Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 12188 del 27/11/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 12188 Anno 2014
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: VESSICHELLI MARIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
— BASSANO FRANCESCO N. IL 21/07/1972
— BANCA CABOTO SPA
avverso la sentenza n. 1920/2010 CORTE APPELLO di SALERNO, del
01/06/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 27/11/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MARIA VESSICHELLI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
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Udito, per la parte civile, l’Avv .
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Data Udienza: 27/11/2013

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Hanno proposto ricorso per cassazione Bassano Francesco , quale imputato, e Caboto spa (già
Intesa BCI SIM spa, poi Banca Primaversa spa , infine, appunto, Caboto spa) , quale
responsabile civile, avverso alla sentenza della Corte d’appello di Salerno, in data 1° giugno
2012.
Con tale sentenza, in parziale riforma di quella di primo grado, sono state revocatelimitatamente ad una serie di parti civili che non avevano concluso contro il responsabile civile
– le statuizioni civili emesse a carico del responsabile civile. Contestualmente è stata invece
confermata la affermazione di responsabilità di Bassano in ordine al reato di cui al capo H),
ossia alle fattispecie di bancarotta fraudolenta patrimoniale- sia pure limitatamente ad alcune
delle fattispecie concrete contestate- e documentale, addebitategli a seguito del suo fallimento,
dichiarato 1’11 dicembre 2002.
Al Bassano, i detti reati erano stati contestato nella qualità di promotore finanziario, per contoin virtù di rapporto di agenzia- della menzionata Sim, qualità che egli esercitava quale
imprenditore individuale. Gli è stata anche addebitata la circostanza aggravante del danno
patrimoniale di rilevante gravità.
La fattispecie ritenuta sussistente dai giudici del merito è quella dell’avere, l’imputato,
distratto, con operazioni irregolari, alcuni miliardi di lire (otto) dai conti correnti , anche di
servizio, accesi dai clienti che si erano affidati a lui per gestioni patrimoniali, dietro la promessa
di mirabolanti guadagni, realizzando, con diverse modalità, il prelievo non autorizzato, di
ingenti somme .
Tra tali modalità era compresa quella della falsificazione della firma di traenza apposta sui
carnet dei clienti stessi, nonché il ricorso a falsi documenti apparentemente riferibili ad Intesa
BCI- società che veniva fatta apparire come quella di riferimento dell’operato di Bassano- e al
Banco Ambrosiano Veneto, filiale di Battipaglia – presso il quale erano stati accesi. i conti dei
clienti-.
Delle somme illecitamente prelevate, l’imputato aveva compiuto un uso indebito, servendosene
uti dominus anche soltanto per ripianare le scoperture e le necessità rappresentate, di volta in
volta, da altri clienti e, in numerose occasioni, facendole confluire su un conto di transito
intestato alla moglie nonché su conti di altri familiari. In tal modo, tuttavia, era stata
perfettamente realizzata la fattispecie di bancarotta per distrazione in danno dei clienticreditori del fallito.
I fatti erano stati accertati sulla base delle dichiarazioni pienamente confessorie dello stesso
imputato, che aveva chiarito il proprio modus operandi illecito.
Deduce il difensore dell’imputato
1) la violazione dell’articolo 133 cp e il vizio di motivazione, quanto al trattamento
sanzionatorio.
Tale motivazione era del tutto formale essendosi affidata all’argomento dell’essere, la
pena irrogata, prossima al minimo edittale, laddove era stata inflitta una pena di sei
anni di reclusione, soprattutto ignorandosi il dato fondamentale della collaborazione
processuale, pure valorizzato in sentenza per la ricostruzione dell’intera fattispecie.
Il ricorrente, oltretutto, si sarebbe autodenunciato ben prima che la banca o la Sim
formulassero denunzie a suo carico.
È stata inoltre trascurata la assoluta incensuratezza del Bassano, così come non erano
stati valutati gli elementi indicati dalla difesa per sostenere la richiesta di attenuanti
generiche;
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FATTO E DIRITTO

