Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 12179 del 07/06/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 12179 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: MICHELI PAOLO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Prampolini Alfredo, nato a Palermo il 26/07/1956

avverso la sentenza emessa il 20/07/2011 dal Tribunale di Milano

visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
Oscar Cedrangolo, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del
ricorso
udito per il ricorrente l’Avv. Fabio Bazzani, che ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso, e l’annullamento della sentenza impugnata

RITENUTO IN FATTO

Alfredo Prampolini, unitamente al proprio difensore, ricorre avverso la
pronuncia indicata in epigrafe, recante la conferma della sentenza emessa nei

Data Udienza: 07/06/2013

suoi confronti il 21/07/2010 dal Giudice di pace di Milano; il prevenuto era stato
inizialmente accusato di avere offeso l’onore della sorella Maria Letizia, nonché
del di lei marito Giorgio Quaranta, ma ne era derivata condanna solo con
riguardo alla presunta ingiuria commessa in pregiudizio della donna, con il
riconoscimento invece della provocazione quanto ai fatti ulteriori. L’episodio che
aveva determinato l’iscrizione del procedimento penale risaliva al 23/04/2008:
dopo alcuni mesi dalla morte della madre dell’imputato e della persona offesa,
Maria Letizia Prampolini aveva contattato telefonicamente il fratello, con il quale

stata comunque informata di quel decesso, e ne era scaturito un diverbio
piuttosto acceso.
Caratteristica peculiare della vicenda, che aveva indotto il Giudice di pace ad
escludere la rilevanza penale della condotta in danno del Quaranta, era stata
quella di un escamotage utilizzato dai due coniugi – definito una sorta di
“trappola” per l’imputato dallo stesso giudice di prime cure – per indurre il
Prampolini a non farsi negare al telefono: il primo chiamante si era infatti
presentato, alla moglie del Prampolini che aveva risposto all’apparecchio, come
un certo Giorgio, amico dell’imputato, sì da riuscire a farselo passare. Le
ingiurie proferite dall’odierno ricorrente all’indirizzo della sorella erano state poi
pronunciate dall’uomo mentre si rivolgeva alla nipote (Lucia Giorgia Quaranta),
sempre via telefono: ad avviso dei giudici di merito, doveva rilevarsi in tal caso
non ravvisabile l’anzidetta scriminante ex art. 599 cod. pen., data la diversità
soggettiva tra il percettore della contumelia ed il presunto provocatore. Inoltre,
era comunque evidente che l’imputato fosse consapevole della perdurante
presenza della sorella accanto alla figlia durante quella conversazione, perciò in
grado di ascoltare le parole di entrambi, ed in ogni caso il contesto animato del
colloquio imponeva di ritenere che egli mirasse proprio a far sì che Lucia Giorgia
Quaranta riferisse nell’immediatezza alla madre quel che lo zio le aveva detto.
Con l’odierno ricorso, si lamenta:
violazione degli artt. 125 e 546 cod. proc. pen., nonché carenza di
motivazione in punto di mancata pronuncia assolutoria ai sensi dell’art.
599, comma primo, cod. pen.
Secondo la ricostruzione del ricorrente, vi erano state tre telefonate nel
giro di pochi minuti (otto, per la precisione), con il Prampolini a sfuggire il
confronto con la sorella e il cognato, e costoro a volergli tendere una
“trappola”, come riconosciuto dallo stesso giudice di primo grado;
peraltro, era evidente che la persona offesa fosse animata da
rivendicazioni di natura economica, tanto da aver detto al fratello che gli
avrebbe mandato i Carabinieri sotto casa, che gli faceva schifo ed altre

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da tempo non aveva più rapporti, volendo chiedergli conto del perché non fosse

gravi offese, da considerare pertanto quanto meno reciproche. Sul punto,
il Tribunale avrebbe ignorato il contenuto delle testimonianze favorevoli
alla difesa, in particolare quella della moglie del Prampolini che aveva
risposto al telefono, senza evidenziare perché costei dovesse ritenersi
immeritevole di fede
inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 599, comma secondo, cod.
pen.

