Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 12181 del 07/06/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 12181 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: MICHELI PAOLO

SENTENZA

sul ricorso proposto nell’interesse di
Colato Umberto, nato ad Ercolano il 21/02/1975
avverso la sentenza emessa 1’11/05/2012 dalla Corte di appello di Bologna
visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
Oscar Cedrangolo, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del
ricorso

RITENUTO IN FATTO

1. L’11/05/2012 la Corte di appello di Bologna riformava parzialmente la
sentenza emessa dal Tribunale di Forlì in data 19/09/2011, in forza della quale
Umberto Colato era stato condannato alla pena di anni

i

e mesi 4 di reclusione

ed euro 400,00 di multa (oltre al pagamento delle spese processuali), in ordine
al reato di furto aggravato, all’esito di giudizio abbreviato.

Data Udienza: 07/06/2013

La Corte territoriale confermava la declaratoria di penale responsabilità del
prevenuto, riducendo comunque il trattamento sanzionatorio – sia al Colato che
all’ulteriore appellante, il coimputato Pasquale Pagano – ad anni 1 di reclusione
ed euro 300,00 di multa: i fatti si riferivano alla sottrazione di un serbatoio per
camion, vuoto, dall’interno di un’area di proprietà della ditta Astacar, ove il
Colato ed il Pagano si erano introdotti forzando un lucchetto ed una catena
apposti ad uno dei due cancelli di accesso.

2.1 Con il primo, si lamenta erronea applicazione dell’art. 56 cod. pen., in
quanto nella fattispecie avrebbe dovuto ravvisarsi l’ipotesi del furto tentato,
invece che consumato: i due imputati erano stati infatti sorpresi con il serbatoio
già all’esterno della recinzione della ditta, ma non trovandosi nelle immediate
adiacenze della presunta refurtiva (essi erano stati avvicinati da una guardia
giurata che aveva chiesto ragione della loro presenza sul posto, mentre
armeggiavano sul suddetto serbatoio, quindi si erano allontanati nel frangente in
cui la suddetta guardia aveva sollecitato l’intervento dei Carabinieri). Ne deriva
che avrebbe potuto intendersi perfezionata un’attività di sottrazione del bene
dalla disponibilità del proprietario, ma non quella successiva di definitivo
impossessamento.
2.2 n secondo motivo di ricorso si riferisce invece alla contestazione del
reato ex art. 624-bis cod. pen., norma di cui viene parimenti invocata l’erronea
applicazione giacché non avrebbe wo dovuto ravvisarsene l’operatività nella
fattispecie concreta. Il luogo ove la condotta ebbe a perfezionarsi non potrebbe,
in base alla tesi difensiva, intendersi assimilabile ad una privata dimora,
trattandosi di un cortile pertinente ad uno stabilimento industriale (sul punto,
viene invocato un precedente giurisprudenziale di legittimità).
2.3 Con il terzo ed ultimo motivo, la difesa si duole della mancata
concessione al Colato delle circostanze attenuanti generiche, negate sulla base di
un precedente penale e della mancanza di segni di serio ravvedimento. Al
contrario, secondo il ricorrente avrebbe dovuto tenersi conto che la pregressa
condanna riguardava fatti assai risalenti e si riferiva a pena convertita ai sensi
della legge n. 689 del 1981, mentre l’ipotetico difetto di ravvedimento risultava
contrastare con il riconoscimento, già in primo grado, dell’attenuante del
risarcimento del danno.

CONSIDERATO IN DIRITTO

2

2. Propone ricorso il difensore del Colato, deducendo tre motivi.

1. Il ricorso non può trovare accoglimento.
1.1 La giurisprudenza di questa Corte ha già avuto modo di precisare che
«sussiste il reato di furto consumato e non tentato nel caso in cui l’agente si
impossessi, all’interno di un centro commerciale, di un portafoglio sottraendolo
con destrezza, sia pure per un breve lasso di tempo, al controllo del proprietario
che accortosi abbia seguito e bloccato l’imputato» (Cass., Sez. V, n. 7047 del
27/11/2008, Reinhard, Rv 242963); riprendendo gli argomenti evidenziati
nell’interesse del ricorrente, anche in un caso come quello di cui alla pronuncia

