Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 12203 del 11/12/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 12203 Anno 2014
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: LAPALORCIA GRAZIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
STRAZZACAPA NICOLA N. IL 30/07/1971
FREGNI FRANCO N. IL 07/03/1964
avverso la sentenza n. 458/2012 CORTE APPELLO di BRESCIA, del
21/01/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 11/12/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GRAZIA LAPALORCIA
Udito il Procuratore Generale in rsona del Dott. ex-, VO L P E
che ha concluso per —L3L
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)

Udito, per la parte civile, l’Avv. íZi. \ -.Pt C–( L I A i ‘Cl i
iUdit i difensor Avv.1

Data Udienza: 11/12/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 21-1-2013, la Corte d’Appello di Brescia, in parziale riforma di
quella del Tribunale di Cremona 18-11-2010 (in quanto era ridimensionato il
trattamento sanzionatorio e ridotta l’entità del risarcimento del danno), riconosceva
Nicola STRAZZACAPA, autore di un articolo pubblicato sul quotidiano La Voce di
Romagna in data 11-3-2006, responsabile di diffamazione a mezzo stampa in danno dei

responsabile del quotidiano, responsabile del reato di cui all’art. 57, in relazione all’art.
595 cod. pen..
2.

Secondo la prospettazione accusatoria, condivisa in sentenza -che escludeva l’esercizio
del diritto di cronaca-, l’articolo era offensivo della reputazione dei due militari in
quanto attribuiva a costoro il furto in danno di un collega affermando -contrariamente
al vero- che gran parte della refurtiva era stata trovata in loro possesso e recuperata,
mentre era vero soltanto che una perquisizione nei loro confronti aveva dato esito
positivo nel senso del rinvenimento nei loro armadietti di materiale di interesse per le
indagini, poi non riconosciuto dal derubato.

3.

Ricorrono gli imputati con unico atto, articolato in tre motivi, a firma del difensore avv.
F. Falcinelli.

4.

Con il primo si deducono violazione di legge, anche in relazione all’art. 21 Cost. e all’art.
10 CEDU, e vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento dell’esimente per
ritenuta non veridicità della notizia, tra l’altro con motivazione contraddittoria in quanto,
premessa la qualità di indagati delle pp.00. e l’esito positivo della perquisizione, si era
poi concluso per l’insussistenza del fumus commissi delicti nei confronti dei due militari,
senza considerare la veridicità del nucleo centrale della notizia, solo riportata con
particolari imprecisi e superflui, comunque inidonei a modificare il senso della notizia
stessa.

5.

Con il secondo motivo si deducevano inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 59,
comma quarto, cod. pen. in quanto, essendo pacifica, al tempo dell’articolo, la qualifica
di indagati dei militari pp.00. ed essendo altamente privilegiata la fonte della notizia
dell’esito positivo della perquisizione, l’esimente avrebbe dovuto essere riconosciuta
almeno a livello putativo.

6.

Le censure di violazione di legge e vizio di motivazione di cui al terzo motivo investono
il trattamento sanzionatorio (mesi sei di reclusione), motivato in sentenza con la grave
portata diffamatoria dell’articolo e con la mancata pubblicazione di notizie circa l’esito
del procedimento, a fronte invece del modesto disvalore del fatto posto in essere nel
ragionevole convincimento di esercitare il diritto di cronaca.

CONSIDERATO IN DIRITTO
2

militari Carlo Calamia e Francesco Maria Esposito, e Franco FREGNI, direttore

1. Il ricorso è fondato limitatamente al terzo motivo inerente al trattamento sanzionatorio,
essendo per il resto da disattendere.
2. Ad escludere la ricorrenza dell’esimente dell’esercizio del diritto di cronaca, la corte
territoriale ha ben evidenziato il carattere non veridico della notizia pubblicata, che in
sostanza dipingeva i due militari pp.00. come ladri trovati in possesso della refurtiva,
mentre costoro erano, all’epoca, soltanto indagati, e una perquisizione nei loro confronti

investigativo per la loro possibile corrispondenza a quelli sottratti ad un commilitone, il
quale non li aveva riconosciuti.
3. A fronte di ciò è infondato l’assunto dei ricorrenti che postula la veridicità del nucleo
centrale della notizia, accompagnato da particolari imprecisi, e comunque superflui,
inidonei a modificare il senso della notizia stessa. Infatti, premesso che la cronaca
giudiziaria, per la particolare delicatezza della materia idonea ad incidere
profondamente sull’immagine delle persone, esige un controllo particolarmente accurato
e rigoroso dell’informazione e della sua fonte soprattutto in caso di indagini in corso
preordinate all’accertamento della verità, pena lo svolgimento da parte del giornalista di
una funzione investigativa e valutativa rimessa all’esclusiva competenza dell’autorità
giudiziaria, va sottolineato che nella specie il nucleo centrale della notizia pubblicata
non era costituito, a differenza da quanto si mostra di ritenere nel gravame, dal fatto,
vero, che Calamia ed Esposito erano indagati, bensì dalla circostanza, falsa, che costoro
erano i ladri smascherati dal possesso della refurtiva.
4. Si tratta quindi di notizia falsa accompagnata da dettagli veri, non già di notizia vera
accompagnata da particolari falsi, marginali e comunque superflui.
5. Non ha maggior fondamento il secondo motivo finalizzato al riconoscimento
dell’esimente putativa, la cui ricorrenza non può essere affermata in ragione del
presunto elevato livello di attendibilità della fonte se il giornalista non ha provveduto a
sottoporre al dovuto controllo la notizia poi rivelatasi non vera (Cass. 23695/2010),
offrendo la prova non solo di aver provveduto a verificare i fatti narrati, ma altresì della
cura posta negli accertamenti svolti per stabilire la veridicità degli stessi (Cass.
27106/2010).
6. Nella specie da un lato non è addirittura chiaro quale sarebbe la fonte ‘altamente
privilegiata’ della notizia circa l’esito della perquisizione, tale da rendere plausibile la
veridicità della stessa, non risultando che tale fonte sia da individuare nel maresciallo
dei carabinieri che l’aveva eseguita, dall’altro, e comunque, ad ammettere che la notizia
provenisse dal predetto maresciallo, essa riguardava il ritrovamento di oggetti ‘di
spunto’ all’attività di indagine, non già il rinvenimento della refurtiva, il che non
autorizzava il giornalista a qualificare ladri le pp.00., non essendo tale conclusione

