Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 12032 del 04/03/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 12032 Anno 2014
Presidente: IPPOLITO FRANCESCO
Relatore: APRILE ERCOLE

SENTENZA

sul ricorso presentato da
Sanjust Carlo, nato a Cagliari il 21/01/1970

avverso l’ordinanza del 16/11/2013 del Tribunale di Cagliari;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Ercole Aprile;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Gianluigi Pratola, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
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uditio per l’indagato l’avv. CarlovAmatyche ha concluso chiedendo l’annullamento
dell’ordinanza impugnata.

RITENUTO IN FATTO
E CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con l’ordinanza sopra indicata il Tribunale di Cagliari, adito ai sensi
dell’art. 309 cod. proc. pen., confermava il provvedimento del 04/11/2013 con il
quale il Giudice per le indagini preliminari dello stesso Tribunale aveva disposto
l’applicazione della misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di

Data Udienza: 04/03/2014

Carlo Sanjust in relazione al reato continuato di cui agli artt. 81 cpv., 110, 314
cod. pen. (capo C), per avere, in Cagliari, con condotte accertate il 10/10/2013,
quale consigliere della R.A.S. aderente al gruppo consiliare del Popolo della
Libertà, in concorso con Mario Diana, presidente di tale gruppo, indebitamente
percepito, appropriandosene, le somme di denaro erogate dal Consiglio regionale
della Sardegna in favore di quel gruppo consiliare, in particolare della somma di
23.340 euro (prelevati, tra il 14/10/2009 ed il 16/02/2010, dal Diana dal conto
corrente del gruppo con l’emissione di tre assegni) utilizzata per il pagamento in

occasione del ricevimento per il matrimonio del Sanjust; e della somma di
27.000 euro, asseritamente erogata, tra il 2011 ed il 2012, in favore
dell’associazione ‘Idealmente’ per l’organizzazione di incontri di formazione
politico-culturale, in realtà mai effettuati, importi utilizzati per il pagamento dei
canoni di locazione di un immobile.
Rilevava il Tribunale come le emergenze procedimentali acquisite avessero
dimostrato la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico dell’indagato, e
come vi fossero tanto il rischio di inquinamento delle prove, quanto il pericolo di
recidiva, a fronte dei quali, persistendo lo status di consigliere regionale del
prevenuto, l’unica misura idonea appariva quella della custodia in carcere.

2. Avverso tale ordinanza ha presentato ricorso il Sanjust, con atto sottoscritto
dal suo difensore avv. Carlo Amat, il quale, con due distinti motivi, ha dedotto la
violazione di legge, in relazione agli artt. 274 e 275 cod. proc. pen., ed il vizio di
motivazione, per mancanza e manifesta illogicità, per avere il Tribunale del
riesame, da un lato, disatteso ingiustificatamente l’eccezione difensiva di nullità
dell’originario provvedimento di applicazione della misura, nel quale era stato
acriticamente riprodotto il contenuto della richiesta cautelare del P.M.; da altro
lato, riproposto, con riferimento alla posizione del Sanjust, le medesime
argomentazioni già formulate in relazione alla posizione del coindagato Diana,
senza soggettivizzare quelle valutazioni, e, anzi, e facendo uso di formule
assertive e tautologiche per poter sostenere per il primo di tali soggetti
l’adeguatezza esclusiva della custodia in carcere a garantire i bisogni di cautela
(peraltro riconosciuti trascurando una serie di aspetti fattuali favorevoli
all’indagato),

laddove al secondo lo stesso Tribunale aveva

poi

contraddittoriamente reputato di poter sostituire l’iniziale misura con quella
meno rigorosa degli arresti domiciliari.

