Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 12206 del 19/12/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 12206 Anno 2014
Presidente: DUBOLINO PIETRO
Relatore: DEMARCHI ALBENGO PAOLO GIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
FORNAROLA FEDERICO N. IL 22/11/1970
avverso la sentenza n. 1653/2005 CORTE APPELLO di ANCONA, del
03/07/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 19/12/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. PAOLO GIOVANNI DEMARCHI ALBENGO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per parte civile, l’Avv

Data Udienza: 19/12/2013

Il Procuratore generale della Corte di cassazione, dr. Roberto Aniello, ha
concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
Per il ricorrente è presente l’Avvocato Scodanibbio, il quale chiede
l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1.

Fornarola Federico, imputato dei reati di cui agli articoli 81, 110,

persone falsificava diverse bollette contravvenzionali, riducendo l’importo
della sanzione, è stato condannato dal tribunale di Ancona, esclusa
l’aggravante e concesse le attenuanti generiche, alla pena di mesi 10 di
reclusione per la falsificazione dei verbali di contestazione di infrazione al
codice della strada e relative ricevute di pagamento. Proposto appello, la
corte territoriale di Ancona ha confermato la sentenza di condanna nei
confronti dell’odierno ricorrente.
2.

Il Fornarola propone ricorso per cassazione per i seguenti motivi:
a.

mancanza e contraddittorietà della motivazione ed erronea
applicazione di legge circa la portata dell’articolo 476 in
relazione al principio di offensività; secondo la difesa non può
dirsi raggiunta la prova dell’esistenza di alcun interesse
ulteriore in capo al ricorrente in ordine alle conseguenze della
presunta falsificazione delle bollette di ricevuta e dei verbali di
accertata violazione amministrativa.

b.

Erronea applicazione di legge con riferimento all’elemento
psicologico del reato di cui all’articolo 476 del codice penale;
secondo la difesa nei delitti di falso a costituire il dolo non è
sufficiente la consapevole volontà di mutare il vero, ma
occorre che il soggetto si renda conto di nuocere ad altri.

c.

Contraddittorietà della motivazione con riferimento all’identità
della grafia riscontrabile nelle parti corrette; secondo il
ricorrente il giudizio visivo operato dal giudice di appello
appare contrario alla doverosa applicazione delle norme che
disciplinano l’istituto della perizia e la motivazione si presenta
contraddittoria laddove il metodo visivo utilizzato dal giudice
viene scartato con riferimento alle dichiarazioni del
maresciallo Igino.

1

476 e 61 numero 9 del codice penale, perché in concorso con altre

d.

Violazione dell’articolo 597, comma 5, del codice di procedura
penale; mancanza di motivazione sulla richiesta di
applicazione delle attenuanti di cui all’articolo 61, numeri 4 e
6, del codice penale; sostiene la difesa che il giudice di appello
abbia omesso l’applicazione delle circostanze attenuanti
dell’avvenuta riparazione del danno e della lieve entità del
fatto, pur potendole disporre d’ufficio.

e.

Erronea applicazione di legge extra penale da cui dipende

difesa, travisa i fatti, posto che la presunta falsificazione non
ha ad oggetto il processo verbale, ma semmai un preavviso,
che non ha natura di atto pubblico.
f.

Erronea applicazione degli articoli 192, commi 3 e 4, nonché
530, comma 2, cod. proc. pen.; sotto tale profilo la difesa
assume che la sola dichiarazione del chiamante in correità
comporti l’assoluzione del chiamato ai sensi del secondo
comma dell’articolo 530 del codice di procedura penale per
insufficienza della prova. Sotto tale profilo la difesa ritiene che
la dichiarazione del Belardinelli non sia attendibile e che il
giudice riferisca di essa in modo contraddittorio. In
conclusione, il ricorrente ritiene che manchi univocità di indizi
e sufficienza delle prove a sostegno della sentenza di
condanna.

3. Con memoria difensiva depositata in cancelleria il 13 giugno 2013,
il ricorrente ha presentato i seguenti motivi aggiunti:
g.

inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità in
relazione agli articoli 178 ss., 521 e 522 del codice di
procedura penale; secondo la difesa il ricorrente sarebbe stato
condannato per la falsificazione di 10 documenti costituenti
veri e propri fatti nuovi che, alla luce della precedente
assoluzione, non dovevano né potevano essere contestati.

h.

