Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 12197 del 04/12/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 12197 Anno 2014
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: PEZZULLO ROSA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MICELI ATTILIO MARIO GIUSEPPE N. IL 01/01/1967
avverso la sentenza n. 431/2013 CORTE APPELLO di BRESCIA, del
09/05/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 04/12/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ROSA PEZZULLO
Udito il ‘
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che ha concluso per

Udit.,lifisor-4-v.v
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Data Udienza: 04/12/2013

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale, Dott. Gioacchino Izzo, che ha concluso per l’annullamento
senza rinvio per prescrizione;
Udito, per il ricorrente, l’avvocato Raffaele Bonfiglio, in sostituzione
dell’avv. Federico Carnazzi, che si è riportato al ricorso
RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa in data 10.2.2012, il Tribunale di Bergamo,
Sezione distaccata di Clusone, condannava Miceli Attilio Mario Giuseppe

favore della parte civile, Duci Giannina, per i reati di violenza privata
tentata e consumata, ingiurie, minaccia, molestie, danneggiamento
aggravato e lesioni personali, aggravate dal nesso teleologico, tutti
commessi a partire dal “maggio 2005 e con permanenza all’attualità”, in
danno della medesima Duci.
2. La Corte di Appello di Brescia, con sentenza del 9.5.2013, in
parziale riforma della sentenza di primo grado, dichiarava non doversi
procedere nei confronti del Miceli per il reato di cui all’art. 660 c.p.
(contestato in parte del capo b), nonché per i reati di lesioni e
danneggiamento (capi c e d),

perché estinti per prescrizione,

rideterminando la pena per le residue imputazioni (violenza privata
tentata e consumata, ingiurie, minaccia), in mesi nove e giorni quindici di
reclusione, confermando nel resto la sentenza di primo grado.
Osservava, tra l’altro, la Corte: che il decorso del termine massimo di
prescrizione era maturato il giorno 13 aprile 2013 per il reato di
danneggiamento aggravato, consumato il 13 settembre 2005; che detto
termine, inoltre, era spirato il giorno 9 febbraio 2013 per il reato di lesioni
personali aggravate e il giorno 28 dicembre 2012 per quello di tentate
lesioni, rispettivamente commessi il giorno 9 luglio 2005 e il giorno 28
maggio 2005, mentre nessuna causa estintiva, poteva, invece, ritenersi
maturata in relazione ai delitti di cui ai capi a) e b), per i quali, essendo
stata contestata la permanenza con data di inizio (maggio- luglio 2005),
ma non quella di cessazione, il termine di prescrizione doveva farsi
decorrere dall’emissione del decreto di citazione, ossia dal giorno 8
maggio 2006; che proprio facendo riferimento a tale dies a quo la causa
estintiva si era perfezionata, anche con riferimento alla contravvenzione
di cui all’art. 660 c.p. di cui al capo b).
3. Avverso tale sentenza il Miceli ha proposto ricorso per Cassazione,
affidato a tre motivi, deducendo:

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alla pena di mesi undici di reclusione ed al risarcimento del danno in

-con il primo motivo, l’ erronea applicazione delle norme di legge e/o
per contraddittorietà e/o illogicità della motivazione sotto il profilo della
disparità di trattamento, stante l’intervenuta prescrizione, da dichiarare in
via preliminare, dei restanti reati ascrittigli. La Corte di merito, invero,
ha riconosciuto la prescrizione per gli altri capi di imputazione,
escludendola per i capi a) e b) (con l’eccezione della contravvenzione ex
art. 660 c.p.), perché gli stessi sarebbero cessati in epoca successiva
rispetto agli altri, e più precisamente al momento dell’emissione del

