Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 12198 del 11/12/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 12198 Anno 2014
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: VESSICHELLI MARIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SORBELLO ANGELO N. IL 12/02/1971
SORBELLO AURELIO N. IL 27/06/1972
SORBELLO NICOLO’ GIACOMO N. IL 16/01/1968
avverso la sentenza n. 144/2009 CORTE APPELLO di
CALTANISSETTA, del 31/03/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 11/12/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MARIA VESSICHELLI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per
i,
9,4 A- (04_

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Va/4144 , &tc rf-19-7k a’441- i(deaduli

Data Udienza: 11/12/2013

Propongono ricorso per cassazione Sorbello Angelo, Sorbello Aurelio e Sorbello Nicolò Giacomo,
avverso la sentenza della Corte d’appello di Caltanissetta, in data 31 marzo 2011, con la quale,
per quanto qui di interesse, è stata confermata la condanna inflitta, in primo grado, in ordine
al reato di cui al capo 5) dell’imputazione originaria e cioè quello di bancarotta fraudolenta
patrimoniale e documentale in concorso, reato addebitato al secondo (Aurelio) nella qualità di
socio e agli altri due nella qualità di amministratori di fatto della società Calcestruzzi Morello
S.r.l.. Tale società, amministrata legalmente da Pilo Maria Grazia (moglie del terzo imputato),
è stata dichiarata fallita con sentenza del 21 novembre 2005.
I fatti di bancarotta sono stati individuati nella distrazione del saldo del conto di cassa per un
importo di C 165.000 circa e nella tenuta delle scritture contabili in modo da non rendere
possibile la ricostruzione degli affari.
Deducono
1 il vizio della motivazione in ordine alla fattispecie di bancarotta fraudolenta patrimoniale.
Osserva la difesa che la contestazione relativa al presunto ammanco di cassa, nell’importo
di cui all’imputazione, ha tratto origine dall’originario sequestro di una serie di beni ritenuti
oggetto di fraudolenta intestazione. L’amministratore giudiziario, nominato in quella sede,
aveva rilevato l’ammanco di cassa, confermato poi dal consulente del Pubblico ministero il
quale aveva chiesto la dichiarazione di fallimento. Tuttavia, proprio a seguito dei rilievi del
detto amministratore giudiziario, l’unico vero amministratore di fatto della società, e cioè
Sorbello Aurelio, si era adoperato per il recupero di una serie di fatture emesse nei confronti
di fornitori e non registrate, tali da avere comportato, secondo il ragioniere della societàRusso Salvatore- una riduzione dell’ ammanco ingiustificato di cassa fino a C 37.000. Queste
emergenze erano state sottoposte al giudice del dibattimento e, in quella sede, anche il
curatore fallimentare, dottor Muscarà, aveva confermato l’acquisizione delle dette fatture
che avevano comportato l’aggiornamento della contabilità, dopo la dichiarazione di
fallimento.
Sulla scorta di tali elementi la difesa denuncia come gravemente carente e comunque
manifestamente illogica la decisione della Corte d’appello che si è limitata ad ignorare il dato
della sopravvenienza delle fatture.
Anche i testi Gravante e De Lorenzo, valorizzati nella sentenza impugnata, avevano reso
dichiarazioni in realtà contraddittorie ammettendo, da un lato, la acquisizione delle dette
fatture ma confermando, dall’altro, che la situazione era rimasta non chiarita:
un’affermazione che è, in sè stessa, ammissiva dell’assenza di prove del detto ammanco. In
particolare, Gravante si era espresso per la improbabilità di un così elevato conto di cassa e
Muscarà aveva parlato di crediti per attività di dipendenti in nero che probabilmente
giustificavano quell’ammanco;
2) il vizio della motivazione sulla contestazione di bancarotta fraudolenta documentale.
Secondo la difesa, tale reato, pur prevedendo il dolo generico e non specifico, richiede
tuttavia una dimostrazione della finalità fraudolenta dell’agente, tale da rappresentare il
discrimine rispetto alla diverse ipotesi di bancarotta semplice, caratterizzata da mera
negligenza.
Nel caso di specie, il detto interesse avrebbe dovuto essere escluso in base al criterio logico
secondo cui ciò che non si annota, da parte del bancarottiere, sono i ricavi e non, come nel
caso di specie, i debiti della società che avrebbero giustificato la insussistenza dell’ammanco
di cassa;
1

