Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 12010 del 16/01/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 12010 Anno 2014
Presidente: MILO NICOLA
Relatore: CITTERIO CARLO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
TROVATO CONCETTO N. IL 23/05/1975
avverso l’ordinanza n. 1316/2012 TRIB. LIBERTA’ di CATANZARO,
del 11/06/2013

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sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. CARLO CITTERIO;
e
le /sentite le conclusioni del PG Dott.

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Deduce: la mancanza anche grafica di motivazione sul perdurare dei presupposti cautelari in relazione al tempo trascorso dalla commissione del reato (ottobre 2010) e all'unica condotta in concreto ascrittagli (l'invio di un bonifico); l'omessa trattazione dell'eccezione di incompetenza per territorio in favore dell'autorità giudiziaria romana (tenuto conto del luogo di partenza del bonifico che costituirebbe la prova a suo carico) se non di giurisdizione (in relazione alla destinazione dello stesso), che assume essere stata svolta oralmente nel corso dell'udienza; la mancanza di motivazione sulla gravità indiziaria per l'autoreferenzialità dell'aver ritenuto sufficiente il bonifico bancario da lui curato nell'interesse del datore di lavoro, e coindagato, Mazzei (unico nei cui confronti l'ordinanza avrebbe motivato), in assenza di intercettazioni o altri elementi a lui pertinenti e senza aver valutato sul punto le spiegazioni da lui rese nell'interrogatorio ex art. 415 bis c.p.p., non posto a disposizione del Tribunale; RAGIONI DELLA DECISIONE 2. Va preliminarmente esaminata l'odierna eccezione di inammissibilità dell'originario appello della parte pubblica, proposta in udienza dalla parte pubblica, per l'assenza di motivi relativi alla sussistenza delle esigenze cautelari: si tratta infatti di eccezione pregiudiziale. Secondo la parte pubblica, l'inammissibilità dell'originario atto d'appello deriverebbe dal fatto che, respinta dal GIP la richiesta di misura cautelare per ragioni afferenti la gravità indiziaria (implicitamente giudicate assorbenti di ogni ulteriore questione, anche relativa alla sussistenza di esigenze cautelari), l'atto di appello avrebbe argomentato solo sul punto della gravità indiziaria, nulla deducendo specificamente sul - diverso - punto delle esigenze cautelari, in ordine All nn. 1-6, 60 dPR 309/90, episodio di importazione di stupefacente - anfetamine - 37123/13 RG 2 alle quali sarebbe pertanto intervenuta una deliberazione d'ufficio sorretta da motivazioni in fatto che, in quanto concretizzatesi per la prima volta nell'ordinanza del Tribunale in funzione di giudice dell'appello ex art. 310 c.p.p., avrebbero sottratto alla difesa la possibilità di un'utile confronto sul merito degli apprezzamenti corrispondenti. 2.1 L'assunto non può essere condiviso. La costante giurisprudenza di questa Corte di legittimità sul tema afferma che dell'emissione di misura cautelare per l'insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza devolve al giudice d'appello la verifica in ordine alla sussistenza di tutte le condizioni richieste per l'adozione della misura cautelare: misura che, infatti, viene in concreto emessa da quel giudice (per tutte, Sez.6, sent. 10032/2010), ancorché con efficacia sospesa fino all'eventuale definitività della statuizione (310.3). In particolare, già le Sezioni Unite, sent. 18339/2004, hanno così chiarito i termini della questione: « L'atto di impugnativa del P.M. devolve infatti al tribunale investito dell'appello una cognizione non limitata ai singoli punti oggetto di specifica censura, bensì estesa all'integrale verifica delle condizioni e dei presupposti richiesti dalla legge perché sia giustificata l'adozione di una misura restrittiva della libertà personale, secondo il modello di ordinanza cautelare previsto, a