Inosservanza di norme processuali in relazione agli articoli
157, comma 1, 160, commi 1 e 4, 161, comma 2, cod. pen.;
secondo il ricorrente alla data della pronuncia di appello il
reato doveva già essere dichiarato estinto per intervenuto
decorso del massimo termine prescrizionale.

2

l’applicazione di legge penale; il giudice di appello, secondo la

Con la stessa memoria, il ricorrente insiste per la illogicità e carenza di
motivazione in ordine a specifiche doglianze contenute nell’atto di
appello.
Con memoria pervenuta in cancelleria il 5.12.2013, il difensore ha
chiesto dichiararsi la prescrizione del reato, sostenendo che per
l’astensione dall’8 al 16 luglio 2013 la sospensione del termine
prescrizionale sarebbe inapplicabile ovvero opererebbe solo per la durata
dell’astensione qualora si applicasse la vecchia norma sulla prescrizione,

risultanti dal rinvio) qualora si applicasse la ex Cirielli. In subordine la
difesa chiede l’annullamento con rinvio ai fini dell’esatta determinazione
della data del reato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato, in quanto le
motivazioni che indussero il comandante della polizia municipale di Sirolo
a falsificare i verbali delle ricevute di pagamento sono del tutto irrilevanti
ai fini della sussistenza del reato, che richiede unicamente l’alterazione
dell’atto.
2. Il secondo motivo di ricorso (erronea applicazione di legge con
riferimento all’elemento psicologico del reato di cui all’articolo 476 del
codice penale) è infondato; in tema di falsità documentali, infatti, ai fini
dell’integrazione del delitto di falsità materiale commessa dal pubblico
ufficiale in atti pubblici (art. 476 cod. pen.), l’elemento soggettivo
richiesto è il dolo generico, che consiste nella consapevolezza della
“immutatio veri”, non essendo richiesto l’animus nocendi ve! decipiendi
(Sez. 5, n. 29764 del 03/06/2010, Zago, Rv. 248264). V. anche Sez. 5,
n. 2487 del 17/11/1998, Marino, Rv. 212723: “Il delitto di falso
materiale in atto pubblico (art. 476 cod. pen.) è punito a titolo di dolo
generico. Per la configurabilità dell’elemento soggettivo è sufficiente la
sola coscienza e volontà dell’alterazione del vero, indipendentemente
dallo scopo che l’agente si sia proposto, e anche se sia incorso nella
falsità per ignoranza e per errore, cagionato da una prassi o per
rimediare a un precedente errore, con la convinzione di non produrre
alcun danno”.

3

mentre si dovrebbero calcolare solo 60 giorni di sospensione (e non i 103

3. Il terzo motivo è manifestamente infondato, non essendovi alcun
obbligo normativo per il giudice di disporre perizia in relazione ad ogni
indagine che importi una anche minima valutazione di tipo tecnico; ciò è
tanto più vero se si considera che: – l’articolo 220 non contiene un
imperativo, ma delimita semplicemente i casi in cui il giudice può
disporre il predetto mezzo di valutazione della prova; -laddove il
legislatore ha voluto imporre al giudice l’accertamento di natura peritale,
lo ha detto espressamente, come nel caso dell’articolo 299, comma 4-ter

di reato poggia non solo sulla valutazione grafica degli atti, ma anche
sulla confessione stragiudiziale fatta all’Orsini ed al Belardinelli, sulla cui
credibilità il giudice di primo grado si è espresso in maniera specifica,
congrua e logica alla pagina 7, mentre il giudice di appello ha motivato
adeguatamente sul punto alle pagine 13 e 14. E’ evidente, poi, che il
Fornarola fosse l’unico che aveva interesse all’alterazione.
4. In ordine al quarto motivo di ricorso, innanzitutto si prende atto,
poiché è lo stesso ricorrente ad affermarlo, che la censura relativa
all’applicazione delle attenuanti di cui all’articolo 61, numeri 4 e 6, del
codice penale non è stata formulata tempestivamente con i motivi di
appello; ciò rende il presente motivo inammissibile. Se è vero che il
giudice può concedere d’ufficio i benefici di legge, è altrettanto
consolidato l’orientamento giurisprudenziale secondo cui non può essere
oggetto di ricorso per cassazione il mancato esercizio di poteri ufficiosi
non tempestivamente sollecitati dal ricorrente (v. Sez. 4, n. 367 del
08/03/1993, Rodi, Rv. 194181 e Sez.