FATTO E DIRITTO

4) il vizio di motivazione sulla ritenuta responsabilità di Sorbello Angelo.
Nei confronti di tale imputato, era mancata la dimostrazione della realizzazione di una
apprezzabile attività gestoria, tale da configurare, in capo a chi la ponga in essere, la qualità
di amministratore di fatto.
Nel caso di specie, gli era stata addebitata, ai fini che qui interessano, la movimentazione dei
canali finanziari della società, trascurandosi la tesi difensiva secondo cui gli assegni girati
dalla amministratrice Pilo, consegnati dall’imputato a Drago Adriana, avevano come causa il
pagamento del canone di locazione di un appartamento dove l’imputato dimorava, canone
che egli aveva pagato con somme anticipategli dalla società, della quale egli era dipendente:
una circostanza che nulla aveva a che vedere con atti di gestione della società stessa.
Anche l’ulteriore attività addebitatagli, e cioè quella di avere acquistato automezzi per conto
della società, doveva ritenersi frutto di una affermazione apodittica, posto che era del tutto
labile la prova che, a occuparsi di tale attività, fosse stato l’odierno ricorrente e non piuttosto
il fratello Aurelio;
5) il vizio di motivazione sulla ritenuta responsabilità di Sorbello Nicolò Giacomo.
Anche tale imputato era stato condannato quale amministratore di fatto, ma alla luce di
un’attività (far funzionare l’impianto di calcestruzzo) che, del tutto illogicamente, era stata
confusa con quella di gestione della società.
Quanto all’ulteriore affermazione contenuta in sentenza, circa le operazioni finanziarie che il
ricorrente avrebbe posto in essere per conto della società, la difesa segnala la assenza della
documentazione in atti e la impossibilità di ritenere provata questa circostanza.
Osserva, tuttavia, che anche nella ipotesi in cui l’imputato avesse svolto l’attività finanziaria
su delega dell’amministratore formale, tale evenienza non sarebbe sufficiente a far ritenere
integrata la condotta dell’ amministratore di fatto.
Con memoria depositata il 18 settembre 2012, l’avvocato Accardi ha illustrato argomenti a
sostegno dei vizi già denunciati, chiedendo, in particolare, l’applicazione della giurisprudenza
della Cassazione secondo cui l’affermazione di responsabilità, per il reato di bancarotta
fraudolenta patrimoniale, presuppone necessariamente l’accertamento, in termini non
equivoci, della preesistenza in capo alla società dei beni che si assumono poi distratti: una
evenienza non verificata nel caso di specie, nel quale proprio i testi dell’accusa hanno dedotto
la assoluta confusione della contabilità.

I ricorsi sono infondati e debbono essere rigettati.
La motivazione esibita dal giudice del merito dà conto, contrariamente a quanto denunciato
dalla difesa, del perfetto allineamento , della sentenza in esame, alla giurisprudenza costante
di legittimità, in materia di bancarotta fraudolenta patrimoniale.
La materia in questione deve ritenersi, infatti, regolata dai due fondamentali principi più volte
affermati dalla Corte di cassazione secondo cui
a) in tema di prova del delitto di bancarotta fraudolenta, il mancato rinvenimento, all’atto della
dichiarazione di fallimento, di beni e di valori societari, a disposizione dell’amministratore,
costituisce, qualora non sia da questi giustificato, valida presunzione della loro dolosa
distrazione, probatoriamente rilevante al fine di affermare la responsabilità dell’imputato( Rv.
231411);
2