pena di nullità, dall'art. 292 c.p.p. (...). Le singole censure racchiuse nei motivi di gravame del pubblico ministero segnano dunque le ragioni del disaccordo rispetto al provvedimento reiettivo e delimitano i confini dell'originaria domanda cautelare con specifico riguardo alle posizioni degli imputati e alle imputazioni, cioè ai fatti ed alle circostanze oggetto della contestazione, che non possono essere modificati in peius se non a seguito dell'esercizio da parte del P.M. di una nuova e distinta azione cautelare ex art. 291 c.p.p.. Limite, questo, desumibile dalla complessa disciplina dell'azione cautelare nel processo penale e dall'apparato di garanzie riservate all'imputato, la cui portata è stata riconosciuta dalle Sezioni Unite con sentenza 5 luglio 2000, P.M. in proc. Mon forte, dove si è affermato che non è configurabile l'automatico allineamento della contestazione cautelare agli sviluppi peggiorativi derivanti da aggravamenti dell'imputazione intervenuti nel giudizio di merito, occorrendo in tal caso un nuovo e aggiornato provvedimento restrittivo cui seguano l'interrogatorio e il riesame della misura. Ma, come si è visto, i poteri di cognizione e di decisione del giudice dell'appello de libertate, pur nel rispetto del perimetro disegnato dall'originaria domanda cautelare, si estendono, senza subire alcuna preclusione, all'intero thema decidendum, che è costituito dalla verifica dell'esistenza di tutti i presupposti richiesti per l'adozione di un'ordinanza l'impugnazione del pubblico ministero avverso il provvedimento del GIP di diniego 37123/13 RG 3 applicativa della misura cautelare, poiché il tribunale della libertà funge, in tal caso, non solo come organo di revisione critica del provvedimento reiettivo alla stregua dei motivi di gravame del P.M., ma anche come giudice al quale è affidato il poteredovere di riesaminare ex novo la vicenda cautelare nella sua interezza, onde verificare la puntuale sussistenza delle condizioni e dei presupposti di cui agli artt. 273, 274, 275, 278, 280, 287 c.p.p. e, all'esito di siffatto scrutinio, di adottare infine, eventualmente, il provvedimento genetico della misura che, secondo lo attualità degli indizi e delle esigenze caute/ari, nonché a quelli di adeguatezza e proporzionalità della misura. Devesi inoltre aggiungere che, al pari delle decisioni di riforma extra o ultra petita consentite nell'appello cognitivo in deroga all'effetto devolutivo e ispirate al favor rei (basti pensare all'obbligo della immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità ai sensi degli artt. 152.1 c.p.p. abrogato e 129.1 vigente c.p.p.), anche il giudice dell'appello ex art. 310, che sia nello stesso tempo investito di una domanda cautelare del pubblico ministero, è, da un lato, vincolato al rispetto delle disposizioni di cui ai commi 1 e 3 dell'art. 299, le quali, nella logica del favor libertatis, esigono il costante e necessario adeguamento dello status libertatis dell'imputato alle risultanze del procedimento, mentre, dall'altro, non è in alcun modo legato allo specifico petitum dell'impugnativa di parte ed è comunque abilitato, oltre i confini del devolutum, ad intervenire anche d'ufficio pro libertate (C. cost., sent. n. 89 del 1998)». 2.2 Il profilo peculiare evidenziato oggi dal procuratore generale, quello della sostanziale soppressione della possibilità per la parte privata di contestare il merito dell'apprezzamento di sussistenza delle esigenze cautelari nel caso in cui per la prima volta le pertinenti valutazioni siano svolte nell'ordinanza del giudice d'appello, non è idoneo a imporre conclusioni diverse. E' in proposito assorbente, su altre possibili considerazioni, la constatazione che nel nostro caso né la parte privata né il procuratore generale hanno specificamente dedotto che l'originaria richiesta del pubblico ministero non contenesse richieste e argomentazioni