Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 11997 del 23/01/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 11997 Anno 2014
Presidente:
Relatore: DI STEFANO PIERLUIGI

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PALAZZOLO VITO ROBERTO n. 31/7/1947
avverso la sentenza n. 923/2010 del 21/6/2012 della CORTE DI APPELLO
DI CALTANISSETTA
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso
udita la relazione fatta dal Consigliere Dott. PIERLUIGI DI STEFANO
udito il Procuratore Generale in persona del Dott. ANGELO DI POPOLO che ha
concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
Uditi i difensori avv. BALDASSARRE LAURIA e PIETRO NOCITA che hanno
concluso chiedendo raccoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN FATTO
1. La Corte di Appello di Caltanissetta con sentenza del 21 giugno 2012
dichiarava inammissibile la richiesta di revisione della sentenza della Corte di
Appello di Palermo dell’ 11 luglio 2007, divenuta definitiva il 13 marzo 2009, che
condannava Palazzolo Vito Roberto per il delitto di associazione per delinquere di
stampo mafioso.
2. La richiesta era fondata su due ordini di motivi:
2.1.

innanzitutto Palazzolo deduceva una situazione di contrasto di

giudicati per un segmento temporale della condotta effettivamente giudicata con
la sentenza impugnata.
2.2.

Poi, rispetto alla porzione di condotta ulteriore rispetto a quella da

ritenersi già coperta da precedente giudicato, il ricorrente indicava dei nuovi mezzi
di prova, asseritamente tali da escludere la colpevolezza del ricorrente.

1

Data Udienza: 23/01/2014

3. Per quanto riguarda il preteso contrasto di giudicati, la sentenza impugnata
dava atto che Palazzolo era stato condannato con sentenza del 26.9.1985 della
Corte d’Assise criminale del Cantone Ticino (Confederazione Svizzera) per fatti
integranti, secondo la normativa italiana corrispondente, i reati di cui agli artt. 416
bis c.p., 416 c.p. e 75 L. 685/1975. Proprio per questi stessi fatti l’Italia aveva
chiesto l’estradizione di Palazzolo, ma la consegna era stata rifiutata in quanto
procedeva anche la AG Svizzera essendo alcuni cittadini di quel paese coinvolti
quali correi.

medesimi reati associativi, venivano ritenute assorbite dalla decisione di condanna
Svizzera in applicazione del principio del ne bis in idem sostanziale. Si tratta di:
– La sentenza del Tribunale di Roma del 28 marzo 1992 di applicazione pena
su richiesta per il reato di cui all’articolo 75 I. 685. 1975 e di proscioglimento ai
sensi dell’art. 129 cod. proc. pen. per il reato di associazione mafiosa
– La sentenza del Tribunale di Palermo del 12 ottobre 2000.
5. Dopo queste decisioni, Palazzolo era sottoposto ad un ulteriore processo
nel quale intervenivano le sentenze di primo e secondo grado cui è riferita la
richiesta di revisione:
– Il Tribunale di Palermo il 5 luglio 2006 condannava il Palazzolo per concorso
esterno in associazione mafiosa;
– la Corte di Appello di Palermo l’11 luglio 2007 confermava tale condanna
ritenendo, però, il fatto integrare la partecipazione ad associazione mafiosa.
6. La specifica contestazione in questa occasione era
“di avere partecipato ad un’associazione di tipo mafioso, in concorso con RiMa
Salvatore, Bonomo Giovanni, Gelardi Giuseppe, e per avere inoltre favorito la
latitanza, anche in territorio straniero, di associati mafiosi quali il Bonomo Giovanni
ed il Ge/ardi Giuseppe, in Palermo dal 28.3.1992 a tutt’oggi”.
7. Secondo il ricorrente, nonostante la data formalmente indicata quale
iniziale per la nuova contestazione del reato associativo, in questo processo veniva
comunque obiettivamente valutata la medesima condotta per la quale il Palazzolo
era già stato in parte condannato dalla AG Svizzera ed in parte prosciolto dal
Tribunale di Roma il 28 marzo 1992 (data, quest’ultima, da cui partiva la
contestazione nel processo di Palermo). Gli elementi a carico di Palazzolo erano
difatti in larga parte i medesimi già utilizzati nei precedenti processi, riferibili alle
sue attività prima del 1992, indipendentemente dalla data formale di
contestazione.
7.1.