2) la erronea applicazione dell’articolo 240 c.p. in tema di confisca, e il vizio di
motivazione.
Lamenta, il difensore, che non sarebbero stati considerati gli elementi rappresentati nel
terzo motivo d’appello e nella memoria integrativa del 25 maggio 2012.
In particolare denuncia la illegittimità della confisca dei conti correnti del padre, della
madre e del fratello dell’imputato, utilizzati da costui, all’insaputa dei primi e al pari dei
conti correnti dei clienti, per effettuare i trasferimenti illegali di somme oggetto della
contestazione di bancarotta per distrazione.
Tuttavia, non si comprenderebbe la ragione per la quale i familiari in questione non
dovrebbero essere equiparati ai clienti, soggetti tutti i cui conti sono stati utilizzati
dall’imputato per operazioni illecite a questi rimaste sconosciute, tanto da meritare,
indistintamente, la qualifica di persone offese.
Non sarebbero state considerate, oltretutto, le movimentazioni in uscita dai detti conti.
Non sarebbe stato neppure spiegato, in maniera logica, il perché della confisca dei fondi
di investimento e delle polizze assicurative La Venezia, stipulati dai familiari prima che
l’imputato cominciasse la sua attività di promotore e che non sono entrati nell’attività
illecita di costui perché hanno fatto parte del portafoglio di investimento, solo
beneficiando degli incrementi previsti.
Deduce il responsabile civile
il vizio della motivazione in ordine alla affermata responsabilità ex articolo 2049 c.c. e
185 comma due c.p. (limitatamente, dopo la decisione d’appello, alle statuizioni in
favore delle parti civili Gregorio Caponigro Pasquale Caponigro, Lucia Imperiale, Teresa
Pallante, Carlo Pannullo e Stefano Villa).
Il giudice dell’appello si sarebbe limitato ad una riproposizione acritica delle ragioni
esposte dal primo giudice, trascurando che, nei motivi d’appello, e proprio a commento
di una affermazione contenuta nella sentenza di primo grado, si era sostenuto che la
attività dell’imputato, distrattiva nei confronti di clienti, era stata posta in essere a
prescindere dal rapporto professionale con la società di intermediazione Caboto e,
soprattutto, con comportamenti dei clienti tesi ad ostacolare le funzioni di controllo e
comunque acquiescenti (deposizioni dei testi Mazza, Spinelli, Pannullo C.).
I ricorsi sono inammissibili.
In ordine al primo motivo articolato nell’interesse di Bassano, è sufficiente osservare che il
giudizio di merito in ordine alla entità della pena costituisce espressione di un potere
discrezionale del giudice, che non perde tale sua natura sol perché sono previsti precisi
parametri legali ai quali deve conformarsi, essendo, l’esercizio di quel potere, sottoposto al
controllo di legalità che si esplica sulla motivazione con la quale il giudice medesimo dà conto e
giustifica il modo col quale ha ritenuto di leggere e soppesare i fatti e gli elementi rilevanti,
nella loro complessità, all’interno della cornice normativa della quale si è detto.
Nella specie, la motivazione della sentenza impugnata non evidenzia aporie o manifeste
illogicità, rinvenendosi in essa la considerazione dei profili positivi segnalati dal difensore ed in
particolare di quello rappresentato dal comportamento processuale: profili che sono stati posti
a confronto con gli altri elementi, di segno negativo, da valorizzare ugualmente ai sensi
dell’articolo 133 cp, lasciando scaturire un giudizio complessivo finale che certamente non può
dirsi manifestamente illogico ed anzi è rispondente ai criteri della razionalità e della
completezza poiché ritiene di privilegiare, in quello che è un tipico apprezzamento di merito
non ulteriormente sindacabile, il dato fortemente negativo costituito dalla pervicacia
dimostrata negli anni e dal danno di rilevante gravità.
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a