Dall’istruttoria dibattimentale doveva intendersi emersa la prova che il

avrebbero potuto financo intendersi rilevanti

ex art. 660 cod. pen.)

occorso immediatamente prima ed in un contesto unitario rispetto alla
sua reazione. Per pacifica giurisprudenza, inoltre, «nei reati contro
l’onore l’esimente della provocazione è applicabile anche nel caso in cui la
reazione dell’agente sia stata diretta contro persona diversa dal
provocatore, quando quest’ultimo sia legato all’offeso da rapporti tali da
giustificare, alla stregua delle comuni regole di esperienza, lo stato d’ira e
quindi la reazione offensiva» (la difesa richiama la sentenza di questa
stessa Sezione, n. 41393 del 26/09/2008, ric. Vezil). Vi sarebbe perciò
contraddittorietà nel ritenere operante l’anzidetta esimente solo con
riguardo al Quaranta, visto che «il fatto incriminato avviene comunque in
costanza della medesima occasione storica, di un medesimo contesto
temporale, di uno stesso contesto soggettivo, oggettivo e teleologico dei
partecipanti all’azione, ed infine, quindi, per le medesime cause (rectius:
insistenze da parte della persona offesa e dei congiunti di essa) che
hanno dato luogo appunto alla reazione».
Reazione che era stata subitanea, e non invece meditata come
erroneamente ritenuto dal Tribunale e dal Giudice di pace: dopo la prima
telefonata in cui la risposta del Prampolini era stata carpita con l’inganno,
ve ne era stata una seconda della parte offesa che aveva ripetutamente
ingiuriato l’imputato, e quindi una terza, più lunga, sempre su iniziativa
della Prampolini e nel corso della quale la di lei figlia era subentrata alla
cornetta. Emergerebbe pertanto la conferma di una provocazione
ripetuta, che l’imputato aveva ingiustamente subito e che aveva financo
cercato di evitare: sicché l’esimente in parola avrebbe dovuto essere
riconosciuta in suo favore, quanto meno sul piano putativo.
Non era neppure vero quanto segnalato dal Tribunale, secondo cui le
controversie economiche delle parti fossero già state definite al momento
di quella telefonata: in atti vi sarebbero missive del legale della persona
offesa attestanti istanze assai incisive della donna in ordine alla divisione

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Prampolini avesse reagito ad un fatto ingiusto altrui (le telefonate ripetute

ereditaria, con tanto di precisazione dell’imminente scadenza del termine
di tre mesi per la presentazione della querela in ordine ai fatti del
23/04/2008
omessa motivazione sulle ragioni di gravame avverso i capi civili della
sentenza di primo grado
Il ricorrente deduce di avere formulato, in uno con l’atto di appello,
specifiche doglianze nei riguardi delle determinazioni adottate dal Giudice
di pace in punto di questioni civilistiche, sia a proposito dell’entità della

titolo di spese: su tali censure, il Tribunale non si sarebbe pronunciato in
alcun modo, pur mostrando di riconoscerne la fondatezza non foss’altro
per essere intervenuta condanna alla rifusione delle spese sostenute dalla
parte civile, nel giudizio di secondo grado, in misura sensibilmente
inferiore rispetto all’omologa statuizione del giudice di prime cure.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è fondato.
Appare assodato che le telefonate furono ricevute dall’imputato, e sono gli
stessi giudici di merito a parlare di “trappola” ordita dalla sorella e dal cognato
del Prampolini (che verosimilmente sapevano di non essere interlocutori a lui
graditi) per riuscire a confrontarsi con il ricorrente. Sul contenuto delle frasi che
i chiamanti pronunciarono all’indirizzo dell’imputato, nulla di certo è dato sapere,
ma è parimenti pacifico che secondo il Giudice di pace – come pure ad avviso del
Tribunale, avendo richiamato le argomentazioni di cui alla sentenza di primo
grado – almeno la condotta del Quaranta fu provocatoria: si tratta però di un
assunto che lascia sostanzialmente priva di spiegazione, e di certo
contraddittoria, la circostanza che secondo i medesimi giudici di merito non
avrebbe avuto identica valenza l’atteggiamento della sorella del Prampolini, con
il risultato di dover considerare scriminate le frasi offensive usate da costui
all’indirizzo del cognato, ma non quelle (contestuali, ed espressive di una
identica volontà denigratoria) di cui era destinataria la donna.
Un elemento più volte sottolineato da parte del Tribunale di Milano per
escludere – nei limiti anzidetti – l’operatività della esimente di cui all’art. 599
cod. pen. riguarda la circostanza che le frasi ingiuriose sarebbero state rivolte dal
Prampolini non già alla sorella, presunta autrice del fatto ingiusto a monte, bensì
alla nipote; ma l’argomentazione non appare corretta, atteso che in materia di
delitti contro l’onore, l’esimente de qua è applicabile anche nel caso in cui la

