Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 12006 del 11/03/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 12006 Anno 2014
Presidente: GARRIBBA TITO
Relatore: CITTERIO CARLO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MAIONE TERESA N. IL 11/11/1948
avverso la sentenza n. 3914/2005 CORTE APPELLO di BOLOGNA,
del 14/03/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 11/03/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. CARLO CITTERIO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Ib i ‹.(1.
che ha concluso per

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Data Udienza: 11/03/2014

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CONSIDERATO IN FATTO
1. A Stefano Rizzo e Teresa Maione erano contestati i reati di concorso in
concussione (capo A) e falso ideologico (capo B), consumati il 27 marzo 2002.
Funzionari dell’Agenzia delle Entrate di Forlì, nel corso di una verifica fiscale
eseguita a carico di un ristorante avevano ‘costretto e comunque indotto’ la titolare

primo e 10 la seconda.
La loro condanna, anche ai fini civili (parti civili essendo l’Agenzia delle
Entrate e la titolare del ristorante) era deliberata dal Tribunale di Forlì in data
16.3.2005.
Con sentenza del 14.3-10.5.2013 la Corte d’appello di Bologna confermava la
penale responsabilità di entrambi e per i due reati, riqualificando l’imputazione sub
A ai sensi dell’art.

319-quater c.p.. Rideterminava conseguentemente le pene

principali ed accessorie, in particolare alla MAIONE applicando la pena di due anni e
sei mesi di reclusione, con pena base per il reato sub A, come riqualificato, di tre
anni e sei mesi, ridotta di un terzo per le già riconosciute attenuanti generiche a
due anni quattro mesi, con aumento di due mesi per il reato di falso, spiegando
l’inapplicabilità della disciplina della prescrizione successiva alla legge 251/2005, in
relazione al tempo di deliberazione della prima sentenza.

2. Ha proposto ricorso la sola Maione, a mezzo del difensore enunciando
quattro motivi:
– violazione degli artt. 2.2 e.3, 157 e 319-quater c.p., perché le connotazioni
di novità della nuova fattispecie incriminatrice

(319-quater c.p.) impedirebbero

l’applicazione della disciplina della prescrizione precedente e della disciplina
transitoria ex art. 10 legge 251, nel concetto di norma più favorevole rientrando
anche l’attualità della disciplina di prescrizione;
– mancata assunzione di prova decisiva; mancanza di motivazione sul punto
della responsabilità della ricorrente; erronea sussunzione della condotta ritenuta nel
paradigma normativo di cui all’art. 319 quater c.p. anziché nel modello legale della
corruzione susseguente. Lamenta sul punto la ricorrente l’omessa acquisizione dei
tabulati telefonici, dai quali si sarebbe dovuta evincere la conferma della relazione
intercorsa tra l’allora 54 enne imputata ed l’allora 22 enne figlio della persona
offesa, relazione che, nella prospettazione difensiva, avrebbe costituito la ragione

ad acquistare per loro capi di abbigliamento, per un ammontare di lire 5 milioni il

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unica delle regalìe: il giudice d’appello avrebbe negato all’imputata la prova
determinante, aderendo apoditticamente alle dichiarazioni accusatorie di soggetti
che ora, per la nuova configurazione normativa, dovevano considerarsi interessati
ex lege ad una determinata ricostruzione; né conseguentemente la Corte d’appello
avrebbe approfondito la rilevanza del margine negoziale ai fini della rivisitazione del
complessivo rapporto come corruttivo e non concussivo, sia pure per induzione.
– violazione degli artt. 2043, 2035 c.c. in relazione all’art. 319 quater e 185

dell’induzione;
– violazione dell’art. 479 c.p. in relazione agli artt. 49 c.p. e 52 dPR 633/72
perché l’indicazione degli orari di permanenza continuativa nell’esercizio oggetto di
verifica fiscale (a fronte degli effettivi allontanamenti per gli acquisti illeciti) sarebbe
elemento ininfluente nella finalità della redazione del verbale di constatazione
giornaliero e di chiusura.

RAGIONI DELLA DECISIONE
3. Il ricorso va dichiarato inammissibile. Conseguente è la condanna della
ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1000 in
favore della Cassa per le ammende, equa al caso, nonché alla rifusione delle spese
di difesa sostenute per il grado dalle parti civili, che vanno liquidate per ciascuna
nella congrua somma di euro 3000 (la parte civile Socci non avendo documentato le
spese di cui chiede il rimborso), oltre accessori di legge in quanto dovuti. La
censura odierna dell’imputata in relazione all’avvenuta liquidazione del danno
erariale è stata da un lato formulata in termini generici e dall’altra non ha rilievo
assorbente in ordine alla liquidazione di tutti i danni da reato.
Il primo motivo (di non immediata comprensione, atteso che quale che sia la
qualifica giuridica odierna il fatto si colloca nel 2002 sicché al reato non può non
applicarsi la disciplina transitoria nei termini disciplinati dall’art. 10 della legge
251/2005) è comunque manifestamente infondato per l’assorbente considerazione
che questa Corte suprema ha ripetutamente ormai insegnato che le condotte di
costrizione ed induzione (costituenti l’elemento oggettivo degli attuali reati ex art.
319 quater e 317 c.p.) non sono strutturalmente diverse da quelle che integravano
la previgente unica fattispecie di concussione (Sez.6, sent. 28431/2013), che non vi
è stata alcuna de criminalizzazione delle condotte in passato sussumibili nell’art.
317 c.p. (Sez.6, sent. 29338/2013), che la successione normativa fra il previgente
testo dell’art. 317 c.p., quello introdotto dall’art. 1.75 della legge 190/2012 e quello
del nuovo art. 319 quater c.p. si colloca all’interno del peculiare fenomeno della

c.p., in relazione all’attuale previsione dell’incriminabilità del privato destinatario

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successione delle leggi penali, disciplinato dal quarto comma dell’art. 2.4 c.p..
Corretta risulta pertanto la soluzione adottata dalla Corte felsinea sul punto.
Il secondo motivo è inammissibile perché al tempo stesso manifestamente
infondato e diverso da quelli consentiti, risolvendosi in censura di merito
all’apprezzamento della Corte d’appello, che ha negato la decisività della prova
richiesta, spiegandone le ragioni (p. 10, 11, 13 e 14): in particolare i Giudici del
secondo grado hanno fatto riferimento alla deposizione di un dipendente, alle

degli esercizi commerciali dove i due originari imputati si erano fatti acquistare
beni), alla presenza della Maione durante gli acquisti in favore del collega di lavoro,
certamente estraneo a ogni relazione sentimentale con il figlio della persona offesa.
Si tratta, all’evidenza, di argomenti palesemente non incongrui all’assunto
conclusivo della Corte d’appello sul punto, tutti ignorati dal ricorrente.
Il terzo motivo è manifestamente infondato, per le ragioni già argomentate da
Sez.6, sent. 31957/2013.
Il quarto motivo è manifestamente infondato. A p. 25 la Corte d’appello ha
spiegato che l’indicazione dell’orario di esecuzione dell’accertamento ha una
rilevanza anche per esigenze ulteriori rispetto a quelle del contribuente. Sul punto
la ricostruzione sistematica propugnata dalla difesa risulta sostanzialmente
assertiva.

P. Q. M .
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1000 in favore della Cassa per le
ammende. La condanna altresì alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili
che liquida nella somma di euro 3000 (tremila) per ciascuna oltre iva e cpa.
Così deciso in Roma, il 11.3.2014

modalità con le quali inizia l’indagine (le confidenze della figlia della titolare di uno

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