3) la necessità, per le considerazioni sopra esposte, di configurare il reato di bancarotta
semplice soltanto a carico di Sorbello Aurelio il quale, come dimostrato in atti, si era attivato
per recuperare le fatture non registrate;

Invero, il giudice dell’appello ha posto in evidenza, al riguardo, due fondamentali elementi di
fatto ritenuti accertati e cioè che il conto di cassa presentava saldi molto elevati,
raggiungendo, nell’anno 2005, l’importo di € 160.000 ed inoltre, che era stato accertato il
pagamento di molti debiti nei confronti della società da parte dei clienti, pagamenti non
registrati.
La Corte d’appello ha anche dato atto di come, tanto la relazione del ragioniere Russo quanto
la deposizione del curatore fallimentare Muscarà fossero elementi incapaci di superare, per la
loro genericità (essendo la relazione del Russo nient’altro che un elenco di documentazione
messa a disposizione dell’amministratore giudiziario) l’obiettività del dato contabile ricavato
circa la presenza in cassa, alla fine del 2005, della somma sopra indicata e non più rinvenuta.
Rispetto a tale accertamento, il primo motivo di ricorso rivela i suoi evidenti connotati di
inammissibilità, posto che costituisce, per un verso, la riedizione del corrispondente motivo
d’appello al quale la Corte ha fornito una risposta plausibile ed esaustiva e, per altro verso, la
prospettazione di una presunta carenza di motivazione con riferimento ad elementi probatori (il
tenore di una relazione tecnica) in ordine i quali non viene chiarita la rilevanza, con la cura di
dettaglio pretesa dell’articolo 581 cpp, non indicandosi quale fosse l’oggetto delle fatture, quale
fosse il relativo importo e quale fosse la loro capacità di incidenza sul dato della distrazione già
rilevato.
In ordine all’ipotesi di bancarotta fraudolenta documentale, poi, i motivi di ricorso sub 2 e 3
contengono una critica di principio ma non sono specifici con riferimento alla motivazione della
sentenza impugnata, la quale ha dato atto della configurabilità, nella specie, del dolo generico
del reato, sul presupposto della accertata tenuta della contabilità in maniera assolutamente
carente negli ultimi due anni di vigenza della società e tale, quindi, da non poter essere
qualificata come meramente disordinata bensì gestita in guisa da non rendere possibile la
ricostruzione degli affari, sull’ ulteriore presupposto dell’interesse alla confusione contabile,
rappresentato dal non contestabile ammanco di cassa.
È evidente, la irrilevanza, in senso liberatorio per gli imputati, della condotta consistita nel
recupero post- fallimentare di una parte dei documenti della società, trattandosi di
comportamento posto in essere dopo la consumazione del reato e comunque, nel caso di
specie, giudicato dal giudice del merito come relativo a fatture non sufficienti a consentire
un’esatta ricostruzione del movimento degli affari.
Anche gli ulteriori motivi di ricorso, riguardanti la responsabilità degli amministratori di fatto, si
atteggiano al limite della inammissibilità in quanto si sostanziano in una critica alla
ricostruzione fattuale, operata dal giudice del merito in maniera congrua, essendo invece la
critica volta a destrutturare il complessivo ragionamento del giudice del merito e ad attribuirgli
una illogicità che non solo non può dirsi manifesta-come preteso dall’articolo 606 lett. e)- ma
neppure sussistente.
I giudici dell’appello hanno applicato il principio di diritto, invero non contestato nemmeno dalla
difesa ed anzi dalla stessa evocato, secondo cui la posizione dell’amministratore di fatto,
3

b) la responsabilità per il delitto di bancarotta per distrazione richiede l’accertamento della
previa disponibilità, da parte dell’imputato, dei beni non rinvenuti in seno all’impresa;
accertamento non condizionato dalla presunzione di attendibilità del corredo documentale
dell’impresa che non obbedisce – per quel che concerne il delitto in questione – alla
qualificazione in termini di prova, ex art. 2710 cod. civ.; infatti, ai sensi dell’art. 192 cod. proc.
pen., la risultanza deve essere valutata (anche nel silenzio del fallito) con ricerca della relativa
intrinseca attendibilità, secondo i consueti parametri di scrutinio, di cui deve essere fornita
motivazione (Rv. 249715) .