della “permanenza attuale” contenuta nel capo d’imputazione, sebbene
risultino, invece, contestati al ricorrente specifici episodi/reati,
analiticamente indicati (nel capo a), tutti prescritti: il primo commesso il
28.05.2005 e il secondo il 09.07.2005; nel capo b), invece, non si
ravvisano elementi idonei a far ritenere che le minacce si siano
manifestate in epoca successiva alle denunce del maggio- giugno 2005;
-con il secondo motivo, la violazione di legge e/o travisamento del
fatto ai sensi dell’art. 606 lett. e) c.p.p., contradditorietà e illogicità della
motivazione in dipendenza della attendibilità/inattendibilità delle
dichiarazioni della Duci e dei testi a difesa; in particolare, ha evidenziato
il ricorrente, la deposizione della Duci è da ritenersi inattendibile, avendo
riferito in secondo grado particolari ulteriori rispetto alle dichiarazioni
rese sia in sede di denuncia querela, che in occasione della sua prima
deposizione dibattimentale in primo grado, al fine di enfatizzare la
responsabilità del Miceli; invece, sarebbero attendibili i testi a difesa non
legati da vincoli di amicizia al Miceli, mentre solo la Visinoni è zia
dell’imputato;
-la violazione e/o erronea applicazione delle norme di legge e
segnatamente dell’art. 533 c.p.p., norma questa che impone al giudice di
condannare solo nel caso in cui sia intervenuto l’accertamento di
responsabilità al di là di ogni ragionevole dubbio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso è fondato.
Ed invero, anche per i delitti

di violenza privata, tentata e

consumata, ingiurie e minaccia contestati al Miceli, deve ritenersi
maturata la prescrizione, contrariamente a quanto evidenziato dalla
Corte di merito, atteso che tali reati non sono di durata e non sono stati
indicati elementi specifici , sia nella sentenza di primo grado, come nella
stessa sentenza impugnata che inducano a ritenere che successivamente

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decreto di citazione a giudizio, così come si deduce dalla contestazione

agli episodi descritti ne siano stati commessi altri dall’imputato, in modo
determinare lo
lo spostamento in avanti della decorrenza del termine .
Incorre, quindi, nel vizio denunciato dal ricorrente l’argomentazione
della Corte di merito, secondo la quale per tali delitti, “essendo stata
contestata la permanenza”, indicando la data di inizio, ma non quella di
cessazione, il termine di prescrizione deve farsi decorrere dal momento di
emissione del decreto di citazione a giudizio, coincidente con la data dell’
8.5.2006, considerato, peraltro, che per i reati di cui al capo c) (lesioni

permanenza attuale”, la Corte ha ritenuto, invece, che il termine fosse
spirato nelle date di consumazione dei due episodi descritti
nell’imputazione.
Tanto precisato si osserva innanzitutto che i delitti più gravi attribuiti
al Miceli di violenza privata e di tentata violenza privata, contestati in
continuazione al capo a), sono cessati – secondo l’esatta descrizione
fornita nel capo di imputazione e al di là dell’indicazione “in permanenza
attuale”, erroneamente considerata dalla sentenza impugnata- in data
9.7.2005. Trattasi, in particolare, nel caso in esame di procedimento
pendente antecedentemente alla nuova disciplina della prescrizione
introdotta dalla L. n. 251 del 2005 entrata in vigore 1’8.12.2005 e tenuto
conto del disposto l’art. 10/2 di tale legge, secondo cui “….le disposizioni
dell’articolo 6 non si applicano ai procedimenti e ai processi in corso se i
nuovi termini di prescrizione risultano più lunghi di quelli previgenti…..”,
sempre che non sia stata già pronunciata sentenza di primo grado,
secondo l’interpretazione fornitane dalla Corte costituzionale e dalla Corte
di cassazione, deve concludersi che le disposizioni di tale legge non
trovano applicazione nel caso in esame, contemplando termini più lunghi
di prescrizione rispetto a quelli previgenti, in considerazione della
ricorrenza della recidiva reiterata specifica ed infraquinquennale .
Da tanto consegue, dunque, che il termine massimo di prescrizione è
spirato per l’ultimo dei reati di cui al capo a) in data 9 febbraio 2013,
mentre per il primo in data 28 dicembre 2012, tenendo conto del fatto
che l’art. 158 comma 1 c.p. nella formulazione precedente, collegava
l’inizio del decorso della prescrizione alla cessazione della continuazione,
considerato, da un lato, il reato continuato come un’unità reale, non
suscettibile di scomposizione nei singoli reati che la compongono, siano
essi istantanei o permanenti, sicché la prescrizione inizia a decorrere dalla
cessazione della continuazione, per tutti i reati unificati nella complessa
figura prevista dall’art. 81 cpv c.p. e, quindi, dalla consumazione

