Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 12116 del 30/09/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 12116 Anno 2014
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: CASSANO MARGHERITA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
ESPOSITO MASSIMO N. IL 15/03/1971
avverso la sentenza n. 113/2011 CORTE APPELLO di SALERNO, del
17/07/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MARGHERITA
CASSANO;

Data Udienza: 30/09/2013

Ritenuto in fatto.

Il 17 luglio 2012 la Corte d’appello di Salerno confermava, salvo che con
riferimento alla recidiva che escludeva, la sentenza emessa il 14 maggio 2010 dal
locale Tribunale in composizione monocratica che aveva dichiarato Esposito
Massimo colpevole della contravvenzione di cui agli artt. 678 c.p., 45 e 57 TULPS
in relazione all’art. 703 c.p. e, tenuto conto della esclusione della circostanza

l’originaria pena di tre mesi di arresto e trecento euro di ammenda origina rimanete
irrogata.
Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione, tramite il difensore di
fiducia, l’imputato il quale lamenta violazione di legge e mancanza di motivazione
in ordine alla sussistenza dell’elemento psicologico del reato e agli elementi posti a
fondamento dell’affermazione di penale responsabilità

Osserva in diritto.

Il ricorso è manifestamente infondato.
Il controllo affidato al giudice di legittimità è esteso, oltre che all’inosservanza
di disposizioni di legge sostanziale e processuale, alla mancanza di motivazione,
dovendo in tale vizio essere ricondotti tutti i casi nei quali la motivazione stessa
risulti del tutto priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e di logicità, al
punto da risultare meramente apparente o assolutamente inidonea a rendere
comprensibile il filo logico seguito dal giudice di merito ovvero quando le linee
argomentative del provvedimento siano talmente scoordinate e carenti dei necessari
passaggi logici da far rimanere oscure le ragioni che hanno giustificato la decisione
(Sez. Un. 28 maggio 2003, ric. Pellegrino, rv. 224611; Sez. I, 9 novembre 2004, ric.
Santapaola, rv. 230203).
In realtà, il ricorrente, pur denunziando, peraltro in maniera del tutto generica,
formalmente una violazione di legge in riferimento ai principi di valutazione della
prova di cui all’art. 192.2 c.p.p., non critica in realtà la violazione di specifiche
regole inferenziali preposte alla formazione del convincimento del giudice, bensì,
postulando un preteso travisamento del fatto, chiede la rilettura del quadro
probatorio e, con esso, il sostanziale riesame nel merito, inammissibile invece in
sede d’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione, allorquando

aggravante rideterminava in due mesi di arresto e duecento uro di ammenda

la struttura razionale della sentenza impugnata abbia -come nella specie- una sua
chiara e puntuale coerenza argomentativa e sia saldamente ancorata, nel rispetto
delle regole della logica, alle risultanze del quadro probatorio, indicative
univocamente della coscienza e volontà del ricorrente di detenere ai fini dellaa
vendita materie esplodenti (fuochi d’artificio) del tipo vietato.
Alla dichiarazione di inammissibilità segue di diritto la condanna del ricorrente
al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la

del 2000), al versamento a favore della cassa delle ammende di sanzione pecuniaria
che pare congruo determinare in euro mille, ai sensi dell’ art. 616 c.p.p.

P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro mille in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, il 30 settembre 2013.

colpa nella detefillinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost., sent. n. 186

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