a sostegno della sussistenza delle necessarie esigenze cautelari: mutuando infatti i principi della consolidata giurisprudenza di legittimità in materia di prima condanna nel giudizio di appello (per tutte: SU, sent. 45276/2003; Sez.6, sent. 22120/2009), deve osservarsi che la presenza di una originaria motivata richiesta della parte pubblica permette alla difesa, davanti al tribunale in funzione di giudice d'appello ex art. 310, di interloquire su ogni punto la cui trattazione non sia stata espressamente oggetto di argomentazione nella prima deliberazione, e quindi anche sul punto delle 1 schema di motivazione previsto dall'art. 292, risponda ai criteri di concretezza e 37123/13 RG 4 esigenze cautelari, con memorie efficaci ad imporre l'obbligo di confronto argomentativo, la cui violazione rileva ex art. 606.1 lett. E c.p.p.. 3. Nel 'merito' del ricorso, risulta assorbente la constatazione che con sentenza deliberata in data 20.12.2013 il GIP di Catanzaro ha dichiarato, ai sensi degli artt. 21, 27 e 424 c.p.p., "l'incompetenza territoriale in ordine ai reati ascritti in rubrica" anche a questo ricorrente, "mandando al Pubblico Ministero in sede competente, anche ai fini degli adempimenti di cui all'art. 27 c.p.p." [dalla documentazione prodotta dalle difese non risulta l'eventuale avvenuto deposito del provvedimento (deposito dal quale decorre, secondo il consolidato orientamento di questa Corte suprema, il termine disciplinato dal medesimo art. 27 : per tutte, Sez. 4, sent. 23714/2013)]. 3.1 Il tema generale da affrontare (che si impone, come si vedrà, anche sull'eccezione di competenza proposta in ricorso) è quello dell'incidenza dell'evoluzione del procedimento penale principale sulla sorte del procedimento incidentale cautelare. Appartiene alla fisiologia delle procedure che i tempi del procedimento principale possano comportare una successione di fasi e gradi, per sé idonei a determinare modifiche sopravvenute dei presupposti in fatto che rilevano per la legittimità del provvedimento cautelare: tale incidenza non è effetto di mera ricostruzione sistematica (che muove dalla relazione strumentale tra la pendenza cautelare e il procedimento/processo principale), ma in definitiva trova significativa fonte normativa innanzitutto negli artt. 299 e 300 c.p.p.. Tali norme, ancorché disciplino specifiche fattispecie, tuttavia possono essere considerate riscontro positivo e coerente di un principio generale, che trova nella giurisprudenza di questa Corte suprema significative ulteriori concretizzazioni. A titolo di esempio possono richiamarsi: - Sez. 1 sent. 2350/2009, Sez.6 sent. 41104/2008 e Sez.5, sent. 22235/2008, sull'immediata rilevanza della sentenza di condanna, ancorché non definitiva, ad escludere, salve peculiari eccezioni, la permanente necessità, ma anche pure la possibilità, di ulteriore indagine sulla sufficienza indiziaria; - Sez. 6, sent. 20/2014, sull'immediata rilevanza di sopravvenuta sentenza di assoluzione ad imporre l'annullamento senza rinvio di deliberazione non ancora esecutiva di applicazione di misura cautelare; - Sez.6 sent. 39268/2013, sull'impossibilità di consentire alla decisione dell'Appello cautelare, che ha accolto la richiesta del pubblico ministero di perché curi la trasmissione degli atti al Pubblico Ministero presso il Giudice 37123/13 RG 5 aggravamento di misura cautelare pendente, di acquisire efficacia quando nelle more della definizione del procedimento incidentale (quindi pendendo il giudizio di cassazione avente ad oggetto il provvedimento del Tribunale deliberato ex art. 310 c.p.p.), la decisione di merito sia divenuta esecutiva (sul punto è essenziale il richiamo anche all'insegnamento di SU sent. 18353/2011). Nelle tre fattispecie, la 'dinamica autosufficiente' del procedimento incidentale cautelare (che prevede tre possibili momenti - i provvedimenti del giudice richiesto