aggravate e tentate lesioni), pur essendo medesima la contestazione “in

dell’ultimo dei reati che entrano in continuazione, fermo restando il
periodo prescrittivo proprio di ciascun reato (Sez. III, n. 7878 del
19/03/1999, n. 7878) e, dall’altro, il periodo di sospensione del termine
di prescrizione, pari ad un mese ed un giorno, per impedimento del
difensore nel giudizio di appello.
Alle medesime conclusioni deve giungersi per i residui reati ascritti
all’imputato al capo b) (ingiurie e minacce), con il vincolo della
continuazione, atteso che dalla sentenza di primo grado e da quella

della Duci risale appunto al 9 luglio del 2005.
La sentenza impugnata, pertanto, in accoglimento del primo motivo
di ricorso va annullata senza rinvio agli effetti penali, essendo i reati
estinti per prescrizione.
2. L’intervenuta estinzione dei reati per prescrizione, la cui
declaratoria è stata richiesta in via pregiudiziale dal ricorrente, comporta,
comunque, la valutazione degli ulteriori motivi di ricorso proposti
dall’imputato in considerazione degli effetti civili derivanti dalla pronuncia
impugnata. La previsione, infatti, di cui all’art. 578 – per la quale il giudice
di appello o quello di legittimità, che dichiarino l’estinzione per amnistia o
prescrizione del reato per cui sia intervenuta in primo grado condanna,
sono tenuti a decidere sull’ impugnazione agli effetti delle disposizioni dei
capi della sentenza che concernono gli interessi civili – comporta che i
motivi di impugnazione dell’imputato devono essere esaminati
compiutamente, non potendosi dare conferma alla condanna (anche solo
generica) al risarcimento del danno in ragione della mancanza di prova
dell’innocenza, secondo quanto previsto dall’art. 129 c.p.p., comma 2
(Sez. V, n. 5764 del 7.12.2012)
3. All’uopo deve ritenersi infondato, ai limiti dell’inammissibilità, il
secondo motivo di impugnazione con il quale viene censurata la sentenza
impugnata per aver ritenuto attendibile la parte offesa, sulle dichiarazioni
della quale si fonda essenzialmente l’impianto accusatorio. Vanno
richiamati i principi affermati da questa Corte, secondo cui la valutazione
della credibilità della persona offesa rappresenta una questione di fatto,
che non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice sia
incorso in manifeste contraddizioni (Sez. I, n. 33267 del 11.6.2013).
Orbene, nel caso in esame la Corte di merito, ha fornito logica, congrua
ed adeguata motivazione in ordine alle ragioni per le quali ha ritenuto
l’attendibilità della Duci in linea con i principi affermati dalla
giurisprudenza di legittimità, secondo i quali le dichiarazioni della
4

impugnata emerge che l’ultimo episodio di ingiurie e minacce in danno

persona offesa possono anche da sole essere poste legittimamente a
fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato,
previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità
soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto,
che, peraltro, deve, in tal caso, essere più penetrante e rigoroso rispetto
a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone
(Sez. U., n. 41461 del 19.7.2012). In particolare, la sentenza impugnata,
ha valutato intrinsecamente attendibile il racconto più volte effettuato