3. Il primo motivo del ricorso, avente carattere assorbente rispetto ai restanti,
è fondato.
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favore di una società che aveva curato il servizio di allestimento e catering in

Questo Collegio reputa di dover aderire all’orientamento della giurisprudenza di
legittimità per il quale il potere dovere del tribunale del riesame di integrazione
delle insufficienze motivazionali del provvedimento impugnato non opera, oltre
che nel caso di carenza grafica, anche quando l’apparato argomentativo, nel
recepire integralmente il contenuto di altro atto del procedimento, o nel rinviare
a questo, si sia limitato all’impiego di mere clausole di stile o all’uso di frasi
apodittiche, senza dare contezza alcuna delle ragioni per cui abbia fatto proprio il
contenuto dell’atto recepito o richiamato o comunque lo abbia considerato

24/05/2012, P.M. in proc. Piscopo e altro, Rv. 254161; conf. Sez. 2, n. 25513
del 14/06/2012. P.M. in proc. Mazza, Rv. 253247; Sez. 3, n. 33753 del
15/07/2010, Pmt in proc. Lteri Lulzim, Rv. 249148).
Ed infatti – come si è già avuto modo di evidenziare in altre pronunce di questa
Corte – l’art. 292, comma 2, n. 2 e 2 bis, e comma 2 ter, cod. proc. pen.,
prevede che l’ordinanza che dispone la misura cautelare debba contenere, a pena
di nullità rilevabile anche d’ufficio, “l’esposizione delle specifiche esigenze
cautelari e degli indizi che giustificano in concreto la misura disposta, con
l’indicazione degli elementi di fatto da cui sono desunti e dei motivi per i quali
assumono rilevanza”, con “la valutazione degli elementi a carico” dell’indagato,
e, “in caso di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere,
l’esposizione delle concrete e specifiche ragioni per le quali le esigenze di cui
all’art. 274 non possono essere soddisfatte con altre misure”. Tale norma, anche
dopo la riscrittura operata con dalla legge n. 332 del 1995, viene pacificamente
interpretata dalla giurisprudenza di questa Corte nel senso che il provvedimento
restrittivo della libertà personale e l’ordinanza che decide sul riesame sono tra
loro strettamente collegati e complementari, con la conseguenza che la
motivazione dell’ordinanza del tribunale della libertà ben possa integrare e
completare le eventuali carenze di quella del G.i.p., a condizione, però, che si
faccia solo questione della sufficienza, congruità ed esattezza delle indicazioni
presenti nel provvedimento cautelare concernenti gli indizi e le esigenze cautelari
(così, tra le tante, Sez. 5, n. 16587 del 24/03/2010, Di Lorenzo, Rv. 246875). Il
tribunale adito ai sensi dell’art. 309 cod. proc. pen. dunque, non essendo giudice
di

mera legittimità bensì anche del merito, pure in ragione dell’effetto

interamente devolutivo di tale specifica forma di gravame, non deve dichiarare la
nullità di un provvedimento applicativo della misura laddove lo stesso contenga
una motivazione insufficiente, incongrua o inesatta, dovendo operare una
integrazione dell’ordinanza stessa, che va annullata solo in casi di extrema ratio
(così Sez. 2, n. 39383 del 08/10/2008, D’Amore, Rv. 241868).

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coerente rispetto alle sue decisioni (così, da ultimo, Sez. 6, n. 25631 del

E, tuttavia, perché il tribunale del riesame possa e debba compiere quest’opera
di “supplenza”, integrando la motivazione del primo giudice, occorre che una
motivazione vi sia, vale a dire che sia riconoscibile un adeguato percorso
argomentativo che permetta di rilevare che quel giudice ha compiuto un effettivo
vaglio degli elementi di fatto allegati, spiegando quale valenza dimostrativa essi
posseggano e, perciò, quale sia la loro rilevanza ai fini dell’affermazione della
sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari con
riferimento alla posizione di ciascun indagato destinatario della misura. Ciò è

