Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 12009 del 16/01/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 12009 Anno 2014
Presidente: MILO NICOLA
Relatore: CITTERIO CARLO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PECORARI DANIELE N. IL 15/09/1973
avverso l’ordinanza n. 1306/2012 TRIB. LIBERTA’ di CATANZARO,
del 11/06/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. CARLO CITTERIO;
19e/sentite le conclusioni del PG Dott. i

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t1A, V.A.M.A.A. •

Udit i dife o Avv.;

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m/te-U.0

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Data Udienza: 16/01/2014

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CONSIDERATO IN FATTO
1. Daniele Pecorari ricorre con atto personale avverso l’ordinanza con cui il
Tribunale di Catanzaro in data 11.6.13, in accoglimento dell’appello del pubblico
ministero, ha applicato nei suoi confronti la misura cautelare carceraria in relazione
al capo provvisorio 13 (artt. 110 c.p., 73 dpr 309/90, relativo al sequestro di 1035

– violazione di legge in relazione alle modalità di esecuzione della notificazione
del deposito dell’ordinanza che impugna, avvenuta ex art. 159 anziché ex art. 161
c.p.p.,
– vizi alternativi della motivazione sul punto della sussistenza di gravi indizi di
reità; il ricorrente: ricorda che proprio sul punto l’originaria ordinanza cautelare
provvisoria di convalida del fermo era stata annullata dal Tribunale del riesame di
altro distretto, il cui apprezzamento era stato confermato dal Gip di Catanzaro, nel
provvedimento riformato dal Tribunale dello stesso Ufficio giudiziario; evidenzia la
diversità dell’apprezzamento del significato probatorio delle conversazioni tra le
differenti autorità giudiziarie, la rilevanza data a condotte di terzi, la mancata
risposta a censure difensive relative alla specifica posizione del Pecorari rispetto ai
rapporti intercorsi tra i coindagati, alla irrilevanza probatoria della mera presenza in
auto (in assenza di specifiche condotte attive a lui attribuibili o attribuite dalla
polizia giudiziaria) e del resto valorizzata nella sua autonoma insufficienza per la
esclusione di gravità indiziaria riguardo a coindagata pure presente (con intrinseca
contraddittorietà dell’argomentare complessivo), sì da doversi in definitiva
escludere sia l’avvenuta cessione di stupefacente tra Logiacco, Umbertino e Lika in
quel contesto sia – e comunque – la consapevolezza di tale passaggio al primo dai
secondi da parte del pur presente Pecorari;
– vizi alternativi della motivazione sul punto della ritenuta sussistenza
permanenza e attualità delle esigenze cautelari: la motivazione sarebbe di stile e
non avrebbe tenuto conto del fatto che qui si procede per un unico episodio
risalente all’ottobre 2010, dell’incensuratezza ed assenza di pendenze, della
concreta assenza di elementi di fatto confermativi del solo apoditticamente ritenuto
buon inserimento nel tessuto delinquenziale; in definitiva il Tribunale avrebbe
ignorato il contenuto della memoria depositata all’udienza. Anche in ordine alla
‘recisione di ogni legame’, il Tribunale avrebbe ignorato i dati noti della mancata

gr. di cocaina a carico di tale Logiacco), enunciando tre motivi:

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prosecuzione dei rapporti con l’unico interlocutore tra i coindagati (Umbertino) e del
trasferimento di residenza.
1.1 II ricorrente ha prodotto copia del dispositivo di sentenza con cui
all’udienza del 20 dicembre 2013 il GIP di Catanzaro ha dichiarato l’incompetenza
per territorio in ordine anche ai reati a lui ascritti, in favore dell’Autorità giudiziaria
di Roma.

2. Il primo motivo, che pone espressamente solo una questione in rito in
ipotesi pregiudiziale, è inammissibile per l’assorbente preliminare mancanza di
interesse. La notificazione dell’ordinanza del Tribunale è finalizzata a consentire
l’utile sua impugnazione, che nella fattispecie è avvenuta con ricorso personale. Né
sul punto il ricorrente argomenta alcunché su quale concreto pregiudizio diverso
avrebbe subito.