assenza di contraddizioni, anche rispetto alla querela, ma anche in
considerazione del fatto che l’elemento assunto dalla difesa del Miceli
idoneo a minare l’attendibilità della Duci -relativo alta sussistenza della
relazione sentimentale con il Miceli negata dalla predetta -non è stato
dimostrato, attraverso le generiche dichiarazioni dei testi della difesa,
legati al Miceli a vario titolo, amicizia o parentela. La Corte di merito ha,
poi, indicato specifici elementi oggettivi di riscontro alle dichiarazioni della
Duci, consistenti nelle dichiarazioni dei titolari di alcuni negozi collocati
nelle vicinanze dell’esercizio della Duci, nelle dichiarazioni della figlia,
Morandi Sara, nelle varie denunce presentate dalla parte lesa nei
confronti del Miceli, una delle quali già definita con sentenza di condanna
irrevocabile per la ritenuta piena attendibilità della denunciante, nei
certificati medici in atti e nelle dichiarazioni dello stesso imputato che ha
finito per ammettere alcune peculiari circostanze riferite dalla Duci ( tra le
quali quella di aver ricevuto uno spruzzo in faccia dalla Duci e dell’aver
pronunciato le frasi

“troia, bastarda”).

In tale preciso contesto

motivazionale immune da vizi logici il ricorrente ha addotto elementi
implicanti in sostanza la richiesta di un diverso giudizio di merito
inammissibile in questa sede. Anche a seguito della modifica apportata
all’art. 606, lett. e), cod. proc. pen. dalla I. n. 46 del 2006, resta non
deducibile nel giudizio di legittimità il travisamento del fatto, stante la
preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria
valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti
gradi di merito (sez. VI, N. 25255 del 14/02/2012).
4. Infondato è anche il terzo motivo di ricorso relativo alla violazione
e/o erronea applicazione dell’art. 533/1 c.p.p.. Premesso che al giudice di
legittimità non può essere proposta direttamente una versione alternativa
fattuale, la valutazione della congruità motivazionale, in relazione al
principio di cui all’articolo 533, comma 1, c.p.p., non può non tenere
conto di come il giudice di merito abbia motivato la sua scelta tra le
5

dalla parte lesa, in considerazione non solo della linearità, precisione ed

possibili opzioni fattuali per sciogliere ogni ragionevole dubbio,
occorrendo allo scopo un’adeguata disamina delle eventualità ulteriori
(Sez. III, n.37373 del 20/06/2013). Il principio dell’ “oltre ogni
ragionevole dubbio”, introdotto formalmente dalla I. n. 46 del 2006, che
ha modificato l’art. 533 c.p.p. e che impone al giudice di giungere alla
condanna solo se è possibile escludere ipotesi alternative dotate di
razionalità e plausibilità, non può valere a far sì che sia la Cassazione a
valorizzare e rendere decisiva la duplicità di ricostruzioni alternative del

dalla difesa, una volta che tale eventuale duplicità sia stata il frutto di
un’attenta e completa disamina da parte del giudice dell’appello, il quale
abbia operato una scelta, sorreggendola con una motivazione rispettosa
dei canoni della logica e della esaustività (Sez. V, n. 10411 del
28/01/2013). Orbene la Corte di merito ha individuato l’unica
ricostruzione fattuale ragionevole, prendendo in esame le diverse opzioni
offerte dall’imputato (ad esempio versione relativa alla relazione
sentimentale tra il Miceli e la Duci), sorreggendola appunto con
motivazioni immuni da vizi logici, senza lasciare spazio per una
ragionevolezza contraria, ovvero il ragionevole dubbio (Sez. 6^, 24
gennaio 2013 n. 8705).
Alla luce di tutto quanto evidenziato, pertanto, il ricorso agli effetti
civili va rigettato.
p.q.m.

annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali per
essere i reati estinti per prescrizione; rigetta il ricorso agli effetti civili
Così deciso il 4.12.2013

medesimo fatto, eventualmente emersa nella sede del merito e segnalata

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