presenza di una motivazione del giudice si possa parlare, non solamente nelle
ipotesi in cui la motivazione sia mancante in senso grafico, ma anche quando il
giudice, operando un rinvio al contenuto di altro atto del procedimento ovvero
recependone integralmente il contenuto (tale equiparazione è stabilita
espressamente da Sez. 2, n. 39383 del 08/10/2008, D’Amore, cit.), si sia
limitato all’impiego di “mere clausole di stile” o all’uso di frasi apodittiche, senza
dare contezza alcuna delle ragioni per cui abbia fatto proprio il contenuto
dell’atto richiamato ovvero lo abbia considerato coerente rispetto alle sue
decisioni (così, ex pluribus, oltre a quelle innanzi citate, Sez. 4, n. 4181 del
14/11/2007, Benincasa, Rv. 238674; Sez. 3, Sentenza n. 41569 del 11/10/2007,
Verdesan, Rv. 237903; Sez. 4, n. 45847 del 08/07/2004, Chisari, Rv. 230415).
La situazione “patologica” appena descritta va riconosciuta anche laddove, a
fronte di articolate e complesse risultanze delle investigazioni condotte dalla
polizia giudiziaria, il G.i.p. – come nella fattispecie è accaduto – si sia limitato a
riprodurre integralmente nel corpo della propria ordinanza, verosimilmente
mediante il sistema del “copia ed incolla” informatico, il testo della richiesta
cautelare del P.M., senza dare dimostrazione di averne valutato criticamente il
contenuto e di averne recepito il tenore perché funzionale alle proprie
determinazioni.
Di tali principi di diritto il Tribunale di Cagliari non ha fatto corretta
applicazione, sostanzialmente ammettendo che nell’ordinanza genetica della
misura il G.i.p. aveva riprodotto il contenuto della richiesta del P.M., ma
aggiungendo che tanto era stato fatto con l’impiego di una formula introduttiva
con la quale quel Giudice aveva dimostrato di avere meditatamente fatto propri
gli argomenti offerti dal rappresentante della pubblica accusa. Invero, va
osservato come il G.i.p. che aveva disposto l’applicazione della misura cautelare
della custodia in carcere, dopo una generica affermazione circa la sussistenza
delle condizioni di legge per applicare la misura coercitiva massima (pag. 7
dell’ordinanza) e usando l’indeterminata asserzione “Ricorrono, sulla base delle
considerazioni sopra esposte, gravi indizi di colpevolezza in ordine ai gravi reati
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conforme al consolidato orientamento di questa Corte che ha negato che di

ipotizzati” (due righi, a pag. 48 dell’ordinanza), si sia limitato a “ricopiare”
pedissequamente ed acriticamente il contenuto dell’istanza del P.M. (nelle pagg.
7-49, dalle parole “Con nota in data 24 maggio 2013…” fino alle parole “…di
seguito richiamate.”, esattamente corrispondenti alle pagg. 5-43 della richiesta
della pubblica accusa), senza aggiungere la benchè minima considerazione o
valutazione personale che potesse valere a dimostrare che egli aveva compiuto
un’autonoma valutazione degli specifici elementi indiziari emersi nel corso delle
indagini, effettuando solo una malcelata opera di collage informatico. In tale

motivazione del provvedimento gravato nel quale, a proposito di un’iniziativa
assunta da uno dei coindagati tesa all’inquinamento delle prove documentali, si
legge che quella attività aveva “sottratto all’Ufficio atti essenziali per ricostruire i
fatti” (pag. 29 dell’ordinanza): frase dal G.i.p. maldestramente copiata dalla
richiesta del P.M. (v. pag. 26), al cui ‘Ufficio’ di Procura ed alle cui indagini
evidentemente quel periodo era direttamente riferibile.

4. Tanto impone l’annullamento senza rinvio sia dell’ordinanza impugnata
adottata dal Tribunale del riesame, che del provvedimento genetico della misura
applicata all’indagato, del quale va ordinata la rimessione in libertà, se non
detenuto per altra causa.
Alla cancelleria vanno demandati gli adempimenti esecutivi previsti dall’art.
626 cod. proc. pen.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio, ai sensi dell’art. 125, comma 3, cod. proc. pen., l’ordinanza
impugnata e quella del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di
Cagliari emessa il 04/11/2013 nei confronti di Sanjust Carlo, del quale ordina la
rimessione in libertà se non detenuto per altra causa.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 626 cod. proc. pen.
Così deciso il 04/03/2014

ottica, a conferma di quanto appena esposto, è eloquente il passo della

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