3. Altrettanto infondata è l’eccezione di inammissibilità dell’originario appello
del pubblico ministero.
Secondo la parte pubblica, l’inammissibilità dell’originario atto d’appello
deriverebbe dal fatto che, respinta dal GIP la richiesta di misura cautelare per
ragioni afferenti la gravità indiziaria (implicitamente giudicate assorbenti di ogni
ulteriore questione, anche relativa alla sussistenza di esigenze cautelari), l’atto di
appello avrebbe argomentato solo sul punto della gravità indiziaria, nulla
deducendo specificamente sul – diverso – punto delle esigenze cautelari, in ordine
alle quali sarebbe pertanto intervenuta una deliberazione d’ufficio sorretta da
motivazioni in fatto che, in quanto concretizzatesi per la prima volta nell’ordinanza
del Tribunale in funzione di giudice dell’appello ex art. 310 c.p.p., avrebbero
sottratto alla difesa la possibilità di un’utile confronto sul merito degli
apprezzamenti corrispondenti.
3.1 L’assunto non può essere condiviso.
La costante giurisprudenza di questa Corte di legittimità sul tema afferma che
l’impugnazione del pubblico ministero avverso il provvedimento del GIP di diniego
dell’emissione di misura cautelare per l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza
devolve al giudice d’appello la verifica in ordine alla sussistenza di tutte le
condizioni richieste per l’adozione della misura cautelare: misura che, infatti, viene
in concreto emessa da quel giudice (per tutte, Sez.6, sent. 10032/2010), ancorché
con efficacia sospesa fino all’eventuale definitività della statuizione (310.3).

RAGIONI DELLA DECISIONE

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In particolare, già le Sezioni Unite, sent. 18339/2004, hanno così chiarito i
termini della questione: << L'atto di impugnativa del P.M. devolve infatti al tribunale investito dell'appello una cognizione non limitata ai singoli punti oggetto di specifica censura, bensì estesa all'integrale verifica delle condizioni e dei presupposti richiesti dalla legge perché sia giustificata l'adozione di una misura restrittiva della libertà personale, secondo il modello di ordinanza cautelare previsto, a pena di nullità, dall'art. 292 c.p.p. (...). Le singole censure racchiuse nei rispetto al provvedimento reiettívo e delimitano i confini dell'originaria domanda cautelare con specifico riguardo alle posizioni degli imputati e alle imputazioni, cioè ai fatti ed alle circostanze oggetto della contestazione, che non possono essere modificati in peius se non a seguito dell'esercizio da parte del P.M. di una nuova e distinta azione cautelare ex art. 291 c.p.p.. Limite, questo, desumibile dalla complessa disciplina dell'azione cautelare nel processo penale e dall'apparato di garanzie riservate all'imputato, la cui portata è stata riconosciuta dalle Sezioni Unite con sentenza 5 luglio 2000, P.M. in proc. Mon forte, dove si è affermato che non è configurabile l'automatico allineamento della contestazione cautelare agli sviluppi peggiorativi derivanti da aggravamenti dell'imputazione intervenuti nel giudizio di merito, occorrendo in tal caso un nuovo e aggiornato provvedimento restrittivo cui seguano l'interrogatorio e il riesame della misura. Ma, come si è visto, i poteri di cognizione e di decisione del giudice dell'appello de libertate, pur nel rispetto del perimetro disegnato dall'originaria domanda cautelare, si estendono, senza subire alcuna preclusione, all'intero thema decidendum, che è costituito dalla verifica dell'esistenza di tutti i presupposti richiesti per l'adozione di un'ordinanza applicativa della misura cautelare, poiché il tribunale della libertà funge, in tal caso, non solo come organo di revisione critica del provvedimento reiettivo alla stregua dei motivi di gravame del P.M., ma anche come giudice al quale è affidato il poteredovere di riesaminare ex novo la vicenda cautelare nella sua interezza, onde verificare la puntuale sussistenza delle condizioni e dei presupposti di cui agli artt. 273, 274, 275, 278, 280, 287 c.p.p. e, all'esito di siffatto scrutinio, di adottare infine, eventualmente, il provvedimento genetico della misura che, secondo lo schema di motivazione previsto dall'art. 292, risponda ai criteri di concretezza e attualità degli indizi e delle esigenze caute/ari, nonché a quelli di adeguatezza e proporzionalità della misura. Devesi inoltre aggiungere che, al pari delle decisioni di riforma extra o ultra petita consentite nell'appello cognitivo in deroga all'effetto devolutivo e ispirate al favor rei (basti pensare all'obbligo della immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità ai sensi degli artt. 152.1 c.p.p. motivi di gravame del pubblico ministero segnano dunque le ragioni del disaccordo 37011/13 RG 4 abrogato e 129.1 vigente c.p.p.), anche il giudice dell'appello ex art. 310, che sia nello stesso tempo investito di una domanda cautelare del pubblico ministero, è, da un lato, vincolato al rispetto delle disposizioni di cui ai commi 1 e 3 dell'art. 299, le quali, nella logica del favor libertatis, esigono il costante e necessario adeguamento dello status libertatis dell'imputato alle risultanze del procedimento, mentre, dall'altro, non è in alcun modo legato allo specifico petitum dell'impugnativa di parte ed è comunque abilitato, oltre i confini del devolutum, ad intervenire anche Il profilo peculiare evidenziato oggi dal procuratore generale, quello della sostanziale soppressione della possibilità per la parte privata di contestare il merito dell'apprezzamento di sussistenza delle esigenze cautelari nel caso in cui per la prima volta le pertinenti valutazioni siano svolte nell'ordinanza del giudice d'appello, non è idoneo a imporre conclusioni diverse. E' in proposito assorbente, su altre possibili considerazioni, la constatazione che nel nostro caso né la parte privata né il procuratore generale hanno specificamente dedotto che l'originaria richiesta del pubblico ministero non contenesse richieste e argomentazioni a sostegno della sussistenza delle necessarie esigenze cautelari: mutuando infatti i principi della consolidata giurisprudenza di legittimità in materia di prima condanna nel giudizio di appello (per tutte: SU, sent. 45276/2003; Sez.6, sent. 22120/2009), deve osservarsi che la presenza di una originaria motivata richiesta della parte pubblica permette alla difesa, davanti al tribunale in funzione di giudice d'appello ex art. 310, di interloquire su ogni punto la cui trattazione non sia stata espressamente oggetto di argomentazione nella prima deliberazione, e quindi anche sul punto delle esigenze cautelari, con memorie efficaci ad imporre l'obbligo di confronto argomentativo, la cui violazione rileva ex art. 606.1 lett. E c.p.p.. 4. Risulta invece assorbente la constatazione che con sentenza deliberata in data 20.12.2013 il GIP di Catanzaro ha dichiarato, ai sensi degli artt. 21, 27 e 424 c.p.p., "l'incompetenza territoriale in ordine ai reati ascritti in rubrica" anche a questo ricorrente, "mandando al Pubblico Ministero in sede perché curi la trasmissione degli atti al Pubblico Ministero presso il Giudice competente, anche ai fini degli adempimenti di cui all'art. 27 c.p.p." [dalla documentazione prodotta dalle difese non risulta l'eventuale avvenuto deposito del provvedimento (deposito dal quale decorre, secondo il consolidato orientamento di questa Corte suprema, il termine disciplinato dal medesimo art. 27 : per tutte, Sez. 4, sent. 23714/2013)]. 3.1 Il tema generale che si pone è quello dell'incidenza dell'evoluzione del procedimento penale principale sulla sorte del procedimento incidentale cautelare. d'ufficio pro libertate (C. cost., sent. n. 89 del 1998)>>.

