Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 12030 del 04/03/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 12030 Anno 2014
Presidente: IPPOLITO FRANCESCO
Relatore: APRILE ERCOLE

SENTENZA

sul ricorso presentato da
Formicola Mario, nato a Torre del Greco il 16/02/1962

avverso l’ordinanza del 20/06/2013 delle Corte di appello di Roma;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Ercole Aprile;
lette conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto
Procuratore generale Massimo Galli, il quale ha chiesto dichiararsi
l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO
E CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con l’ordinanza sopra indicata la Corte di appello di Roma dichiarava
inammissibile la richiesta di revisione avanzata da Mario Formicola contro la
sentenza del 01/12/2006 con la quale la Corte di appello di Napoli aveva
confermato la pronuncia di primo grado del 27/10/2005, con cui il Giudice
dell’udienza preliminare del Tribunale della stessa città aveva condannato il

Data Udienza: 04/03/2014

prevenuto alla pena di giustizia in relazione, tra l’altro, al reato di cui agli artt.
81, 10, 629, comma 2, con riferimento all’art. 628, comma 3, n. 1, cod. pen., e 7
legge n. 203 del 1991, per avere, in concorso con il fratello Pietro Formicola,
avvalendosi delle modalità di cui all’art. 416 bis cod. pen. – reato associativo per
la cui commissione il prevenuto era stato pure condannato con la medesima
sentenza – minacciato Domenico Colarusso, titolare di un esercizio commerciale
per la rivendita di materiale elettrico ed idraulico, per costringerlo a cedere a
persona non meglio identificata beni al prezzi di costo (capo F) dell’originaria

Rilevava la Corte di appello come, benchè il fratello Pietro fosse stato assolto
dal medesimo reato con sentenza irrevocabile emessa in un autonomo e
differente procedimento, non ricorressero le condizioni di applicabilità dell’art.
630, comma 1, lett. a), cod. proc. pen., in quanto tra le due decisioni passate in
giudicato non si era creata una inconciliabilità, tenuto conto che con la sentenza
assolutoria emessa nei riguardi del germano non era stato accertato un fatto
diverso da quello o da quelli posti a fondamento della sentenza di condanna
adottata nei confronti di Mario Formicola, ma era stata data una diversa
interpretazione al contenuto dello stesso elementi di prova, costituito dal
contenuto delle conversazioni telefoniche intercettate dagli inquirenti durante le
indagini.

2. Contro tale ordinanza ha presentato ricorso Mario Formicola, con atto
sottoscritto dal proprio difensore e procuratore speciale avv. Antonio Morra, il
quale, con un unico motivo, ha dedotto il vizio di motivazione per avere la Corte
distrettuale ingiustificatamente omesso di considerare che la sentenza
assolutoria emessa nei riguardi del fratello Pietro aveva accertato un fatto del
tutto inconciliabile con quelli posti a fondamento della sua condanna, essendo
stato verificato che la richiesta formulata telefonicamente dal germano
all’indirizzo del commerciante Colarusso non aveva avuto alcun contenuto
estorsivo, essendosi il primo limitato a chiedere al secondo uno sconto per un
acquisto di merce effettuato da un suo amico.

3. Con requisitoria del 01/10/2013 il Procuratore generale della Repubblica in
sede ha domandato dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
4. Ritiene la Corte che il ricorso sia inammissibile per la manifesta infondatezza
del relativo motivo.
E’ pacifico, nell’interpretazione datane dalla giurisprudenza di legittimità, che
l’ipotesi della revisione dovuta al c.d. ‘conflitto teorico di giudicati’, prevista dal

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c(e

imputazione).

già menzionato art. 630, comma 1, lett. a), cod. proc. pen., è configurabile
esclusivamente laddove vi sia una oggettiva incompatibilità tra i fatti storici
accertati sui quali hanno trovato fondamento le due sentenze poste a raffronto:
di talché, per la sussistenza della causa di revisione, laddove si tratti – come
nella fattispecie è accaduto – di un medesimo fatto di reato attribuito a più
concorrenti, è necessario che la vicenda sia stata ricostruita, nella due pronunce,
come verificatasi con modalità del tutto differenti; mentre, ai fini che qui
interessano, di contrasto di giudicati non si può parlare se i fatti posti a base

oggettivo, in maniera identica, e di essi sia stata data una differente valutazione
giuridica, vale a dire del loro significato sia stata una distinta interpretazione
giuridica dai due diversi giudici (così,

ex multis,

Sez. 5, n. 3914/12 del

17/11/2011, Serafini e altri, Rv. 251718).
Di tale regola di diritto la Corte di appello di Rma ha fatto corretta
applicazione, chiarendo, con motivazione completa e priva di vizi di manifesta
illogicità, come nella sentenza assolutoria del fratello dell’odierno ricorrente i fatti
oggetto di analisi fossero rimasti immutati, ma degli stessi i giudici che,
procedendo nelle forme ordinarie, erano pervenuti alla soluzione del
proscioglimento avevano dato un significato, dunque una valenza dimostrativa,
diverso da quello che era stato privilegiato dal giudice che, all’esito
dell’abbreviato (dunque, in un giudizio nel quale gli elementi di prova erano
inevitabilmente differenti), aveva condannato Mario Formicoli per il reato di
estorsione aggravata: non essendo stato messo in discussione il contenuto delle
conversazioni telefoniche captate dagli inquirenti durante le indagini, bensì
essendo stata attribuita una differente capacità probatoria a quelle frasi
pronunciate da Pietro Formicoli il quale, dopo essersi sentito con Mario, dunque
d’intesa con questo, aveva telefonato al Colarusso chiedendogli di praticare ad
un loro amico il “prezzo di costo”; richiesta che, il giudice del processo a carico
dell’odierno ricorrente, aveva considerato implicitamente minatoria per il fatto di
provenire da due soggetti gravitanti nel contesto della locale criminalità
organizzata camorristica e per le dichiarazioni, chiaramente spaventate, che la
persona offesa aveva reso, riferendo di avere accettato quella sollecitazione in
quanto riteneva che fosse “una forma di rispetto” far pagare il solo prezzo di
costo a tutti coloro che si presentavano nel suo negozio “a nome” dei fratelli
Formicola.

5. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell’art.
616 cod. proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento in favore
dell’erario delle spese del presente procedimento ed al pagamento in favore della

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delle due decisioni sono stati descritti, dal punto di vista del loro verificarsi

cassa delle ammende di una somma, che si stima equo fissare nell’importo
indicato nel dispositivo che segue.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle
ammende.

Così deciso il 04/03/2014

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