pertanto, è inammissibile per la sua

genericità. Il ricorrente si limita a dolersi del fatto che sia stata pronunziata sentenza di

estinzione dei reati per intervenuta prescrizione, pur in presenza di condizioni per la pronunzia

di assoluzione nel merito. Quali siano tali condizioni, su quali elementi debba fondarsi la

auspicata pronunzia, tuttavia, non è specificato.

La sebtenza ricorsa, viceversa, mette adeguatamente in evidenza, come anticipato, tanto il

racconto della Smith, quanto la natura dei documenti sequestrati a casa del Latini, nonché la

ricostruzione degli ingenti movimenti bancari sui suoi conti correnti, la disponibilità economica

per remunerare i falsi testimoni (cfr. , ad es., dichiarazioni confessorie di Tosi e Pavoletti), la

identità delle modalità operative con le quali le truffe venivano portate ad esecuzione, i

consolidati e abituali rapporti tra Latini, da un lato, B.B. , A.A e P.P., dall’altro.

Si tratta di elementi che hanno fatto ragionevolmente ritenere ai giudici di merito che fosse

viva e operante una vera e propria struttura delinquenziale, con divisione di ruoli e compiti e

con un consolidato knowhow criminale.

Infondate sono anche le censure proposte nell’interesse di A.M.

7.1. Invero, quanto alla dedotta incompatibilità dell’ufficio di difensore con riferimento a

vari indagati/imputati, come già rilevato dalla corte d’appello, detta incompatibilità non

sussiste. La incompatibilità rilevante nel processo penale con riferimento all’ufficio del

difensore è quella di natura -appunto- processuale e non sostanziale; vale a dire che è

incompatibile quel difensore, che, assistendo più soggetti, debba sostenere tesi tra loro

contrastanti, di talché l’affermazione di una tesi comporti necessariamente la sconfessione

della tesi opposta e, quindi, la tutela degli interessi processuali di un imputato si sviluppi a

detrimento di quella di un altro. Nel caso in esame (a parte il fatto che i tre ricorrenti avevano

tutti la veste di pretesi danneggiati e -dunque- pretesi creditori della compagnia assicuratrice,

con posizione, pertanto, anche per quel che riguarda gli interessi sostanziali, certamente

convergenti e compatibili), tutte le persone assistite dal medesimo difensore d’ufficio erano

imputate di concorso nei medesimi reati e da tale accusa essi dovevano difendersi. È evidente

-allora- che sussisteva, nel caso in esame, un “fronte comune”, che ben poteva essere gestito

da un unico difensore. Il fatto che, denunciando un falso sinistro, sarebbe poi aumentato il

premio di colui che figurava (apparentemente) come il responsabile/danneggiante è,

ovviaínente, circostanza che gli imputati avevano accettato ab initio e che, evidentemente,

faceva parte del loro patto collaborativo criminale.

7.2. Le residue censure, come lo stesso estensore del ricorso riconosce, consistono

puramente e semplicemente nella riproposizione (anzi nella ri-trascrizione) delle censure

presentate al giudice d’appello e da quest’ultimo motivatamente respinte (cfr. sentenza di

appello pagine 98, 123, 124, 137, 169, 199). Esse sono dunque inammissibili per genericità.

Non vengono risparmiate a questo giudice di legittimità nemmeno le trascrizioni di interi brani

di deposizione dei consulenti tecnici, quasi che la corte di cassazione potesse valutare

frammenti di prove, estratti, a piacimento del ricorrente, dall’intero compendio probatorio

emerso nel corso del dibattimento.

7.3. Non è poi in base all’assioma del “non potevano non sapere” che è stata affermata

la responsabilità di A.M, D.B e F.F, quanto piuttosto (cfr. sentenza pagina 172) in

considerazione del fatto che “il meccanismo messo in moto a partire dalle false refertazioni non

può che contare sull’attiva e sulla indispensabile collaborazione del paziente, che non solo è il

primo interessato a lucrare le somme liquidate dalle compagnie assicuratrici, ma che deve, per

così dire, reggere la parte in ognuna delle scansioni in cui si articola il procedimento volto

all’indebito risarcimento, sicché deve ritenersi impossibile che tutto avvenga senza il suo

fattivo coinvolgimento e quindi a sua insaputa”.

8. Con riferimento ai ricorsi B.M., si deve innanzitutto rilevare come sia priva di

qualsiasi fondamento logico l’assunto in base al quale, poiché i due imputati si sono

effettivamente recati in ospedale, l’incidente da loro denunciato sarebbe effettivamente

avvenuto. E’ agevole replicare che, se i due imputati volevano procurarsi, con l’aiuto

dell’onnipresente Latini, documentazione sanitaria necessaria per truffare l’assicurazione, gli

stessi dovevano necessariamente recarsi in ospedale. Tale d’altra parte, per quel che si legge

sentenza, era il collaudato modus operandi del W Latini stesso, di talché il “passaggio” in

ospedale e la redazione del falso referto costituivano tappe indispensabili dell’iter necessario

per ottenere il non dovuto rimborso dalla compagnia assicuratrice.