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Appartiene alla fisiologia delle procedure che i tempi del procedimento
principale possano comportare una successione di fasi e gradi, per sé idonei a
determinare modifiche sopravvenute dei presupposti in fatto che rilevano per la
legittimità del provvedimento cautelare: tale incidenza non è effetto di mera
ricostruzione sistematica (che muove dalla relazione strumentale tra la pendenza
cautelare e il procedimento/processo principale), ma in definitiva trova significativa
fonte normativa innanzitutto negli artt. 299 e 300 c.p.p.. Tali norme, ancorché

positivo e coerente di un principio generale, che trova nella giurisprudenza di
questa Corte suprema significative ulteriori concretizzazioni.
A titolo di esempio possono richiamarsi:
– Sez. 1 sent. 2350/2009, Sez.6 sent. 41104/2008 e

Sez.5, sent.

22235/2008, sull’immediata rilevanza della sentenza di condanna, ancorché non
definitiva, ad escludere, salve peculiari eccezioni, la permanente necessità, ma
anche pure la possibilità, di ulteriore indagine sulla sufficienza indiziaria;
– Sez. 6, sent. 20/2014, sull’immediata rilevanza di sopravvenuta sentenza di
assoluzione ad imporre l’annullamento senza rinvio di deliberazione non ancora
esecutiva di applicazione di misura cautelare;
– Sez.6 sent. 39268/2013,

