Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 12204 del 17/12/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 12204 Anno 2014
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: OLDI PAOLO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Valentino Giovanni, nato a Canosa di Puglia il 10/06/1976

avverso la sentenza del 25/10/2012 della Corte d’assise d’appello di Bari

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Paolo Oldi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Angelo
Di Popolo, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito per le parti civili l’avv. Alfredo Gaito, che ha concluso chiedendo
declaratoria di inammissibilità del ricorso;
uditi per l’imputato gli avv.ti Domenico Di Terlizzi e Giovanni Aricò, che hanno
concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. A seguito di annullamento, ad opera della Corte di Cassazione, di un
precedente deliberato, la Corte d’Assise d’Appello di Bari è stata nuovamente

Data Udienza: 17/12/2013

investita, quale giudice di rinvio, del gravame proposto da Giovanni Valentino
avverso la sentenza con la quale la locale Corte d’Assise lo aveva condannato
alla pena dell’ergastolo per l’omicidio pluriaggravato della moglie Lucia Di Muro e
della suocera Maria Grazia Prisciandaro.
1.1. La ragione che aveva determinato l’annullamento riguardava la disposta
applicazione dell’aggravante di cui all’art. 61 n. 4) del codice penale, in difetto
dei presupposti per la connotazione di crudeltà delle modalità di esecuzione del
reato; al giudice di rinvio era stata inoltre rimessa l’eventuale rideterminazione

generiche, fatta oggetto di un autonomo motivo di ricorso e ritenuta assorbita.
1.2. La Corte barese, esclusa l’aggravante di cui all’art. 61, n. 4), cod. pen.
e confermato il diniego delle attenuanti generiche, ha rideterminato la pena
ritenendo sanzionabile con la reclusione da ventiquattro a trent’anni ciascuno dei
due omicidi concorrenti; ha quindi applicato il cumulo giuridico di cui all’art. 73,
comma secondo, cod. pen., facendone conseguire la pena dell’ergastolo, poi
ridotta a trent’anni per la scelta del rito abbreviato.

2. Ha proposto nuovamente ricorso l’imputato, per il tramite del difensore,
affidandolo a due motivi.
2.1. Col primo motivo il ricorrente denuncia l’erroneità dell’applicazione
dell’art. 73, comma secondo, del codice penale in una situazione nella quale non
poteva effettuarsi il cumulo delle pene in quanto, già in primo grado, era stata
riconosciuta la continuazione fra i due reati di omicidio: con la conseguenza che
si sarebbe dovuto far luogo alla determinazione della pena base per il reato più
grave, modulandola tra il minimo edittale di ventiquattro anni e il massimo di
trent’anni di reclusione; quindi applicare l’aumento per la continuazione e ridurre
il risultato di un terzo per la scelta del rito.
2.2. Col secondo motivo il Valentino lamenta che il giudice di rinvio, nel
ribadire il diniego delle attenuanti generiche, non abbia adeguatamente motivato
le ragioni che l’hanno indotto a svalutare la rilevanza del disturbo della
personalità, in atti documentato e riconosciuto come esistente dalla stessa Corte
di merito.

3. Vi è agli atti una memoria depositata nell’interesse delle parti civili, con
cui ci si oppone all’accoglimento del ricorso deducendone l’inammissibilità.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. In primis va affermata l’infondatezza dell’eccezione di inammissibilità del

2

d)

della pena, avuto anche riguardo alla richiesta di applicazione delle attenuanti

.

ricorso, sollevata dalle parti civili. Trattasi, invero, di impugnazione tempestivamente proposta per motivi consentiti, in quanto volti a denunciare la violazione
di norme penali (entrambi) e vizi della motivazione (il secondo): impugnazione,
per di più, in parte fondata, come più innanzi si avrà modo di evidenziare.

2. Nell’ordine logico delle questioni da trattare viene dapprima in
considerazione il secondo motivo di ricorso, col quale il ricorrente deduce
violazione dell’art. 62-bis cod. pen. e carenza motivazionale in ordine al diniego