La doglianza è dunque versata in fatto e comunque manifestamente infondata .
Il secondo motivo, relativo ancora al ricorso di Bassano, presenta un evidente profilo di
inammissibilità.
Posto che, con esso, nell’interesse dell’imputato si deduce la asserita legittimità della
provenienza di somme o investimenti relativi ai conti correnti dei familiari – in realtà sottoposti
a confisca sul presupposto della loro diretta riferibilità allo stesso Bassano- è evidente che egli
formula una doglianza in nome e per conto di soggetti terzi e in relazione a beni mobili che si
assumono appartenere, dunque, a estranei al reato.
La doglianza è perciò formalmente posta da soggetto diverso dall’avente diritto alla eventuale
disposizione di revoca della confisca.
Non va dimenticato che l’ordine di confisca contenuto in sentenza irrevocabile di condanna fa
stato inter partes; pertanto, se il provvedimento risultasse disposto illegittimamente,
sussistendo la causa impeditiva prevista dal terzo comma dell’ad 240 cod pen, il soggetto
estraneo al reato, e perciò rimasto estraneo al procedimento penale, al quale la cosa confiscata
appartiene, può invalidare quel capo della sentenza ed ottenere la revoca della misura di
sicurezza inflitta all’imputato condannato(Rv. 140567): e ciò, attivando apposito incidente di
esecuzione ove può dimostrare può dimostrare la sussistenza del diritto di proprietà e l’assenza
di ogni addebito di negligenza (v. fra le molte, Sez. 1, Sentenza n. 47312 del 11/11/2011 Cc.
(dep. 20/12/2011 ) Rv. 251415).
Il ricorso del responsabile civile è ugualmente inammissibile.
Con esso si deducono genericamente presunti vuoti motivazionali relativi a motivi di appello
solo evocati ma non anche riprodotti nel ricorso.
Si tratta poi di una doglianza che, nel ricorso, si atteggia comunque a censura di merito, come
tale non consentita nella sede della legittimità.
Il giudice dell’appello ha invero replicato al corrispondente motivo di appello, ponendo in
evidenza il costante orientamento della giurisprudenza della Cassazione civile che non
attribuisce rilievo esimente , ai fini che qui interessano, al fatto che il promotore possa avere
esorbitato dal limite di operatività fissato dalla SIM oppure avere agito con condotte
penalmente rilevanti.
La responsabilità della Sim è infatti determinata dal rapporto di “necessaria occasionalità” tra
incombenze affidate e fatto del promotore, che è ravvisabile in tutte le ipotesi in cui il
comportamento del promotore rientri nel quadro delle attività funzionali all’esercizio delle
incombenze di cui è investito.
Viene ritenuto comunemente sufficiente, ad affermare la responsabilità della SIM per il fatto
del promotore, che la condotta di quest’ultimo sia stata agevolata e resa possibile dal suo
inserimento nell’attività della società d’intermediazione mobiliare e si sia realizzata nell’ambito
e coerentemente alle finalità in vista delle quali l’incarico è stato conferito.
Sulla base di tali premesse, le doglianze difensive apparivano manifestamente irrilevanti già
per come formulate al giudice dell’appello e tali continuano a manifestarsi anche ai fini della
disamina del ricorso per cassazione posto che la tesi difensiva del forte legame personale
esistente fra investitori e promotore non vale ad incrinare seriamente la tesi della accusa:
quella,attestata come provata in sentenza, e delineata alla luce anche dell’uso indebito della
modulistica riferibile ad Intesa BCI Italia SIM, da parte del ricorrente, con la conseguenza che
una simile realtà di fatto è, di per sé, prova dell’avere agito, il promotore, nell’ambito della
attività della società di intermediazione mobiliare.E la difesa del responsabile civile,
richiamandosi al non ulteriormente specificato tenore di deposizioni testimoniali, non introduce
un ammissibile vizio di motivazione, connotato dalla specificità della formulazione secondo i
dettami dell’art. 581 cpp.
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4

,

Alla inammissibilità dei ricorsi consegue, ex art. 616 cpp, la condanna di ciascun ricorrente al
versamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma che appare equo determinare
in euro 1000.
In virtù del principio di soccombenza, e tenuto conto sia delle note di spesa presentate dalle
parti civili rappresentate nella odierna udienza (dalli avvocato Sergio in proprio e in veste di
sostituto processuale dell’avv. Sammarco) , sia, della differenziazione , anche a tali fini, della
posizione dell’imputato e del responsabile civile , come effettuata dal giudice a quo, i predetti
soggetti vanno condannati alla rifusione delle spese sostenute, nel grado, dalle parti civili, nei
seguenti termini: l’imputato, in solido col responsabile civile, nei confronti di Caponigro
Pasquale, Imperiale Lucia, Pannullo Carlo e Villa Stefano, tutti difesi dall’avv.Sammarco; il solo
imputato, nei confronti di Petrone Luigi, Faiella Teresa, Pannullo Luca e Pannullo Domenico tutti difesi dall’avv. Sammarco- nonché nei confronti di Manzo Alfonso, Manzo Fioravante e
Nunziante Francesco,tutti difesi dall’av. Sergio.
L’entità delle spese viene determinata in complessivi euro 2000 , oltre accessori di legge, con
riguardo al primo gruppo; in ulteriori, complessivi, 2000 euro oltre accessori di legge,con
riguardo al secondo gruppo e in complessivi euro 1600, oltre accessori di legge, quanto al
terzo gruppo.
Il criterio per la liquidazione è quello desumibile dall’art. 12 comma 4 , I° cpv, del Decreto
Ministero Giustizia 20.07.2012 n° 140 ,sui compensi professionali degli avvocati, norma che
statuisce, per il caso di difensore unico di più parti civili, che il compenso professionale è unico
e solo in caso peculiare attività, possa subire un aumento fino al raddoppio.

PQM

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese del
procedimento ed a versare alla cassa delle ammende la somma di euro 1000, nonché in solido
l’imputato col responsabile civile, alla rifusione delle spese del grado in favore delle Parti civili
Caponigro Pasquale, Imperiale Lucia, Pannullo Carlo e Villa Stefano,che liquida in complessivi
euro 2000 oltre accessori; condanna, altresì, il solo imputato, alla rifusione delle spese del
grado in favore delle Parti civili Petrone Luigi, Faiella Teresa, Pannullo Luca e Pannullo
Domenico, che liquida in complessivi euro 2000 oltre accessori, nonché alla rifusione delle
spese del grado in favore delle Parti civili Manzo Alfonso, Manzo Fioravante e Nunziante
Francesco,che liquida in complessivi euro 1600 oltre accessori.
Così deciso in Roma il 27 novembre 2013

DEPOSITATA IN CANCELLERIA

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