sull’impossibilità di consentire alla decisione

dell’Appello cautelare, che ha accolto la richiesta del pubblico ministero di
aggravamento di misura cautelare pendente, di acquisire efficacia quando nelle
more della definizione del procedimento incidentale (quindi pendendo il giudizio di
cassazione avente ad oggetto il provvedimento del Tribunale deliberato ex art. 310
c.p.p.), la decisione di merito sia divenuta esecutiva (sul punto è essenziale il
richiamo anche all’insegnamento di SU sent. 18353/2011).
Nelle tre fattispecie, la ‘dinamica autosufficiente’ del procedimento incidentale
cautelare (che prevede tre possibili momenti – i provvedimenti del giudice richiesto
della misura, del tribunale collegiale adito dalla parte pregiudicata dalla prima
decisione, della corte di legittimità il cui intervento è richiesto dalla parte
pregiudicata dalla deliberazione del tribunale – tutti caratterizzati da una
tendenziale attenzione alla originaria sussistenza dei presupposti previsti dagli artt.
273 ss. c.p.p.) si apre all’incidenza immediata e diretta dell’evolversi del parallelo
procedimento principale. Evoluzione che, ecco il punto essenziale, costituisce fatto
nuovo del rito, che non permette più di orientare l’apprezzamento complessivo del
procedimento incidentale, di merito e di legittimità, su adeguatezza e correttezza
originarie della deliberazione sulla richiesta di misura cautelare.

disciplino specifiche fattispecie, tuttavia possono essere considerate riscontro

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In buona sostanza ed in altri termini, proprio in ragione della relazione
strumentale della procedura incidentale cautelare rispetto al procedimento/processo
principale, quando nel secondo si verificano ‘novità’ idonee ad influire sulla
legittimità del protrarsi o dell’adozione di una misura cautelare, la prima deve
tenere conto di tali novità, modificando in coerenza i termini originari del giudizio
incidentale.
4.2 A giudizio della Sezione, la sentenza che deliberi l’incompetenza per

sia concluso costituisce un’ulteriore fattispecie di ‘novità’ del processo principale con
immediata incidenza sul procedimento incidentale cautelare che, in particolare,
impedisce strutturalmente che possa essere data efficacia al provvedimento
cautelare che ancora non l’abbia acquisita: come è il caso disciplinato appunto
dall’art. 310 u.c. c.p.p., che caratterizza questo ricorso.
In presenza di una positiva dichiarazione di incompetenza per territorio,
infatti, opera il meccanismo dell’efficacia provvisoria disciplinato dall’art. 27 c.p.p.
(comune ai due casi possibili, della dichiarazione contestuale o successiva
all’applicazione della misura cautelare). Esso impedisce che al provvedimento del
Tribunale (ancorché in ipotesi del tutto immune dalle censure uniche rilevanti ai
sensi dell’art. 606.1 c.p.p.: ecco l’effetto proprio caratterizzante l’incidenza della
‘novità’ verificatasi nel procedimento principale sul procedimento incidentale
cautelare) possa essere data oggi efficacia (ai sensi dell’art. 28 reg. esec. c.p.p.): e
ciò assorbe ogni altra questione (oltretutto, trattandosi di provvedimento la cui
esecuzione è stata sospesa, neppure potendosi ipotizzare interesse alcuno del
ricorrente ai sensi dell’art. 314 s. c.p.p.). Ed invero, non potrebbe oggi esser data
esecuzione a provvedimento che in ragione della già avvenuta dichiarazione di
incompetenza risulterebbe o deliberato da autorità non più competente (ove fossero
decorsi i venti giorni dal deposito della motivazione della sentenza) ovvero in
assenza di motivazione sull’urgenza (requisito, diverso dal mero concreto pericolo
di reiterazione ex art. 274 lett. C c.p.p., indispensabile ex art. 291.2 c.p.p.), la cui
mancanza imporrebbe comunque un annullamento con rinvio dell’ordinanza
impugnata, destinato a non aver seguito perché certamente il giudizio di rinvio si
dovrebbe svolgere in momento nel quale l’autorità giudiziaria ora unica competente
(nel nostro caso il procuratore della Repubblica o il GIP di Roma) avrebbe già
adottato le proprie determinazioni.
4.3 Deve pertanto essere affermato il principio di diritto che la sentenza di
incompetenza per territorio deliberata nel procedimento principale impedisce

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territorio ed intervenga prima che l’iter di applicazione di una misura cautelare si

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l’esecutività della precedente, sospesa, decisione con cui Tribunale ai sensi dell’art.
310 c.p.p. abbia deciso l’applicazione di misura cautelare.
Conseguente è l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza impugnata.

P.Q.M.
Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata.

Così deciso in Roma, il 16.1.2014

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