In conseguenza, per tale porzione temporale della contestazione,

invocava la esistenza di un diverso giudicato e la violazione del principio del ne bis
in idem.
2

4. Due successive sentenze italiane di condanna, che avevano giudicato i

8. Sul presupposto della fondatezza di questo contrasto parziale di giudicati,
Palazzolo rilevava che l’ambito dei fatti oggetto di accertamento doveva essere
limitato alla sola condotta successiva alla suindicata data che, da sola, avrebbe
dovuto provare la (prosecuzione depl’affiliazione alla banda mafiosa, non
potendosi più fare riferimento alle condotte precedenti.
9. Tale condotta successiva era limitata alla presunta assistenza che Palazzolo
avrebbe fornito ai mafiosi latitanti Bonomo e Gelardi, attività che sarebbe
consistita nell’ospitarli nella sua azienda agricola in Sudafrica e nell’ agevolarli

10.

Con riferimento a tale condotta, però, Palazzolo indicava nuove

prove, non già oggetto di valutazione: 1) le dichiarazioni rese ai sensi dell’art. 210
cod. proc. pen. al suo difensore da Gelardi Giuseppe, presunto soggetto favorito;
2) le dichiarazioni del testimone Andrew John Daniels; 3) la prova documentale
della regolare uscita dei presunti latitanti dalla Namibia con volo di linea.
11.

Tali prove dimostravano che non vi era stata alcuna condotta di

favoreggiamento della latitanza perché dimostravano che gli stessi soggetti favoriti
non sapevano del provvedimento di cattura e, quindi, non stavano affatto
fuggendo perché non erano latitanti.
12.

La Corte di Appello di Caltanissetta, però, giungeva alla diversa

conclusione della inammissibilità della richiesta di revisione, che dichiarava
comunque all’esito del contraddittorio e quindi con sentenza, ritenendo che:
– non era affatto vero che il ricorrente fosse stato condannato per la
medesima condotta per la quale era già intervenuta in parte l’assoluzione del
Tribunale di Roma ed in altra parte la condanna dei giudici svizzeri. La AG di
Palermo, invece, senza affatto procedere alla rivalutazione di quanto ormai coperto
dal giudicato, aveva considerato gli stessi elementi di fatto già accertati, quelli che
attestavano l’esistenza di stabili e radicati contatti del Palazzolo con ambienti
mafiosi palermitani, ritenendoli utili alla valutazione delle condotte successive al
28 marzo 1992.
La conclusione sulla prima parte della richiesta di revisione era, quindi, che
non vi era stato alcun accertamento di fatti che fosse in contraddizione con le
precedenti sentenze.
– Per quanto riguarda la seconda parte della richiesta, la Corte di
Caltanissetta riteneva che Palazzolo non avesse affatto prospettato prove idonee
a smentire la condotta in favore dei latitanti Bonomo e Celardi.
Dalla lettura della sentenza di condanna dei giudici di Palermo si comprendeva
agevolmente che le prove fondamentali utilizzate per dimostrare che fosse stata
data ospitalità ai due latitanti erano le dichiarazioni rese dal fattore in servizio
presso l’azienda agricola del ricorrente, dichiarazioni riscontrate dagli esiti della
3

nella successiva fuga anche da questo paese.

perquisizione che dimostravano l’abbandono precipitoso del posto da parte di
coloro che risultavano individuati per Bonomo e Gelarsi in concomitanza con la
eseguibilità dell’ordinanza di custodia in Sudafrica.
E, rispetto a tale quadro probatorio, la Corte riteneva, con valutazione
analitica, che le nuove allegazioni non potevano conseguire alcun effetto
determinante.
13.

La Corte, quindi, sulla scorta di un giudizio complessivo di

inadeguatezza delle nuove prove che, già su di un piano astratto, non erano utili

inammissibile.
I difensori di Palazzolo hanno presentato due distinti ricorsi.
14.

Primo ricorso, avvocato Olivo.

15.

Con un primo motivo deduce il vizio di motivazione in relazione agli

artt. 649 cod. proc. pen. e 416 bis c.p.
15.1.

Rileva che non era possibile operare come avevano fatto i giudici del

processo di cui si chiede revisione, ovvero con il “prendere le mosse” dai fatti già
giudicati con sentenza del Tribunale di Roma, poi ritenuta assorbita dalla sentenza
svizzera, in quanto, essendo stata disposta l’assoluzione con la formula “perché il
fatto non sussiste”, i fatti giudicati erano stati ritenuti leciti. E, comunque, anche
a tenere conto che la sentenza in questione, in quanto resa ai sensi dell’articolo
444 cod. proc. pen,. non effettuasse alcun accertamento in merito, la conclusione
doveva essere che non potesse costituire un antecedente logico o fattuale.
15.2. In conseguenza è erronea l’affermazione della sentenza impugnata
secondo cui la sentenza di proscioglimento del Tribunale di Roma “attestava la
presenza di stabili e radicati contatti con i vertici dell’associazione mafiosa
palermitana per analizzare la rilevanza penale delle condotte temporalmente
successive alla citata contestazione”.
15.3.