8.1. Rappresenta un argomento suggestivo, ma sostanzialmente privo di pregio, quello

in base al quale, ben potrebbero i due B.M-B.P.(così come era occorso alla Smith) avere

effettivamente riportato lesioni, ma non in incidente stradale. In tal caso, sarebbe ipotizzabile il

delitto di truffa (prescritto) ma non quello di falso perché il referto testimonierebbe la effettiva

sussistenza di lesioni (sia pure diversamente causate).

Sta di fatto, tuttavia, che, a differenza della Smith, questi due imputati non hanno mai

sostenuto di essersi comunque diversamente infortunati e quella prospettata, quindi, non è

altro che una ipotesi di scuola, formulata dal loro difensore, un’ipotesi astratta, priva di

concreta rilevanza nel caso che occupa.

8.2. Quanto al fatto che essi avrebbero ottenuto un referto a firma del dottor Bordelli e,

dunque, di persona risultata poi estranea ai fatti criminosi per i quali si procede, la circostanza,

di per sé, non appare risolutiva, attesa comunque la oggettiva falsità del referto (a prescindere

dunque dalla eventuale buona fede e dalla posizione stessa del predetto sanitario).

13

Bianco.

14

Nel ricorso proposto nell’interesse di P.P. sono contenute affermazioni che non

rispecchiano quanto può leggersi in sentenza. Si sostiene infatti che questo imputato si

sarebbe sempre conformato alle indicazioni fornite dai medici radiologi che lo avevano

preceduto.

Si legge viceversa in sentenza che, quanto ai casi Bettini e Cottini, costoro, effettivamente

vittime di un incidente stradale, all’esito del primo accesso in ospedale, furono dimessi con una

diagnosi negativa di fratture ‘ com’era stato radiologicamente accertato. Gli stessi, tuttavia,

ritornati in ospedale il giorno seguente (dopo che la madre della Bertini aveva avuto un

contatto telefonico con Latini), avevano visto radicalmente mutare la diagnosi e, anche sulla

base di nuove (incoerenti) indagini radiologiche, il P.P. aveva redatto un referto che

attestava la presenza di fratture. Attestazione che tuttavia, come accertato dai consulenti

tecnici, era infedele, in quanto la diagnosi corretta era quella relativa al primo ingresso dei due

pretesi infortunati. I giudici di merito, d’altra parte, ricordano anche la testimonianza di tale

Baldini il quale, avendo saputo che Cottini era stato ingessato, all’esito della seconda “visita” in

ospedale, si era meravigliato non poco vedendolo, alcuni giorni dopo, passeggiare

disinvoltamente (spiccando grandi falcate) con il cane al guinzaglio.

Quanto al caso Morganti, la dinamica sembra essere la stessa. Dopo un incidente

effettivamente verificatosi, la donna si recò in ospedale, dove non le fu riscontrata alcuna

frattura; successivamente la diagnosi mutò e -anche questa volta- avvenne all’esito di un

contatto telefonico con il Latini, contatto che questa volta il P.P. tenne direttamente. Le

lastre per altro furono anche oggetto di un “fotoritocco” (sentenza pag. 198).

Quanto a Bartalini e Grassini, si legge in sentenza che l’incidente da costoro denunziato fu

inventato di sana pianta. Sul punto viene ricordata la piena ammissione del secondo e la

rinunzia ai motivi di appello -diversi da quelli relativi al trattamento sanzionatorio- operata dal

primo.

Grassini in particolare ebbe a riferire che il falso incidente fu programmato a tavolino in

collaborazione con altri e sotto la regia del solito Latini, il quale li guidò all’interno

dell’ospedale, consentendo loro di “saltare” la fase dell’accettazione, tanto che essi furono

accompagnati direttamente nella sala raggi, dove un tecnico di radiologia li sottopose ad

accertamenti, appunto, radiologici. Essi furono quindi ingessati.

È da rilevare che Grassini non ricorda affatto di essere stato visitato da alcun medico.

Ovviamente la consulenza tecnica disposta in corso di indagini ha accertato l’assoluta assenza

di fratture in danno dei due predetti.

9.1. Ebbene si legge in sentenza (pagina 190) che, sul punto, P.P. si è difeso

sostenendo di essere stato vittima di una sostituzione di persona. In altre parole egli ha

ipotizzato che Latini gli abbia presentato altre due persone (non dunque Bartalini e Grassini),

effettivamente infortunate e che con riferimento a questi due soggetti egli abbia redatto un

referto (dunque veritiero), attestante le fratture.