6, Sentenza n. 7960 del

26/01/2004, Rv. 228468: “Il potere riconosciuto al giudice di appello
dall’art. 597, quinto comma, cod. proc. pen. di applicare anche di ufficio
con la sentenza i benefici degli artt. 163 e 175 cod. pen. ed una o più
circostanze attenuanti, si pone come eccezionale e discrezionale rispetto
al principio generale, dettato dal primo comma del citato art. 597,
secondo cui l’appello attribuisce al giudice la cognizione di primo grado
cui si riferiscono i motivi preposti. Pertanto, il mancato esercizio di tale
potere non è censurabile in sede di legittimità ne’ è configurabile al
riguardo un obbligo di motivazione, in assenza di una richiesta, oltre che
nei motivi di appello, nel corso del giudizio di secondo grado”). Nella
fattispecie in esame non solo manca una specifica richiesta con l’atto di
appello, ma non risulta esservi stata richiesta specifica nemmeno in sede
di giudizio di secondo grado.

4

c.p.p.. Si deve, poi, considerare che nel caso di specie la prova del fatto

5. In relazione al quinto motivo di ricorso, in primo luogo occorre
rilevare che la sentenza parla di verbale e non di preavviso (pagine 1516); si veda anche la pagina sette, ultime due righe, della sentenza di
primo grado (ove si dice che l’imputato va condannato sia per le ricevute
di pagamento, che per i verbali di contestazione, e non per preavvisi di
pagamento). In ogni caso, la Corte sul punto risponde, affermando che il
preavviso di accertamento costituisce comunque un presupposto
procedimentale indefettibile per la formazione dell’atto pubblico finale.

alcuna indicazione specifica dello stesso; si tratta di un’affermazione
apodittica che non fa alcun riferimento ad elementi di causa), occorre
ricordare che con il ricorso per cassazione, a seguito delle modifiche
dell’art. 606, comma primo, lett. e) ad opera dell’art. 8 della L. n. 46 del
2006, non è consentito dedurre il “travisamento del fatto”, stante la
preclusione per il giudice di legittimità di sovrapporre la propria
valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti
gradi di merito (Sez. 5, n. 39048 del 25/09/2007, Casavola).
6. Quanto al sesto motivo, premesso che non si ravvisa alcuna
contraddittorietà nella valutazione di attendibilità, da parte della corte,
del teste Belardinelli, che conferma e riscontra le dichiarazioni dell’Orsini,
occorre rilevare che il motivo, pur denunciando formalmente violazione
di legge, costituisce, con tutta evidenza, reiterazione delle difese di
merito già disattese dai Giudici di appello, oltre che censura in punto di
fatto della sentenza impugnata, inerendo esclusivamente alla valutazione
degli elementi di prova ed alla scelta delle ragioni ritenute idonee a
giustificare la decisione, cioè ad attività che rientrano nel potere
discrezionale del giudice di merito, il cui apprezzamento è insindacabile
in sede di legittimità se sorretto, come nel caso in esame, da adeguata e
congrua motivazione esente da vizi logico-giuridici.
4.

Il primo motivo della memoria difensiva è totalmente nuovo e

dunque tardivo ed in ogni caso è inammissibile per la sua genericità e
per mancanza di chiarezza.
5.

Anche il secondo motivo di ricorso è tardivo, e pertanto

inammissibile, ed in ogni caso infondato in quanto la prescrizione non
era maturata al momento della sentenza di appello, dovendosi
considerare che nel caso di specie, ai sensi della norma transitoria
contenuta nell’articolo 10 della legge 251-2005, si devono applicare le
vecchie norme in vigore prima della legge Cirielli, che prevedevano un
5

