Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 12183 del 07/06/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 12183 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: MICHELI PAOLO

SENTENZA

sul ricorso proposto nell’interesse di
Cariati Gianni, nato a Toronto (Canada) 1’11/03/1976

avverso la sentenza emessa 1’11/06/2012 dal Tribunale di Cosenza

visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
Oscar Cedrangolo, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del
ricorso

RITENUTO IN FATTO

Il difensore di Gianni Cariati ricorre avverso la pronuncia indicata in epigrafe,
recante la conferma della sentenza emessa dal Giudice di pace di Cosenza in
data 13/12/2011, in forza della quale lo stesso Cariati era stato condannato alla
pena di C 533,00 di multa per reati ex artt. 581 e 612 cod. pen., otesi

Data Udienza: 07/06/2013

commessi in danno di Francesco Crocco. Secondo il giudice di appello, come già
ritenuto in primo grado, doveva riconoscersi attendibilità a quanto riferito dalla
persona offesa, le cui dichiarazioni avevano peraltro trovato conferma nel
narrato di alcuni testimoni: dovevano pertanto disattendersi le doglianze esposte
dall’imputato in sede di gravame, non riscontrandosi sostanziali discrasie nelle
prove orali acquisite, né fra il contenuto dell’iniziale querela e quanto sostenuto
dal Crocco in occasione della testimonianza resa.
Con l’odierno ricorso, il difensore del Cariati lamenta plurime violazioni di

motivazionali della sentenza impugnata, che avrebbe operato una “scelta di
campo” favorevole alle tesi del denunciante ma senza offrire valide
argomentazioni per preferire quella ricostruzione (che la difesa dell’imputato
precisa non essere univoca, essendovene state più d’una) a quella sostenuta
nell’interesse del Cariati. Censura inoltre la sentenza del Tribunale di Cosenza
in ordine al ricordato giudizio di attendibilità formulato nei confronti del Crocco,
senza che tuttavia detto giudizio risultasse espresso all’esito di un rigoroso vaglio
degli assunti della persona offesa, come imposto dalla giurisprudenza di questa
Corte; per converso, la valutazione di irrilevanza degli elementi di contrario
tenore offerti dagli altri testimoni escussi, segnalata nei motivi di appello, risulta
solo apoditticamente affermata.
Viene infine contestato che nella vicenda siano ravvisabili gli estremi dei
delitti di percosse e minacce, richiamandosi la giurisprudenza di legittimità circa i
presupposti per l’integrazione di entrambe le fattispecie criminose.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve qualificarsi inammissibile, conformemente alle conclusioni
rassegnate dal Procuratore generale.
1.1 Quanto alla prospettata esistenza di una molteplicità di possibili
ricostruzioni della vicenda, è infatti evidente che gli argomenti utilizzati
nell’interesse del ricorrente tendono a sottoporre al giudizio di legittimità aspetti
che riguardano la ricostruzione del fatto e l’apprezzamento del materiale
probatorio, da riservare alla esclusiva competenza del giudice di merito.
Sino alla novella introdotta con la legge n. 46 del 2006, la giurisprudenza di
questa Corte affermava pacificamente che al giudice di legittimità deve ritenersi
preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione
impugnata e l’autonoma adozione di nuovi o diversi parametri di ricostruzione e
valutazione dei fatti, ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migl

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legge, sia di natura sostanziale che processuale, e correlate carenze

capacità esplicativa, dovendo soltanto controllare se la motivazione della
sentenza di merito fosse intrinsecamente razionale e capace di rappresentare e
spiegare l’iter logico seguito. Quindi, non potevano avere rilevanza le censure
che si limitavano ad offrire una lettura alternativa delle risultanze probatorie, e la
verifica della correttezza e completezza della motivazione non poteva essere
confusa con una nuova valutazione delle risultanze acquisite: la Corte, infatti,
«non deve accertare se la decisione di merito propone la migliore ricostruzione
dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, ma limitarsi a verificare se