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aveva dato esito positivo solo nel senso che gli oggetti trovati erano apparsi di interesse

ragionevolmente collegabile alla positività (nel senso di cui sopra) dell’esito della
perquisizione.
7. Quanto al terzo motivo, si osserva che l’irrogazione della pena detentiva in luogo di
quella pecuniaria, pur a seguito del riconoscimento di attenuanti generiche equivalenti
alle aggravanti, non sembra rispondere alla ratio della previsione normativa che, nel
prevedere l’alternatività delle due sanzioni, palesemente riserva quella più afflittiva alle
ipotesi di diffamazione connotate da più spiccata gravità.

l’altro ridotto congruamente la misura del risarcimento liquidato in primo grado, dato
atto di una serie di elementi favorevoli agli imputati, quali la cautela usata
nell’individuare i militari con le sole iniziali, così evitando di dare in pasto ai lettori il loro
nome completo e consentendone l’identificazione da parte soltanto di un ristretto
gruppo di persone; la diffusione esclusivamente locale del quotidiano; l’incensuratezza
di Strazzacapa. Senza contare che la circostanza che i militari fossero effettivamente
indagati e che l’esito della perquisizione fosse stato comunque dato per positivo, sono
elementi valorizzabili ai fini del giudizio sull’entità del fatto, anche se insufficienti, per
quanto sopra, a configurare l’esimente, anche putativa.
9. Né convince l’assunto della corte territoriale che raccorda il giudizio di gravità del fatto
alla mancata pubblicazione della notizia dell’archiviazione, post factum inidoneo a
riverberare i propri effetti sulla valutazione dell’entità del fatto, e alla personalità degli
offesi (militari di carriera con ruolo di difesa e rappresentanza delle istituzioni) nonché
al conseguente verosimile isolamento degli stessi nel loro ambiente, essendo plausibile
che anche la notizia dell’archiviazione del procedimento non avesse mancato di
diffondersi nel medesimo ambiente.
10. Neppure va trascurato, a contrastare l’applicabilità al caso di specie della pena
detentiva, l’orientamento della Corte EDU che, ai fini del rispetto dell’art. 10 della
Convenzione relativo alla libertà di espressione, esige la ricorrenza di circostanze
eccezionali per l’irrogazione, in caso di diffamazione a mezzo stampa, della più severa
sanzione, sia pure condizionalmente sospesa, sul rilievo che, altrimenti, non sarebbe
assicurato il ruolo di ‘cane da guardia’ dei giornalisti, il cui compito è di comunicare
informazioni su questioni di interesse generale e conseguentemente di assicurare il
diritto del pubblico di riceverle (sentenza 24-9-2013 Belpietro contro Italia).
11. Del resto la libertà di espressione costituisce un valore garantito anche nell’ordinamento
interno attraverso la tutela costituzionale del diritto/dovere d’informazione cui si correla
quello all’informazione (art. 21 Cost.), diritti i quali, ad avviso del collegio, impongono,
anche laddove siano valicati i limiti di quello di cronaca e/o di critica, di tener conto,
nella valutazione della condotta del giornalista, della insostituibile funzione informativa
esercitata dalla categoria di appartenenza, tra l’altro attualmente oggetto di gravi ed

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8. Nella specie non è ravvisabile tale gravità avendo la stessa corte bresciana, che ha tra

ingiustificati attacchi da parte anche di movimenti politici proprio al fine di limitare tale
funzione.
12. Senza contare che, de iure condendo, anche il legislatore ordinario italiano è orientato
al ridimensionamento del profilo punitivo del reato di diffamazione a mezzo stampa.
13. La sentenza merita pertanto annullamento limitatamente -con rigetto nel resto del
ricorso comune ai due imputati e passaggio in giudicato dell’affermazione di
responsabilità- alla scelta del trattamento sanzionatorio, con rinvio, per nuovo esame al

sopra.
14. La circostanza che l’annullamento attenga a profilo estraneo agli interessi civili,
comporta la condanna solidale dei ricorrenti alla rifusione delle spese sostenute dalla
parte civile Calamia, che ha partecipato all’udienza odierna, liquidate in dispositivo in
base ai criteri per la liquidazione dei compensi ai professionisti dettati con il decreto
ministeriale del 20 luglio 2012 n. 140.

P. Q. M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio con rinvio per nuovo
esame ad altra sezione della Corte di Appello di Brescia. Rigetta nel resto il ricorso. Condanna i
ricorrenti in solido al rimborso delle spese sostenute dalla parte civile Carlo Calamia, spese che
liquida in complessivi € 1500, oltre accessori come per legge.
Roma, 11.12.2013

riguardo, ad altra sezione del giudice a quo che terrà conto delle indicazioni di cui

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