Infine, poichè viene dedotto un travisamento del fatto (peraltro senza

durata prescrizionale di anni 10, aumentabile fino ad un mezzo.
Nonostante la parziale declaratoria di illegittimità costituzionale del
predetto articolo 10, comma 3, è infatti rimasta in vigore la parte che
prescrive l’applicazione della vecchia normativa per i procedimenti già
pendenti in fase di appello al momento della sua entrata in vigore (“Se,
per effetto delle nuove disposizioni, i termini di prescrizione risultano più
brevi, le stesse si applicano ai procedimenti e ai processi pendenti alla
data di entrata in vigore della presente legge, ad esclusione […] dei

cassazione”); la giurisprudenza costante di questa corte ritiene pendente
in appello il procedimento dal momento della emanazione della sentenza
di primo grado, che nel caso di specie è avvenuto nel febbraio 2005,
dunque molto prima dell’entrata in vigore della legge che ha modificato
l’articolo 157 del codice penale. Si veda sul punto, Sez. U, n. 15933 del
24/11/2011, Rancan: “Ai fini dell’operatività delle disposizioni transitorie
della nuova disciplina della prescrizione, la pronuncia della sentenza di
primo grado, indipendentemente dall’esito di condanna o di assoluzione,
determina la pendenza in grado d’appello del procedimento, ostativa
all’applicazione retroattiva delle norme più favorevoli”. Nemmeno ad
oggi la prescrizione è decorsa, dovendosi considerare che il rinvio
dell’udienza dal 9 luglio ad oggi comporta la sospensione dei termini
prescrizionali (essendo stato determinato da astensione del difensore) e
che alla predetta udienza non era ancora maturato il termine
prescrizionale.
Con la stessa memoria, il ricorrente ha insistito per la illogicità e carenza
di motivazione in ordine a specifiche doglianze contenute nell’atto di
appello, ma a tale proposito occorre rilevare che la sentenza ha dato
conto in modo adeguato e più che sufficiente del percorso logico seguito
al fine di giungere alla conferma della sentenza di condanna e che nel
controllo di legittimità, la Corte di cassazione non deve stabilire se la
decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile
ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, ma deve
limitarsi a verificare se questa giustificazione sia logica e compatibile con
il senso comune; l’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile,
deve essere, inoltre, percepibile “ictu oculi”, dovendo il sindacato di
legittimità essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando
ininfluenti le minime incongruenze. In secondo luogo, per la validità della
decisione non è necessario che il giudice di merito sviluppi nella
motivazione la specifica ed esplicita confutazione della tesi difensiva

6

processi già pendenti in grado di appello o avanti alla Corte di

disattesa, essendo sufficiente, per escludere la ricorrenza del vizio di
motivazione, che la sentenza evidenzi una ricostruzione dei fatti che
conduca alla reiezione della deduzione difensiva implicitamente e senza
lasciare spazio ad una valida alternativa (cfr. sez. 2, n. 24847 del 5
maggio 2009, Polimeni). Più in particolare, il dovere di motivazione della
sentenza è adempiuto, ad opera del giudice del merito, attraverso la
valutazione globale delle deduzioni delle parti e delle risultanze
processuali, non essendo necessaria l’analisi approfondita e l’esame

hanno determinato il convincimento, dimostrando di aver tenuto
presente ogni fatto decisivo, nel qual caso devono considerarsi
implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non
espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la
decisione adottata (Sez. 6, n. 20092 del 04/05/2011, Schowick).
Quanto alle considerazioni contenute nella memoria del 5.12.2013, esse
sono destituite di fondamento; il rinvio dell’udienza dovuto all’adesione
del difensore all’astensione collettiva dalle udienze, infatti, determina la
sospensione del termine prescrizionale per tutto il tempo necessario per
gli adempimenti tecnici imprescindibili al fine di garantire il recupero
dell’ordinario svolgersi del processo (Nella specie la Corte ha ritenuto
sospeso il termine di prescrizione fino alla data della successiva
udienza). (Sez. 4, n. 10621 del 29/01/2013, M., Rv. 256067; conff.

N.

46359 del 2007 Rv. 239020, N. 20574 del 2008 Rv. 239890, N. 25714
del 2008 Rv. 240460, N. 18071 del 2010 Rv. 247142). In subordine la
difesa ha chiede l’annullamento con rinvio ai fini dell’esatta
determinazione della data del reato, ma trattasi all’evidenza di motivo
generico e comunque tardivo, come tale inammissibile).
7. Ne consegue che il ricorso deve essere rigettato; ai sensi dell’art. 616
c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che
Io ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del
procedimento.
p.q.m.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così dec – o il 19/12/2013
Il Consi s ensore
Paolo G .

dettagliato delle predette ed è sufficiente che si spieghino le ragioni che

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