plausibile opinabilità di apprezzamento» (v., ex plurimis, Cass., Sez. IV, n. 4842
del 02/12/2003, Elia).
I parametri di valutazione possono dirsi solo parzialmente mutati per effetto
delle modifiche apportate agli artt. 533 e 606 cod. proc. pen. con la ricordata
novella: in linea di principio, questa Corte potrebbe infatti ravvisare un vizio
rilevante in termini di inosservanza di legge processuale, e per converso in
termini di manifesta illogicità della motivazione, laddove si rappresenti che le
risultanze processuali avrebbero in effetti consentito una ricostruzione dei fatti
alternativa rispetto a quella fatta propria dai giudici di merito, purché tale
diversa ricostruzione abbia appunto maggior spessore sul piano logico
(realizzando così il presupposto del “ragionevole dubbio” ostativo ad una
pronuncia di condanna).
Si è peraltro più volte ribadito che anche all’esito della suddetta riforma «gli
aspetti del giudizio che consistono nella valutazione e nell’apprezzamento del
significato degli elementi acquisiti attengono interamente al merito e non sono
rilevanti nel giudizio di legittimità se non quando risulti viziato il discorso
giustificativo sulla loro capacità dimostrativa e […], pertanto, restano
inammissibili, in sede di legittimità, le censure che siano nella sostanza rivolte a
sollecitare soltanto una rivalutazione del risultato probatorio» (Cass., Sez. V, n.
8094 dell’11/01/2007, Ienco, Rv 236540). E, proprio con riguardo al principio
dell’ “oltre ogni ragionevole dubbio”, si è da ultimo precisato che esso non ha
comunque inciso sulla natura del sindacato della Corte di Cassazione in punto di
motivazione della sentenza e non può, quindi, «essere utilizzato per valorizzare e
rendere decisiva la duplicità di ricostruzioni alternative del medesimo fatto,
eventualmente emerse in sede di merito e segnalate dalla difesa, una volta che
tale duplicità sia stata oggetto di attenta disamina da parte del giudice
dell’appello» (Cass., Sez. V, n. 10411 del 28/01/2013, Viola, Rv 254579).
Nella fattispecie oggi in esame, al contrario, la difesa punta proprio a far
rivalutare a questa Corte le emergenze istruttorie, occupandosi soltanto degli
elementi di fatto a dispetto della dedotta sussistenza di vizi ex art. 606 cod.

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questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una

proc. pen.; a tacer d’altro, deve sottolinearsi come il ricorrente enunci un
sostanziale travisamento della prova in cui i giudici di merito sarebbero incorsi,
senza neppure evidenziare quali specifiche risultanze istruttorie avrebbero avuto,
da parte del Giudice di pace e/o del Tribunale, una rappresentazione difforme da
quella effettivamente desumibile dal contenuto delle stesse, ovvero insista nel
denunciare presunte discrasie insanabili fra le deposizioni della persona offesa e
dei testimoni dell’accusa, senza farsi carico di superare la decisiva obiezione del
giudice di secondo grado, in base alla quale si tratterebbe di difformità

1.2 Manifestamente infondata appare altresì la doglianza afferente la
mancanza di un vaglio, ad opera del Tribunale, circa l’attendibilità del
denunciante: in proposito, va ricordato che «le regole dettate dall’art. 192,
comma terzo, cod. proc. pen. non si applicano alle dichiarazioni della persona
offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento
dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata
da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e
dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere
più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le
dichiarazioni di qualsiasi testimone» (Cass., Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012,
Bell’Arte, Rv 253214). Nella fattispecie, così come evidenziato dalle stesse
Sezioni Unite nella pronuncia appena ricordata, circa l’opportunità di procedere,
nel caso in cui la persona offesa si sia costituita parte civile, al riscontro delle sue
dichiarazioni con altri elementi, il Tribunale risulta avere dato atto che dal Crocco
e dagli altri testimoni escussi era stata offerta una concorde descrizione della
scena dell’aggressione che il primo aveva subito ad opera del Cariati.
1.3 Del tutto generiche si palesano infine le censure difensive in ordine alla
dedotta non configurabilità dei delitti in rubrica, che si risolvono in una rassegna
di precedenti giurisprudenziali di cui non viene offerta alcuna indicazione di
aderenza al caso di specie: peraltro, anche volendo considerare gli elementi – in
fatto – segnalati dal ricorrente in nota, a nulla rileva il comportamento del
Crocco successivo alla condotta del Cariati, atteso che le percosse non sono certo
escluse dalla scelta del soggetto passivo di non recarsi in ospedale (appunto
perché non si discute di lesioni personali) o dalla dimostrazione che la parte
civile avrebbe dato di non sentirsi turbata dalle parole pronunciate al suo
indirizzo (il che nulla toglie alla materialità di un’espressione obiettivamente
minacciosa).

2. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., segue la condanna del Cariati al
pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di colpa

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comunque marginali, non involgenti il nucleo centrale del narrato.

nella determinazione della causa di inammissibilità, in quanto riconducibile alla
volontà del ricorrente (v. Corte Cost., sent. n. 186 del 13/06/2000) – al
versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di € 1.000,00,
così equitativamente stabilita in ragione dei motivi dedotti.

P. Q. M.

spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.

Così deciso il 07/06/2013.

Dichiara inammissibile il ricorso, e condanna il ricorrente al pagamento delle

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