Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 12071 del 30/09/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 12071 Anno 2014
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: CAPOZZI RAFFAELE

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
MAZZARELLA MICHELE N. IL 14/07/1978
avverso l’ordinanza n. 385/2012 TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA,
del 19/10/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. RAFFAELE CAPOZZI;

Data Udienza: 30/09/2013

RG.50952/12-RUOLO N.30

FATI-0 E DIRITTO
Con ordinanza del 19 ottobre 2012 il Tribunale di Sorveglianza di Roma ha
respinto il reclamo proposto da MAZZARELLA Michele, in espiazione pena per
partecipazione ad associazione mafiosa ed altro avverso il decreto del Ministro
della Giustizia del 4 gennaio 2012, con il quale era stato prorogato di anni 2 il
regime differenziato. di cui all’art. 41 bis o.p.

sostanziare il concreto pericolo che il MAZZARELLA fosse ancora attualmente in
grado di mantenere i collegamenti con l’omonima organizzazione criminosa di
stampo camorristico, di cui era elemento di spicco, siccome figlio del capo clan
Vincenzo, operante sul territorio di Napoli, zona centro e zona San Giovanni e da
ritenere tuttora attiva ed operante nel campo delle estorsioni, dell’usura e del
commercio di stupefacenti, come poteva desumersi dalle informazioni fornite
dalla DDA di Napoli, dalla DNA, dal Comando generale dei carabinieri e dal
Ministero dell’interno.
Avverso detto provvedimento del Tribunale di Sorveglianza di Roma,
MAZZARELLA Michele ricorre per cassazione per il tramite del suo difensore, che
ha dedotto erronea applicazione della legge penale e motivazione illogica, in
quanto il provvedimento impugnato si era concentrato sulla disamina dei suoi
precedenti penali, aderendo ad un’interpretazione apodittica della sua capacità di
mantenere i contatti con l’associazione camorristica di cui era stato ritenuto
partecipe, senza avere fornito alcun valido ed attuale riscontro, dal quale poter
desumere la sua effettiva e concreta capacità di gestire le strategie criminali
della consorteria camorristica di appartenenza e, di conseguenza, l’attuale
consistenza della sua pericolosità; non era stato tenuto conto del fatto che i reati
ascrittigli erano stati da lui commessi prima della sua detenzione, il che
dimostrava la mancanza di attualità della sua posizione verticistica all’interno
della cosca camorristica di appartenenza.

Il ricorso proposto da MAZZARELLA Michele è inammissibile, siccome fondato su
censure del tutto generiche.
L’art. 41 bis della legge 26.7.1975 N. 354, così come sostituito dall’art. 2 della
legge 23.12.02 n. 279, stabilisce che i provvedimenti applicativi del regime di
detenzione differenziato “sono prorogabili nelle stesse forme per periodi
successivi, ciascuno pari ad un anno (oggi due anni), purché non risulti che la
capacità del detenuto o dell’internato di mantenere contatti con associazioni
criminali, terroristiche od eversive sia venuta meno”.

Secondo il Tribunale di sorveglianza sussistevano plurimi parametri, idonei a

Il sindacato avverso detti provvedimenti, devoluto alla Corte di Cassazione
dall’art. 41 bis comma 2 sexies della legge citata, è limitato alla violazione di
legge; pertanto il controllo affidato a questo giudice di legittimità è esteso, oltre
che alla inosservanza di disposizioni di legge sostanziale e processuale, altresì
alla mancanza di motivazione e cioè alle ipotesi in cui la motivazione risulti del
tutto priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e logicità, si da risultare
meramente apparente, ovvero quando le linee argomentative del provvedimento
sono a tal punto scoordinate e carenti dei necessari passaggi logici da far

28.5.03 Rv. 224611; Cass. 1^ 9.11.04 Rv. 230203).
E’ quindi da escludere che la violazione di legge ricomprenda in sé anche il vizio
di contraddittorietà od illogicità manifesta della motivazione.
Anche i decreti di proroga del regime di detenzione differenziato devono essere
dotati di adeguata ed autonoma motivazione in ordine agli specifici elementi, dai
quali risulti la permanenza attuale delle eccezionali ragioni di ordine e di
sicurezza, correlate ai pericoli connessi alla persistente capacità del condannato
di tenere contatti con la criminalità organizzata, che le misure mirano a
prevenire (cfr. Cass. 1^ 4.3.04 rv 227975; Cass. 1^ 8.4.2008 n. 14697).
La Corte Costituzionale, investita della questione di legittimità costituzionale
della normativa da ultimo citata, l’ha dichiarata inammissibile per manifesta
infondatezza, sottolineando la conformità ai principi costituzionali, prevedendo
essa che ciascun provvedimento di proroga contenga un’autonoma e congrua
motivazione circa la permanenza attuale di pericoli per l’ordine e la sicurezza,
che le misure mirano a prevenire (Cfr. Corte Costituzionale ordinanza 23.12.04
n. 417).
Il provvedimento impugnato nella presente sede appare conforme ai principi
sopra illustrati.
Esso infatti ha specificamente indicato i concreti ed attuali motivi, per i quali era
da ritenere legittima la proroga della sospensione dell’applicazione di regole del
trattamento penitenziario e di istituti previsti dall’Ord. Pen. nei confronti del
ricorrente.
Il provvedimento ha rilevato come il ricorrente fosse in espiazione pena per gravi
delitti quali partecipazione ad associazione di stampo camorristico ed altro; che
la sua pericolosità sociale era da ritenere tuttora attuale e perdurante, tyanto
essendo emerso dalle concordi informative rese dalla DDA di Napoli, dalla DNA,
dal Comando generale dei carabinieri e dal Ministero dell’interno, dalle quali era
da ritenere che egli fosse tuttora partecipe, con ruolo apicale, dell’omonima
organizzazione criminosa di stampo camorristico, di cui era elemento di spicco,
siccome figlio del capo clan Vincenzo, operante sul territorio di Napoli, zona

rimanere oscure le ragioni che hanno giustificato la decisione (cfr. Cass. SS.UU.

centro e zona San Giovanni e da ritenere tuttora attiva ed operante nel campo
delle estorsioni, dell’usura e del commercio di stupefacenti; il che induceva a
ritenere attuale il rischio di collegamenti del reclamante con gli affiliati della
cosca da ultimo citata.
Da quanto sopra consegue la declaratoria di inammissibilità del ricorso in esame,
con condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento
delle spese processuali e della somma di € 1000,00 alla Cassa delle Ammende.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di € 1000,00 alla Cassa delle Ammende.
Così deciso il 30 settembre 2013.

P.O.M.

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