Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 12208 del 08/01/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 12208 Anno 2014
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: GUARDIANO ALFREDO

SENTENZA

sui ricorsi proposti da
Cotena Pasquale, nato a Napoli il 31.5.1982; Giaquinto Gennaro, nato a
Napoli il 12.2.1986; Capaccio Raffaele, nato a Napoli il 26.7.1984,
avverso la sentenza pronunciata dalla corte di appello di Salerno il
4.4.2013;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Alfredo Guardiano;
udito il pubblico ministero nella persona del sostituto procuratore
generale dott. Mario Fraticelli, che ha concluso per l’annullamento con
rinvio della sentenza impugnata limitatamente alla sospensione
condizionale della pena, in ordine alla posizione del Capaccio, nonché
per l’inammissibilità dei ricorsi Cotena e Giaquinto.
FATTO E DIRITTO

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Data Udienza: 08/01/2014

1. Con sentenza pronunciata il 4.4.2013 la corte di appello di Salerno, in
parziale riforma della sentenza con cui il giudice per le indagini
preliminari presso il tribunale di Nocera Inferiore, in data 18.9.2012, in
sede di giudizio abbreviato, aveva condannato Cotena Pasquale,
Giaquinto Gennaro e Capaccio Raffaele, imputati del reato di cui agli

artt. 110, 624 bis, 625, co. 1, n. 2) e n. 5), co. 2, c.p. (capo 1), in esso
assorbito il reato di cui all’art. 707, c.p., contestato nel capo 2), alla
pena ritenuta di giustizia, rideterminava in senso più favorevole agli
imputati il trattamento sanzionatorio, confermando nel resto l’impugnata
sentenza.
2. Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiedono
l’annullamento, gli imputati hanno tempestivamente proposto autonomi
ricorsi per Cassazione, il Cotena personalmente, a mezzo del loro
difensore di fiducia il Giaquinto ed il Capaccio, articolando distinti motivi
di impugnazione.
3. Il Cotena, in particolare, lamenta violazione di legge e vizio di
motivazione della sentenza impugnata, in quanto la corte territoriale, da
un lato non ha indicato le ragioni in base alle quali ha ritenuto di dovere
affermare la sussistenza della contestata recidiva reiterata di cui all’art.
99, co. 4, c.p., pur in presenza di precedenti penali dell’imputato relativi
a reati lontani nel tempo, di differente natura e di non eccessivo allarme
sociale, dall’altro ha ritenuto sussistente la circostanza aggravante di
avere agito con violenza sulle cose, avendo adoperato un cacciavite per
sollevare la maniglia della porta che consentiva l’accesso all’abitazione
dove fu consumato il furto, senza che si sia verificata quella modifica,
anche parziale o transitoria, della funzionalità della cosa necessaria ad
integrare l’aggravante in questione.
4. Il Giaquinto lamenta la mancanza di motivazione dell’impugnata
sentenza in ordine alla entità del trattamento sanzionatorio inflitto
all’imputato, non avendo la corte territoriale spiegato le ragioni per cui,
pur avendo riconosciuto in favore di tutti gli imputati le circostanze
attenuanti generiche, è partita da una pena base per il Giaquinto “quasi

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doppia rispetto al Capaccio e superiore di circa un terzo rispetto al
Cotena”.
5.

Il Capaccio, infine, lamenta la mancanza di motivazione

dell’impugnata sentenza in ordine al mancato riconoscimento del
beneficio della sospensione condizionale della pena, che aveva formato

6. Il ricorso presentato nell’interesse del Cotena va rigettato.
Ritiene, infatti, il Collegio di non doversi discostare dal condivisibile
insegnamento della Suprema Corte, secondo cui il rigetto della richiesta
di esclusione della recidiva facoltativa, pur richiedendo l’assolvimento di
un onere motivazionale, non impone al giudice un obbligo di motivazione
espressa, ben potendo quest’ultima essere anche implicita (cfr. Cass.,
sez. III, 21/04/2010, n. 22038, F., rv 247634.), come nel caso in
esame, in cui il riferimento alla gravità del fatto ed alla esistenza di
precedenti penali a carico dell’imputato (cfr. p. 5 della sentenza
impugnata) rende evidente come la corte territoriale abbia ritenuto la
condotta posta in essere dal Cotena rivelatrice di una maggiore capacità
a delinquere del reo, pur riconoscendo in suo favore le circostanze
attenuanti generiche, giudicate equivalenti alle ritenute aggravanti, allo
scopo di meglio adeguare la dosimetria della pena al caso concreto.
Del pali infondatq è la questione riguardante la configurabilità della
circostanza aggravante di cui all’art. 625, co. 1, n. 2), c.p. (che,
peraltro, non avendo formato oggetto di specifica doglianza in sede di
appello, non poteva essere prospettats per la prima volta in questa
sede), condividendo il collegio l’orientamento affermatosi nella
giurisprudenza di legittimità secondo cui in tema di furto, ai fini della
configurabilità della circostanza aggravante della violenza sulle cose,
non è necessario che la violenza venga esercitata direttamente sulla
“res” oggetto dell’impossessamento, ben potendosi l’aggravante
configurare anche quando la violenza, da intendersi come alterazione
dello stato delle cose mediante impiego di energia fisica, venga posta in
essere nei confronti dello strumento materiale apposto sulla cosa per
garantire una più efficace difesa della stessa, provocandone la rottura, il

