Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1217 del 20/11/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 1217 Anno 2016
Presidente: SAVANI PIERO
Relatore: LIGNOLA FERDINANDO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
PALERMO MAURIZIO N. IL 18/06/1969
VACCARO MAURIZIO N. IL 20/05/1980
avverso la sentenza n. 4100/2012 CORTE APPELLO di PALERMO,
del 03/12/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FERDINANDO
LIGNOLA;

Data Udienza: 20/11/2015

RILEVATO IN FATTO

– che con l’impugnata sentenza, in parziale conferma di quella di primo grado,
PALERMO MAURIZIO e VACCARO MAURIZIO erano ritenuti responsabili del furto
aggravato di alcune pedane in legno in danno del centro commerciale
“mercatone uno” e condannati alla pena 8 mesi di reclusione e C 1000 di multa;
– che avverso detta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione:
a)

PALERMO MAURIZIO, con atto sottoscritto personalmente, deducendo

avrebbe dovuto applicare una pena nel minimo edittale, stante la personalità del
ricorrente;
b) il difensore di VACCARO MAURIZIO, avvocato Luciano Maria Sarpi, deducendo
violazione di legge e vizio di motivazione in relazidne all’attenuante comune del
danno patrimoniale di speciale tenuità, poiché le pedane furono vendute per un
valore modestissimo, più o meno di cinque euro; il difensore evidenzia che
l’attenuante poteva essere riconosciuta d’ufficio e che è stata richiesta con l’atto
d’appello, laddove si sollecitava una pena più congrua sotto il profilo del
“modestissimo valore economico del furto” ed in udienza dibattimentale di primo
grado;

CONSIDERATO IN DIRITTO

– che i ricorsi vanno dichiarati inammissibili, poiché il giudizio sulla pena è stato
congruamente motivato in considerazione della negativa personalità di entrambi
gli imputati, più volte condannati per reati contro il patrimonio che gravi, ove si
consideri che per costante giurisprudenza (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013 – dep.
04/02/2014, Ferrario, Rv. 259142; Sez. 3, n. 1182 del 17/10/2007, Cilia, Rv.
238851) non vi è margine per il sindacato di legittimità quando la decisione sia
motivata in modo conforme alla legge e ai canoni della logica, in aderenza ai
principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; d’altra parte non è necessario,
a soddisfare l’obbligo della motivazione, che il giudice prenda singolarmente in
osservazione tutti gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen., essendo invece
sufficiente l’indicazione di quegli elementi che assumono eminente rilievo nel
discrezionale giudizio complessivo (Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, Sermone,
Rv. 249163);
– che la doglianza proposta dal difensore di VACCARO MAURIZIO è stata
proposta per la prima volta in sede di legittimità (come lo stesso ricorrente
dimostra di essere consapevole, laddove sottolinea che l’attenuante poteva
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violazione di legge in relazione al trattamento sanzionatorio, poiché il giudice

essere concessa di ufficio in appello), in contrasto con la disposizione dell’art.
606, comma 3, nella parte in cui prevede la non deducibilità in Cassazione delle
questioni non prospettate nei motivi di appello; infatti il parametro dei poteri di
cognizione del giudice di legittimità è delineato dall’art. 609, comma 1, cod.
proc. pen., il quale ribadisce in forma esplicita un principio già enucleabile dal
sistema, e cioè la commisurazione della cognizione di detto giudice ai motivi di
ricorso proposti. Detti motivi – contrassegnati dall’inderogabile “indicazione
specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto” che sorreggono ogni

pen.) – sono funzionali alla delimitazione dell’oggetto della decisione impugnata
ed all’indicazione delle relative questioni, con modalità specifiche al ricorso per
cassazione;
– che comunque il riconoscimento dell’attenuante non è questione di mera
qualificazione giuridica del fatto, poiché richiede una ricostruzione dei fatti, sul
punto del valore intrinseco delle pedane, che non emerge dalla sentenza di
appello, per cui una simile valutazione è riservata alla valutazione del giudice di
merito ed è preclusa in questa sede, ai sensi dell’art. 606, comma 3, cod. proc.
pen.;
– che la ritenuta inammissibilità del ricorso comporta le conseguenze di cui
all’art. 616 cod. proc. pen., ivi compresa, in assenza di elementi che valgano ad
escludere ogni profilo di colpa, anche l’applicazione della prescritta sanzione
pecuniaria, il cui importo stimasi equo fissare in euro mille;

P. Q. M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali e ciascuno al versamento della somma di euro mille in favore delle
cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 20 novembre 2015
Il consigliere e tensore

Il president

atto d’impugnazione (artt. 581, 1° co, lett. e) e 591, 10 co., lett. c) cod. proc.

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