conto dei criteri assunti a fondamento del giudizio sul punto, abbia ingiustificatamente svalutato gli aspetti patologici della personalità dell’imputato, il quale
era risultato affetto da un disturbo della personalità (contrassegnata da tratti
paranoidi) che, secondo il consulente della difesa, aveva «inciso in qualche
misura sulla possibilità di scelta del Valentino».
2.1. La censura è priva di fondamento e va disattesa. Lungi dal limitarsi a
«liquidare» il disturbo del Valentino come immeritevole di considerazione, il
giudice di rinvio ha dedicato un’attenta disamina all’argomento, muovendo dal
rilievo secondo cui, in linea di principio, poiché sussiste un’autonomia
concettuale tra l’imputabilità del soggetto e la gravità del reato da lui commesso,
l’applicazione delle attenuanti generiche non è incompatibile con la riconosciuta
esistenza di un disturbo della personalità, sebbene questo non sia riconducibile
allo schema tipico del vizio di mente; tanto premesso, nell’accedere alla
valutazione concreta della fattispecie, ha ritenuto la Corte territoriale che il
profilo di personalità accertato dai periti nel Valentino («tratti paranoidi,
narcisistici ed antisociali di personalità») non potesse essere positivamente
apprezzato ai fini dell’applicabilità delle attenuanti generiche, trattandosi di
caratteristiche attinenti esclusivamente alla personalità dello stesso imputato,
comportanti la disarmonia nelle modalità di interazione, nel suo modo di essere e
di reagire agli eventi, senza tuttavia determinare una menomazione della
funzione volitiva e del controllo degli impulsi, tale da non consentire di regolare
le azioni aggressive poste in essere. Ha rilevato, inoltre, quel collegio il carattere
meramente suggestivo – nessun accertamento essendo mai stato sollecitato al
riguardo – della prospettazione intesa a evocare l’apporto delle neuroscienze per
verificare la presenza di anomalie strutturali (nella morfologia del cervello) e
genetiche comportamentali, atte a causare comportamenti aggressivi e violenti.
2.2. Il discorso giustificativo così articolato, arricchito dal richiamo alla
accertata efferatezza dell’azione criminale posta in essere dal Valentino, ha
apprestato al diniego delle attenuanti generiche una motivazione congrua,
giuridicamente e logicamente ineccepibile. Né sarebbe consentito accedere, in

3

delle attenuanti generiche. Lamenta il ricorrente che la Corte di merito, nel dar

questa sede di legittimità, a una valutazione critica della linea argomentativa
addotta sotto il profilo della condivisibilità, opponendovisi i limiti tracciati al
giudizio di cassazione dall’art. 606 cod. proc. pen..

3. È invece fondato il primo motivo di ricorso, col quale sono impugnate per
violazione di legge le modalità di computo della pena.
3.1. Il giudice di rinvio ha effettuato il cumulo giuridico delle pene inerenti ai
due reati di omicidio aggravato commessi dal Valentino, in attuazione del

considerato che, rendendosi astrattamente applicabile a ciascun reato la pena
detentiva non inferiore a ventiquattro anni di reclusione, il risultato del cumulo
dovesse essere l’applicazione dell’ergastolo, poi ridotto a trent’anni di reclusione
per la scelta del rito abbreviato. Così operando, tuttavia, quel collegio ha omesso
di considerare che, secondo una valutazione compiuta già dalla Corte d’Assise in
primo grado e da considerarsi coperta dal giudicato interno, in quanto mai
investita da impugnazione, i due delitti di omicidio ai danni di Lucia Di Muro e di
Maria Grazia Prisciandaro erano stati commessi in esecuzione di un medesimo
disegno criminoso e dovevano essere, perciò, sanzionati secondo il criterio
dettato dall’art. 81, comma secondo, cod. pen..
3.2. Attenendosi al dettato della norma da ultimo citata il giudice di merito
avrebbe dovuto, come esattamente osservato dal ricorrente: determinare la
pena base per il reato più grave, modulandola fra il minimo di ventiquattro e il
massimo di trenta anni di reclusione (come statuito dall’art. 577, comma
secondo, cod. pen.); apportare poi l’aumento per la continuazione, entro i limiti
tracciati dall’art. 78 dello stesso codice; ridurre, infine, di un terzo il risultato
conseguito, come imposto dall’art. 442, comma 2, cod. proc. pen. per la scelta
del rito abbreviato.
3.3. L’illegittima applicazione della modalità di computo di cui all’art. 73,
comma secondo, cod. pen., in un’ipotesi non consentita, inficia in parte qua la
sentenza impugnata e ne rende necessario l’annullamento. Il giudice di rinvio,
che si designa in altra sezione della Corte d’Assise d’Appello di Bari, provvederà
alla rideterminazione della pena nel rispetto delle norme dianzi citate.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata, limitatamente alla determinazione della pena
ex art. 73, comma 2, cod. pen., con rinvio ad altra sezione della Corte di Assise
di Appello di Bari per nuovo esame;
Rigetta nel resto il ricorso.

disposto dell’art. 73, comma secondo, del codice penale; in tale ottica ha

Così deciso il 17/12/2013.

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