decisione, della corte di legittimità il cui intervento è richiesto dalla parte pregiudicata dalla deliberazione del tribunale - tutti caratterizzati da una tendenziale attenzione alla originaria sussistenza dei presupposti previsti dagli artt. 273 ss. c.p.p.) si apre all'incidenza immediata e diretta dell'evolversi del parallelo procedimento principale. Evoluzione che, ecco il punto essenziale, costituisce fatto nuovo del rito, che non permette più di orientare l'apprezzamento complessivo del procedimento incidentale, di merito e di legittimità, su adeguatezza e correttezza originarie della deliberazione sulla richiesta di misura cautelare. In buona sostanza ed in altri termini, proprio in ragione della relazione strumentale della procedura incidentale cautelare rispetto al procedimento/processo principale, quando nel secondo si verificano 'novità' idonee ad influire sulla legittimità del protrarsi o dell'adozione di una misura cautelare, la prima deve tenere conto di tali novità, modificando in coerenza i termini originari del giudizio incidentale. 3.2 A giudizio della Sezione, la sentenza che deliberi l'incompetenza per territorio ed intervenga prima che l'iter di applicazione di una misura cautelare si sia concluso costituisce un'ulteriore fattispecie di 'novità' del processo principale con immediata incidenza sul procedimento incidentale cautelare che, in particolare, impedisce strutturalmente che possa essere data efficacia al provvedimento cautelare che ancora non l'abbia acquisita: come è il caso disciplinato appunto dall'art. 310 u.c. c.p.p., che caratterizza questo ricorso. In presenza di una positiva dichiarazione di incompetenza per territorio, infatti, opera il meccanismo dell'efficacia provvisoria disciplinato dall'art. 27 c.p.p. (comune ai due casi possibili, della dichiarazione contestuale o successiva all'applicazione della misura cautelare). Esso impedisce che al provvedimento del Tribunale (ancorché in ipotesi del tutto immune dalle censure uniche rilevanti ai sensi dell'art. 606.1 c.p.p.: ecco l'effetto proprio caratterizzante l'incidenza della 'novità' verificatasi nel procedimento principale sul procedimento incidentale cautelare) possa essere data oggi efficacia (ai sensi dell'art. 28 reg. esec. c.p.p.): e della misura, del tribunale collegiale adìto dalla parte pregiudicata dalla prima 37123/13 RG 6 ciò assorbe ogni altra questione (oltretutto, trattandosi di provvedimento la cui esecuzione è stata sospesa, neppure potendosi ipotizzare interesse alcuno del ricorrente ai sensi dell'art. 314 s. c.p.p.). Ed invero, non potrebbe oggi esser data esecuzione a provvedimento che in ragione della già avvenuta dichiarazione di incompetenza risulterebbe o deliberato da autorità non più competente (ove fossero decorsi i venti giorni dal deposito della motivazione della sentenza) ovvero in assenza di motivazione sull'urgenza (requisito, diverso dal mero concreto pericolo mancanza imporrebbe comunque un annullamento con rinvio dell'ordinanza impugnata, destinato a non aver seguito perché certamente il giudizio di rinvio si dovrebbe svolgere in momento nel quale l'autorità giudiziaria ora unica competente (nel nostro caso il procuratore della Repubblica o il GIP di Roma) avrebbe già adottato le proprie determinazioni. 3.3 Deve pertanto essere affermato il principio di diritto che la sentenza di incompetenza per territorio deliberata nel procedimento principale impedisce l'esecutività della precedente, sospesa, decisione con cui Tribunale ai sensi dell'art. 310 c.p.p. abbia deciso l'applicazione di misura cautelare. Conseguente è l'annullamento senza rinvio dell'ordinanza impugnata. P.Q.M. Annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata. Così deciso in Roma, il 16.1.2014 di reiterazione ex art. 274 lett. C c.p.p., indispensabile ex art. 291.2 c.p.p.), la cui

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