L’errore logico risulta, secondo la difesa, anche quando si riferisce

di una “persistente” condotta associativa del Palazzolo rispetto ad una condotta
per la quale è intervenuta assoluzione.
16.

Con secondo motivo contesta il vizio di motivazione quanto alla

pretesa inidoneità delle nuove prove ad inficiare la valenza probatoria delle prove
utilizzate ai fini della condanna di cui si chiede revisione.
16.1.

Rileva come la Corte di Caltanissetta abbia valorizzato, della

sentenza di condanna, le dichiarazioni di un collaboratore di giustizia che, però,
non facevano affatto riferimento al periodo in contestazione. L’unico fatto
significativo utilizzato ai fini di ritenere la responsabilità di Palazzolo nel periodo
espressamente oggetto di contestazione era la presunta ospitalità offerta ai due
mafiosi di Partinico destinatari di un provvedimento di custodia. Ed al riguardo,
4

per consentire una diversa decisione, dichiarava la istanza di revisione

osserva il ricorrente, l’aver prospettato con le prove indicate una diversa data di
ingresso e di uscita dei latitanti dal Sudafrica non era affatto irrilevante per ritenere
che il Palazzolo avesse o meno inteso favorire la latitanza di Bonomo e Gelardi.
17.

Secondo ricorso avvocato Lauria.

18.

Con unico motivo deduce la violazione di legge ed il vizio di

motivazione in relazione all’articolo 4 protocollo 7 C.E.D.U. nonché in relazione agli
artt. 634 e 636 cod. proc. pen.
18.1.

Rileva la violazione del principio del ne bis in idem in quanto non

mafiosa in questione laddove la sentenza del Tribunale di Roma del 1992 aveva
escluso una tale partecipazione. Per poter affermare la responsabilità del Palazzolo
i giudici hanno dovuto affermare che la condotta associativa risaliva già agli anni
80, così andando in palese contrasto con il giudicato. Tale decisione è, però, in
aperto contrasto con la giurisprudenza della Corte E.D.U. secondo la quale la
garanzia contro un nuovo giudizio per la stessa condotta offensiva impedisce in
termini assoluti un processo per un reato che ha ad oggetto i medesimi fatti già
giudicati, poco rilevando la qualificazione giuridica nazionale delle condotte.
18.2. Peraltro per tali stessi fatti vi era stata anche una pronunzia
espressa di incompetenza della AG di Palermo che indicava quale competente il
Tribunale di Roma. Quindi si è proceduto nuovamente sugli stessi fatti oggetto del
giudizio da parte del Tribunale di Roma che giudicava sulla medesima associazione
criminale.
18.3.

Ricorre, perciò, palesemente la condizione di identità del fatto e, di

conseguenza, ricorrono le condizioni di ammissibilità della richiesta di revisione.
18.4. Con riferimento alle prove nuove indicate per dimostrare la
insussistenza di condotte successive al 1992, nota come la Corte abbia
erroneamente proceduto ad una anticipazione dell’apprezzamento in merito delle
prove; inoltre, erroneamente la Corte aveva negato il carattere di novità delle
prove solo perché affrontavano un tema probatorio già oggetto di accertamento
nel primo processo.
18.5.

In conseguenza di tali errori la Corte di Caltanissetta ha proceduto

ad una comparazione tra le prove già raccolte nel processo e le prove prospettate
dal ricorrente per effettuare una sorta di “prova di resistenza” della tesi
accusatoria; una tale attività doveva essere, se del caso, svolta nella fase di merito
della revisione e non portare alla declaratoria di inammissibilità. Peraltro era stata
male effettuata avendo i giudici di merito effettuato una valutazione solo
frammentaria del nuovo materiale probatorio per giudicarlo inidoneo.
18.6.

Il ricorrente svolge, comunque, anche argomenti di merito per

dimostrare che le prove nuove non entrano in contraddizione con le preesistenti
5

poteva provarsi la “persistente” partecipazione del ricorrente alla associazione

ma chiariscono dati che erano restati sempre incerti, compresa la circostanza che
l’allontanamento dalla Namibia di Bonomo e Gelardi non era stata una fuga nella
consapevolezza del provvedimento di cattura, come era dimostrato dal fatto che
avevano scelto un volo con uno scalo europeo.
19.

In conclusione, le prove offerte avevano la necessaria attitudine a

dimostrare la insussistenza della responsabilità del ricorrente per il reato per cui
era stato condannato e questo non consentiva la decisione nel senso della
inammissibilità.
I difensori hanno depositato un’ulteriore memoria difensiva e delle

“note di udienza”.
20.1.