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provvisionale riconosciuta che del quantum liquidato alla controparte a

reazione dell’agente sia diretta nei confronti di persona diversa dal provocatore
(v. Cass., Sez. V, nn. 43087 del 24/10/2007, Militello, e 12308 del 28/11/2012,
Fusaro). Del resto, non sembra contestato che Lucia Giorgia Quaranta subentrò
in una conversazione al telefono tra lo zio e la madre, con quest’ultima che
rimase con ogni verosimiglianza in sua immediata prossimità: ed appare
ulteriormente contraddittorio, da parte del Tribunale, enfatizzare la circostanza
che Maria Letizia Prampolini fu certamente in grado di percepire le parole del
fratello, con lo stesso imputato a scandirle alla nipote affinché (quanto meno)

scriminante sul presupposto che il ricorrente si rivolse ad un soggetto non
coincidente con chi lo aveva provocato.
A questo punto, muovendo dal dato processualmente certo di una
provocazione subita dal Prampolini, che si trovò a ricevere tre telefonate
consecutive (e già dall’esito della prima doveva intendersi evidente che egli non
ne avrebbe gradite altre), appare palese che l’imputato pose in atto una reazione
avente il carattere dell’immediatezza richiesto dal citato art. 599: del resto, «ai
fini dell’integrazione dell’esimente della provocazione, l’immediatezza della
reazione deve essere intesa in senso relativo, avuto riguardo alla situazione
concreta e alle stesse modalità di reazione in modo da non esigere una
contemporaneità che finirebbe per limitare la sfera di applicazione dell’esimente
in questione e di frustarne la ratio […]; ne deriva che per l’integrazione della
provocazione è sufficiente che l’azione reattiva sia condotta a termine
persistendo l’accecamento dello stato d’ira provocato dal fatto ingiusto altrui e
che tra l’insorgere della reazione e tale fatto sussista una reale contiguità
temporale, senza che occorra che la reazione si esaurisca in una reazione
istantanea» (Cass., Sez. V, n. 8097 dell’11/01/2007, Franciosi, Rv 236541).
Né può intendersi necessario analizzare il contenuto delle espressioni
dell’uno o dell’altro antagonista e calibrarne l’eventuale differenza ponderale sul
piano del quantum della lesione alle rispettive onorabilità, atteso che «in tema di
ingiuria, ai fini della integrazione della causa di non punibilità della provocazione,
non è richiesta la proporzione fra la reazione ed il fatto ingiusto altrui, essendo
sufficiente che sussista un nesso di causalità determinante tra fatto provocante e
fatto provocato e non un legame di mera occasionalità» (Cass., Sez. V, n. 43173
del 04/10/2012, Di Tommaso, Rv 253787; v. anche Cass., Sez. V, n. 39508
dell’11/05/2012, Grassi, Rv 253732).
Si impongono pertanto le determinazioni di cui al dispositivo.

P. Q. M.

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costei le riferisse alla parte civile, al contempo escludendo l’applicabilità della

Annulla senza rinvio la impugnata sentenza, perché il fatto addebitato non è
punibile.

Così deciso il 07/06/2013.

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