Tale linea difensiva viene, non a torto, definita “acrobatica” dal giudice di secondo grado, in

quanto effettivamente giocata sul filo di una labilissima credibilità. La corte d’appello, infatti,

sviluppa considerazioni in base alle quali giudica assolutamente non credibile la versione del

ricorrente: innanzitutto, non si vede perché Latini, avendo a disposizione due “veri” infortunati,

avrebbe dovuto poi far intestare le pratiche a due persone che non avevano nemmeno subito

un incidente; in secondo luogo, non si comprende i due infortunati che fine avrebbero fatto e

per qual motivo non si sarebbero fatti curare e ingessare (avendone, evidentemente, obiettiva

necessità). Non resterebbe che ipotizzare che queste persone, trascinandosi -benché ferite- in

ospedale, mosse da una inspiegabile “filantropia criminale”, abbiano messo le loro fratture “a

disposizione” di altri per consentire loro di consumare una truffa in danno di una compagnia

assicuratrice.

L’ipotesi, che appare irriguardosa per l’intelligenza delle persone cui è prospettata, non merita

commento.

9.2. Quanto alle dichiarazioni del Balma (pagina 193), esse sono assolutamente neutre

in quanto il predetto ortopedico si è limitato a precisare che nel pronto soccorso non si chiede il

documento di riconoscimento ai ricoverati.

9.3. Sulla base di tutto quanto precede, da un lato, si deve ribadire che, contrariamente

a quello che ha affermato il P.P., non è affatto vero che egli sia sempre conformato alle

diagnosi provenienti dai colleghi radiologi e, in secondo luogo, che, con specifico riferimento al Il ricorso proposto nell’interesse di AA è, in parte infondato, in parte,

inammissibile.

Quanto all’episodio A.M. e F.F., la corte di appello mette in evidenza (pagina 173) come,

nel corso della perquisizione operata in danno del Latini, sia stato trovato un appunto relativo

al sinistro che pretesamente avrebbe coinvolto i due predetti, appunto nel quale, detratte le

somme dovute ad un avvocato ed un dottore e quelle da imputare alle spese vive, il residuo

venivà ripartito in ragione del 50% tra il Latini e i suoi “clienti”.

10.1. Quanto al cosiddetto “effetto di mascheramento”, la sentenza pone in evidenza

come, per le lesioni successivamente diagnosticate al ricorrente, il dolore sarebbe stato così

intenso che A.M. e F.F. avrebbero dovuto avvertirlo immediatamente, vale a dire al

momento del ricovero presso l’ospedale di Cecina. In quella circostanza, viceversa, venne

refertato tutt’altro tipo di lesione (di minore gravità). L’aggravamento avvenne solo il giorno

successivo e grazie all’intervento proprio del A.A. Si tratta di considerazioni tutt’altro che

inincidenti, considerazioni però del tutto trascurate dal ricorrente, il cui atto di impugnazione,

sul punto, quindi appare affetto da assoluta aspecificità.

10.2. Quanto al caso dei due B.M-B.P., la corte d’appello (pagina 176) pone in

evidenza come, dopo un primo referto radiografico completamente negativo, un altro ne sia

stato compilato 10 giorni dopo, utilizzando la password del dott. Bardelli. Solo tale successivo

referto è posto alla base della diagnosi messa a punto dal A.A, il quale si è giustificato

sostenendo che egli si fidava solamente dei radiologi Bardelli e Malventi. Fatto sta che tale

referto attestava lesioni, in realtà, insussistenti e fatto sta che la attività certificativa del

AA fu preceduta da intensi contatti telefonici con il Latini. Come se non bastasse, la corte

d’appello pone in evidenza come tra i protagonisti della vicenda figuri Bartalini Antonio, vale a

dire lo stesso soggetto che si è già incontrato a proposito della posizione del P.P., quale

partner del Grassini. Bartalini, una prima volta, figurava come vittima di investimento, mentre

nel “caso B.M.” figura come investitore. E proprio dalla valutazione, complessiva e non

atomistica, di tutti tali elementi, che la corte di merito (concordando col tribunale) giunge alla

conclusione, certo non logicamente incompatibile, che l’incidente non abbia avuto le

conseguenze che il A.A ebbe ad attestare e che -quindi- il predetto ortopedico fosse

pienamente consapevole di stare attestando il falso.

10.3. Considerazioni non dissimili vengono formulate con riferimento al caso Ciavattari.

Invero, ad un primo accertamento radiografico relativo ad una scapola (referto corretto con

l’indicazione successiva e con riferimento a incidente stradale), ne seguì altro, all’esito di

contatti telefonici tra la Ciavattari e il Latini. Costei infatti si portò di nuovo in ospedale e il

A.A. le diagnosticò inesistenti lesioni in altre parti del corpo, parti che, all’atto della prima

visita, la donna non aveva mai indicato come doloranti. “In sanatoria” interveniva -appuntocertificazione radiografica relativa a tali altri distretti corporei. Ma tale certificazione è stata

giudicata del tutto falsa dai consulenti del pubblico ministero.