dell’impossessamento del bene sottratto, ma quel che conta è in vero la
possibilità che il soggetto attivo abbia avuto – seppure per poco – di disporre
del bene medesimo, a nulla rilevando che l’impossessamento abbia carattere di
definitività. In termini ancor più utili alla lettura della fattispecie oggi in esame,
si è altresì rilevato che «integra il delitto di furto in abitazione consumato e non
tentato (art. 624-bis cod. pen.), la condotta di colui che – scavalcando la
recinzione di uno stabilimento commerciale – si impossessa, sottraendoli al
detentore, di cavi elettrici, portandoli fuori dal luogo in cui sono custoditi, di
guisa che al momento dell’intervento delle forze dell’ordine l’agente ha già
disposto del bene sottratto come proprio, collocandolo al di fuori della recinzione
che segna la proprietà del predetto stabilimento» (Cass., Sez. V, n. 37205 del
16/06/2010, La Fiura, Rv 248423).
1.2 II precedente giurisprudenziale da ultimo ricordato assume valore anche
per ribadire l’orientamento interpretativo, più recente ed in contrasto rispetto
alla sentenza richiamata nel corpo del ricorso (Cass., Sez. V, n. 35947 del
04/06/2001, Rosina, peraltro relativa ad una ipotesi di applicazione della norma
ex art. 615-bis cod. pen.), secondo cui anche uno stabilimento può considerarsi
luogo di privata dimora.
Più diffusamente, peraltro, si è osservato che «il concetto di privata dimora già previsto nella fattispecie ex art. 614 cod. pen. e specificato nella relativa
giurisprudenza – comprende tutti i luoghi non pubblici, nei quali le persone si
intrattengono – anche in maniera transitoria e contingente – per compiere atti
di vita privata, quali l’esplicazione di attività produttiva, professionale, culturale,
politica. In questi luoghi, alle persone impegnate in queste attività è riconosciuto
il diritto di selezionare l’ingresso di terzi, funzionale alla realizzazione delle
finalità delle attività medesime e di escludere l’ingresso di terzi finalizzato al
compimento di atti illeciti»; perciò, deve ritenersi che la privata dimora di un
produttore di merci sia costituita «dall’intero stabilimento industriale e
commerciale, comprendente necessariamente i luoghi di fabbricazione, di
deposito e di esposizione dei beni destinati alla vendita, di amministrazione dei

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appena riportata potrebbe dirsi non ancora perfezionato il momento

costi e ricavi», con la conseguente ravvisabilità del delitto di cui all’art. 624-bis
cod. pen. a carico di chi si introduca nello stabilimento, «con la piena
consapevolezza di introdursi in un luogo fondamentale dello svolgimento
dell’attività della persona offesa, senza che sia razionalmente invocabile una
questione di orario, nel senso che il luogo in cui è collocata buona parte della
ricchezza perda questa rilevanza di notte e la riacquisti di giorno» (Cass., Sez. V,
n. 33993 del 05/07/2010, Cannavale).
1.3 Quanto all’ultima doglianza, deve ricordarsi che «ai fini della concessione

prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quello che
ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio,
sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità
del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può essere sufficiente in tal
senso» (Cass., Sez. II, n. 3609 del 18/01/2011, Sermone, Rv 249163): in
proposito, la Corte territoriale risulta avere segnalato che il pur isolato
precedente penale del Colato riguardava un addebito di ricettazione, e che le
caratteristiche del fatto concreto deponevano per una obiettiva spregiudicatezza
degli imputati (avvicinati da una guardia giurata, essi avevano propinato una
versione di comodo, addirittura qualificandosi come dipendenti della ditta, per
poi allontanarsi e tornare indietro confidando che la guardia medesima non
avesse avuto motivi di sospetto), sì da considerare piuttosto generosa la
prognosi favorevole del primo giudice circa una futura regolarità di
comportamento del prevenuto. Argomentazioni da ritenere congrue, e
certamente immuni dai vizi motivazionali lamentati dalla difesa.

2. Il rigetto del ricorso comporta la condanna del Colato al pagamento delle
spese del presente giudizio di legittimità.

P. Q. M.

Rigetta il ricorso, e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 07/06/2013.

o del diniego delle circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a

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