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oggetto di uno specifico motivo di appello.

guasto, il danneggiamento, la trasformazione o determinandone il
mutamento nella destinazione, (cfr. Cassazione penale, sez. IV,
14/02/2006, n. 14780; Cass., sez. V, 10/01/2011, n. 7416, R.), come
avvenuto nella fattispecie in parola, in cui, gli imputati sono penetrati
nell’abitazione dove hanno consumato il furto, rimuovendo i listelli di

una tapparella in ferro, con conseguente forzatura dell’infisso in
alluminio posto a chiusura di una camera dell’appartamento.
7. Del pari non può essere accolto il ricorso del Capaccio, non avendo
egli né con l’atto di appello, né durante il giudizio di secondo grado
posto alcuna questione in ordine alla sospensione condizionale della
pena, che, dunque, non può essere proposta per la prima volta in questa
sede.
8. Fondato, invece, è il ricorso del Giaquinto.
Ed invero, come affermato dalla consolidata e prevalente giurisprudenza
di legittimità, condivisa dal Collegio, la determinazione della pena tra il
minimo e il massimo edittali rientra tra i poteri discrezionali del giudice
di merito ed è insindacabile in sede di legittimità, qualora il giudice
abbia adempiuto all’obbligo di motivazione, il quale si attenua, tuttavia,
solo nel caso in cui la pena sia applicata in misura media e, ancor di più,
nel caso in cui la pena sia applicata in misura prossima al minimo, in tal
caso bastando anche il richiamo a criteri di adeguatezza, di equità e
simili, nei quali sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 c.p., tanto
più se si consideri che l’applicazione del minimo edittale non è correlata
a un diritto assoluto dell’imputato. (cfr. Cass., sez. IV, 25/09/2007, n.
44766, G.).
Pertanto non è nemmeno necessaria una specifica motivazione tutte le
volte in cui la scelta del giudice risulta contenuta, in una fascia medio
bassa rispetto alla pena edittale (cfr. Cass., sez. IV, 14/07/2010, n.
36358, T.V.; Cass., sez. IV, 05/11/2009, n. 6687, C. e altro; Cass., sez.
III, 08/10/2009, n. 42314, E.).
Orbene non è questo il caso in esame, in quanto la pena dalla quale è
partito il giudice di secondo grado (senza spiegarne le ragioni) per
determinare l’entità finale del trattamento sanzionatorio da infliggere al

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Giaquinto, operata la riduzione premiale per la scelta del rito alternativo,
è pari a quattro anni e sei mesi di reclusione ed euro 750,00 di multa,
pena di molto lontana dal minimo edittale irrogabile, che, avendo il
giudice di secondo grado eliminato, in virtù del giudizio di equivalenza
con le circostanze attenuanti generiche, le circostanze aggravanti

ed euro 309,00 di multa.
Il giudice di appello, limitandosi a fare riferimento genericamente ai
criteri di cui all’art. 133, c.p. valutando “equa” la rideterminazione della
entità della pena così inflitta, è, pertanto, venuto meno, sul punto, al
suo dovere motivazionale, imponendosi, di conseguenza, l’annullamento
al riguardo della sentenza impugnata, con rinvio alla corte di appello di
Napoli, per nuovo esame limitatamente al trattamento sanzionatorio, in
modo da porre rimedio alla menzionata omissione.
8. Al rigetto dei ricorsi del Cotena e del Capaccio consegue la condanna
degli stessi, singolarmente, al pagamento delle spese processuali, ex
art. 616, c.p.p.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi di Cotena e Capaccio e li condanna singolarmente al
pagamento delle spese processuali.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento
sanzionatorio, nei confronti di Giaquinto con rinvio per nuovo esame alla
corte di appello di Napoli.
Così deciso in Roma 1’8.1.2013.

ritenute sussistenti in primo grado, risulta pari ad anni uno di reclusione

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