10.4. Particolare poi è il “caso Marzovilla”. Si tratta dell’ex genero del Latini, il quale non

ha contestato l’affermazione di responsabilità. AA ha inteso difendersi sostenendo che,

quand’anche fosse falsa la dichiarazione di un incidente stradale, nondimeno il soggetto

presentava importanti lesioni, rispetto alle quali era stata diagnosticata pregressa frattura

ossea. Sta di fatto che, anche questa volta (cfr. sentenza pagina 184), gli accertamenti tecnici

hanno consentito di accertare la falsità della diagnosi.

15

caso Bartalini-Grassini, la sentenza ricorsa mette in adeguata evidenza come la diagnosi di

comodo dovette necessariamente essere redatta con la piena consapevolezza di stare

affermando il falso.

9.4. D’altra parte (e ad abundantiam), è da notare che costituisce massima di comune

esperienza quella in base alla quale gli ortopedici, ricevute le radiografie, oltre a leggere lo

scritto del collega che le ha eseguite o fatte eseguire, hanno la corretta abitudine di osservarle

attentamente e personalmente, allo scopo di utilizzarle come base della visita che essi stessi si

accingono a svolgere. Ciò costituisce ulteriore ragione di incredibilità della linea difensiva che,

reiterando affermazioni già contenute nell’atto d’appello, la difesa del P.P. ha ritenuto di

sottoporre a questa corte di legittimità.

9.5. Conclusivamente, dunque, anche il ricorso del predetto deve ritenersi infondato. Pur essendo dunque i delitti ascritti agli attuali ricorrenti tutti estinti per

prescrizione, i ricorsi vanno rigettati ai fini delle statuizioni civili, non essendo stata scalfita

dalle censure proposte dai ricorrenti la struttura della ricostruzione dei fatti-reato operata dai

giudici del merito.

• 12. I tre ricorrenti che rivestivano la qualifica di dipendenti ospedalieri, nei confronti dei

quali è intervenuta costituzione di parte civile ASL 6 di Livorno (B.B. , AA e

P.P.) vanno condannati al ristoro delle spese sostenute dalla predetta parte in questa fase

del procedimento, spese che si liquidano come da dispositivo.

PQM

annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali per essere i reati estinti per

intervenuta prescrizione; rigetta tutti i ricorsi agli effetti civili e condanna in solido B.B.

Pierluigi, A.A. e P.P. alla rifusione delle spese sostenute in questo

grado di giudizio dalla parte civile ASL n. 6 Livorno, spese che liquida globalmente in

complessivi euro 7000 (settemila), oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, in data 13 febbraio 2014.-

10.5. Quanto infine al referto relativo al Voliani, la corte toscana chiarisce per qual

motivo non sia credibile che il AA si sia semplicemente sbagliato nel redigere la sua

diagnosi (cfr. pagine 186 e 187).

In sintesi, il fatto che anche questo “paziente” risulti assistito dal Latini, il fatto che il modus

operandi sia il medesimo, il fatto che siano stati accertati rapporti continuativi tra A.A. e

Latini sono elementi posti a base del convincimento dei giudici del merito anche per quel che

riguarda il “caso Voliani”.

E invero i contatti frequentissimi tra Latini e A.A. (così come quelli tra Latini e P.P.)

sono stati giustificati dagli imputati in considerazione del fatto che il Latini sarebbe un cliente

abituale dei due predetti medici (entrambi, per altro, ortopedici); ma sta di fatto che, anche

volendo accettare per vera tale situazione, la frequenza e la cadenza dei contatti telefonici, la

loro coincidenza con le “visite” dei falsi infortunati (alcuni dei quali confessi sul punto) sono

elementi che i giudici del merito mettono in adeguato rilievo e dai quali traggono non illogiche

(ma anzi necessitate) conclusioni.

10.6. Il mancato accoglimento dell’appello del pubblico ministero che si doleva della

assoluzione del A.A. (e del P.P.) dal delitto di corruzione discende, come si legge in

sentenza (pagina 202 ss.), dal fatto che, pur dovendo ragionevolmente ipotizzarsi che i due

ortopedici non si prestassero gratuitamente a rilasciare referti ideologicamente falsi, tuttavia

non è stata rinvenuta positiva traccia di danaro o di altra utilità corrisposti in loro favore. Si

tratta di argomentazione che può anche non essere condivisa sul piano logico, ma che, di per

sé, non inficia la coerenza del ragionamente relativo alla sussistenza degli estremi per ritenere

i due predetti sanitari colpevoli dei falsi loro addebitati.

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