destinatario delle norme incriminatrici della bancarotta fraudolenta, va determinata con
riferimento alle disposizioni civilistiche che, regolando l’attribuzione della qualifica di
imprenditore e di amministratore di diritto, costituiscono la parte precettiva di norme che sono
sanzionate dalla legge penale. La disciplina sostanziale si traduce, in via processuale,
nell’accertamento di elementi sintomatici di gestione o cogestione della società, risultanti
dall’organico inserimento del soggetto, quale “intraneus” che svolge funzioni gerarchiche e
direttive, in qualsiasi momento dell'”iter” di organizzazione, produzione e commercializzazione
dei beni e servizi – rapporti di lavoro con i dipendenti, rapporti materiali e negoziali con i
finanziatori, fornitori e clienti – in qualsiasi branca aziendale, produttiva, amministrativa,
contrattuale, disciplinare( Rv. 34254).
Su tale base, la Corte d’appello ha motivato la qualità di amministratore di fatto, in capo a
Sorbello Nicolò, alla luce dell’accertamento compiuto dall’amministratore giudiziario Gravante,
secondo cui l’imputato aveva posto in essere numerose operazioni finanziarie per conto della
società, emettendo assegni e quietanze ovvero incassando i titoli.
Un simile accertamento, indicativo di una ripetuta e non occasionale attività finanziaria
nell’interesse della società, corrisponde a quello preteso dalla giurisprudenza di legittimità sulla
base della disciplina normativa di settore.
La difesa lo critica con osservazioni, oltretutto, non ricevibili dal momento che contestano, in
punto di fatto, la valenza e la significatività suddetto accertamento con argomentazioni di fatto
(eventualità della delega, per singole operazioni, attribuita all’imputato) articolate per la prima
volta dinanzi a questa Corte di cassazione e mai sottoposte, viceversa, al giudice dell’appello.
Con riferimento, poi, alla posizione dell’altro ricorrente, pure ritenuto amministratore di fatto,
Sorbello Angelo, va evidenziato che la sentenza della Corte d’appello ha motivato la relativa
responsabilità apprezzando, da un lato, l’utilizzo per fini personali che lo stesso faceva di titoli
emessi sul conto della società ed inoltre, dall’altro, la specifica attività commerciale che esso
aveva più volte svolto acquistando mezzi che servivano per l’espletamento dell’oggetto sociale.
Anche tale accertamento è stato contestato dalla difesa, anche questa volta del tutto
inammissibilmente, con argomentazioni di fatto, contestando che dagli atti-pure
inequivocabilmente descritti nella motivazione – possa ricavarsi che, ad acquistare la betoniera e
i camion che servivano alla società, sia stato l’imputato e non un altro dei fratelli.
L’ulteriore argomento difensivo-e cioè quello dell’avere utilizzato, il ricorrente, assegni della
società di cui aveva ricevuto la disponibilità a titolo di compenso per l’opera prestata come
dipendente-costituisce parimenti un’alternativa ricostruzione della vicenda, della quale la Corte
d’appello ha illustrato la valenza opposta a quella opzionata dalla difesa, con motivazione
logica ed esaustiva: quella, cioè, secondo cui l’imputato in questione non agiva semplicemente
come dipendente della società ma con ruolo gestorio vero e proprio, dimostrato dal pieno
coinvolgimento nell’acquisto dei beni strumentali per la società.
PQM
rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
Così deciso in Roma l’11 dicembre 2013
Il Presidente

il Consigliere estensore

ero

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