Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 12069 del 30/09/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 12069 Anno 2014
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: CAPOZZI RAFFAELE

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
MONTI GIROLAMO N. IL 27/08/1975
avverso l’ordinanza n. 654/2012 TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA,
del 02/11/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. RAFFAELE CAPOZZI;

Data Udienza: 30/09/2013

RG.50938/12-RUOLO N.28

FATTO E DIRITTO
Con ordinanza del 2 novembre 2012 il Tribunale di Sorveglianza di Roma ha
respinto il reclamo proposto da MONTI Girolamo, in custodia cautelare per
partecipazione ad associazione mafiosa ed in espiazione pena per partecipazione
ad associazione finalizzata al traffico di droga avverso il decreto del Ministro
della Giustizia del 25 gennaio 2012, con il quale era stato prorogato di anni 2 il
0.D.

Secondo il Tribunale di sorveglianza sussistevano plurimi parametri, idonei a
sostanziare il concreto pericolo che il MONTI fosse ancora attualmente in grado di
mantenere i collegamenti con la famiglia mafiosa di Borgo vecchio, appartenente
al mandamento mafioso di Porta Nuova, di cui era reggente, e da ritenere tuttora
attiva ed operante, come poteva desumersi dalle dichiarazioni rese dai
collaboratori di giustizia FRANZESE Francesco e NUCCIO Antonino e dagli
accertamenti di polizia e dalla documentazione sequestrata il 5 novembre 2007
in occasione dell’arresto di due latitanti.
Avverso detto provvedimento del Tribunale di Sorveglianza di Roma, MONTI
Girolamo ricorre per cassazione per il tramite del suo difensore, che ha dedotto
motivazione carente, in quanto il provvedimento impugnato si era fondato sulle
dichiarazioni rese da due collaboratori di giustizia, non convergenti né analitiche;
inoltre la documentazione sequestrata il 5 novembre 2007 non conteneva
nessuno specifico riferimento alla sua persona ed era stata ritenuta una sua
capacità di mantenere i contatti con l’associazione mafiosa di cui era stato
ritenuto partecipe, senza avere fornito alcun valido ed attuale riscontro, dal
quale poter desumere la sua effettiva e concreta capacità di gestire le strategie
criminali della consorteria mafiosa di appartenenza e, di conseguenza, l’attuale
consistenza della sua pericolosità; non era stato poi tenuto conto delle precarie
condizioni economiche dei suoi familiari, che aveva loro impedito di effettuare un
numero adeguato di colloqui con lui.

Il ricorso proposto da MONTI Girolamo è inammissibile, siccome fondato su
censure del tutto generiche.
L’art. 41 bis della legge 26.7.1975 N. 354, così come sostituito dall’art. 2 della
legge 23.12.02 n. 279, stabilisce che i provvedimenti applicativi del regime di
detenzione differenziato “sono prorogabili nelle stesse forme per periodi
successivi, ciascuno pari ad un anno (oggi due anni), purché non risulti che la
capacità del detenuto o dell’internato di mantenere contatti con associazioni
criminali, terroristiche od eversive sia venuta meno”.

regime differenziato. di cui all’art. 41 bis

Il sindacato avverso detti provvedimenti, devoluto alla Corte di Cassazione
dall’art. 41 bis comma 2 sexies della legge citata, è limitato alla violazione di
legge; pertanto il controllo affidato a questo giudice di legittimità è esteso, oltre
che alla inosservanza di disposizioni di legge sostanziale e processuale, altresì
alla mancanza di motivazione e cioè alle ipotesi in cui la motivazione risulti del
tutto priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e logicità, si da risultare
meramente apparente, ovvero quando le linee argomentative del provvedimento
sono a tal punto scoordinate e carenti dei necessari passaggi logici da far

28.5.03 Rv. 224611; Cass. 1^ 9.11.04 Rv. 230203).
E’ quindi da escludere che la violazione di legge ricomprenda in sé anche il vizio
di contraddittorietà od illogicità manifesta della motivazione.
Anche i decreti di proroga del regime di detenzione differenziato devono essere
dotati di adeguata ed autonoma motivazione in ordine agli specifici elementi, dai
quali risulti la permanenza attuale delle eccezionali ragioni di ordine e di
sicurezza, correlate ai pericoli connessi alla persistente capacità del condannato
di tenere contatti con la criminalità organizzata, che le misure mirano a
prevenire (cfr. Cass. 1″ 4.3.04 rv 227975; Cass. 1^ 8.4.2008 n. 14697).
La Corte Costituzionale, investita della questione di legittimità costituzionale
della normativa da ultimo citata, l’ha dichiarata inammissibile per manifesta
infondatezza, sottolineando la conformità ai principi costituzionali, prevedendo
essa che ciascun provvedimento di proroga contenga un’autonoma e congrua
motivazione circa la permanenza attuale di pericoli per l’ordine e la sicurezza,
che le misure mirano a prevenire (Cfr. Corte Costituzionale ordinanza 23.12.04
n. 417).
Il provvedimento impugnato nella presente sede appare conforme ai principi
sopra illustrati.
Esso infatti ha specificamente indicato i concreti ed attuali motivi, per i quali era
da ritenere legittima la proroga della sospensione dell’applicazione di regole del
trattamento penitenziario e di istituti previsti dall’Ord. Pen. nei confronti del
ricorrente.
Il provvedimento ha rilevato come il ricorrente fosse in custodia cautelare per
partecipazione ad associazione mafiosa ed in espiazione pena per partecipazione
ad associazione finalizzata al traffico di droga; che la sua pericolosità sociale era
da ritenere tuttora attuale e perdurante, emergendo dalle dichiarazioni di due
pentiti e dalla documentazione sequestrata il 5 novembre 2007 come egli facesse
ancora parte, come reggente, della famiglia mafiosa di Borgo vecchio,
appartenente al mandamento mafioso di Porta Nuova, organizzazione criminosa
di stampo mafioso tuttora viva ed operante nel territorio palermitano; il che

rimanere oscure le ragioni che hanno giustificato la decisione (cfr. Cass. SS.UU.

induceva a ritenere attuale il rischio di collegamenti del reclamante con gli
affiliati della cosca da ultimo citata.
Il provvedimento impugnato ha infine ritenuto che la sporadicità dei colloqui con
i suoi familiari non potesse necessariamente collegarsi alle disagiate condizioni
economiche sue e del suo contesto familiare.
Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di C 1.000,00 alla Cassa delle

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.
Così deciso il 30 settembre 2013.

Ammende.

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