Con la memoria si ribadisce che l’errore logico della sentenza di cui

si chiede la revisione è l’aver ritenuto di dover verificare la persistente
partecipazione del Palazzolo all’associazione mafiosa laddove tale partecipazione
era stata esclusa dalla sentenza del Tribunale di Roma 28 marzo 92.
20.1.1. Inoltre, osserva il difensore, poco rileva che la questione sia già
stata valutata in sede di cognizione perché, violando il principio del ne bis in idem
imposto dalla C.E.D.U., il giudicato formatosi in violazione di tale principio è illegale
ed ineseguibile.
RITENUTO IN DIRITTO
21.

Il ricorso è inammissibile.

22.

Il ricorrente, per poter ottenere il risultato definitivo della totale

revisione della sentenza di condanna, come si è visto, chiede innanzitutto che una
prima parte della contestazione di reato permanente – associazione mafiosa – sia
rivista in ragione di un presunto conflitto di giudicati. Non si tratta semplicemente
di eliminare un segmento del complessivo arco temporale della contestazione,
operazione già indiscutibilmente fatta in fase di merito perché l’inizio della
condotta in esame contestata era fissato al 28.3.1992, bensì il ricorrente chiede
che gli elementi probatori che non furono ritenuti sufficienti per condannare il
ricorrente per un primo periodo di attività associativa (o che furono utilizzati per
la condanna parziale in Svizzera) non possano essere comunque più valutati,
neanche al fine della interpretazione delle condotte successive.
23.

Solo una volta ridotto il periodo valutabile (o, meglio, ridotto il

materiale probatorio utilizzabile), si dovrebbe passare a valutare se le nuove prove
prospettate abbiano la teorica capacità di smentire l’originale tesi accolta con la
sentenza di condanna, così consentendo di giungere alla trattazione nel merito
della revisione.
24.

La prima richiesta del ricorrente va, quindi, inquadrata nella ipotesi

di contrasto di giudicati di cui all’articolo 630 lett. A) cod. proc. pen.

6

20.

25.

Ai fini di quanto appresso, va rammentato che l’ipotesi di cui

all’articolo 630 lett. A) cod. proc. pen. non riguarda la possibile diversa valutazione
degli stessi fatti in due diverse sentenze, ipotesi questa che è disciplinata dall’art.
649 cod. proc. pen. con il “divieto di un secondo giudizio”,

bensì, come

testualmente affermato dalla norma, l’ipotesi che “i fatti stabiliti a fondamento” di
una data sentenza siano inconciliabili con i fatti “stabiliti in un’altra sentenza”.
26.

Ciò che la norma mira ad evitare, quindi, è che due sentenze

possano affermare realtà di fatto difformi – o, meglio, inconciliabili, espressione

in cui vi sia un diverso e più significativo materiale probatorio che renda conciliabile
la diversa ricostruzione dei medesimi fatti.
27.

In un caso quale quello in esame, di commissione di un reato

associativo, in cui due sentenze giudicano i due diversi segmenti della condotta
con risultati difformi in punto di responsabilità, com’è avvenuto nel caso di specie,
vi è ovviamente un primo limite che è rappresentato dalla regola del divieto di
secondo giudizio di cui all’articolo 649 cod. proc. pen. : la seconda sentenza non
potrà decidere sul segmento di condotta giudicato definitivamente dalla prima.
Tale regola è stata rispettata: la condotta oggetto di valutazione nella sentenza di
cui si chiede la revisione parte proprio dalla data di cessazione (28/3/1992) della
ipotetica permanenza della presunta partecipazione alla associazione mafiosa per
la quale il ricorrente fu assolto dal Tribunale di Roma.
28.

Un secondo limite, e questo certamente rientra nel concetto di “fatti

inconciliabili” di cui alla norma in materia di revisione, è che la seconda sentenza
non può considerare esistenti fatti esclusi dall’altra sentenza o viceversa – o,
meglio, non li può valutare in modo inconciliabile, cioè affermare il contrario della
prima sentenza sulla base del medesimo materiale probatorio.
29.

Tali limiti risultano pienamente rispettati dalla sentenza di condanna

in questione. Nella stessa si affronta il tema delle diverse sentenze intervenute e
risulta ben chiarito che la prima decisione che assolveva il ricorrente dal reato
associativo non escludeva affatto la sussistenza di quelle circostanze di fatto che
avrebbero dovuto dimostrare “sintomaticamente” la adesione di Palazzolo alla
associazione (in assenza di prove dirette della condotta di formale adesione alla
banda criminale); molto più semplicemente, le prime decisioni rilevavano che, pur
se erano state accertate determinate circostanze di fatto, le stesse da sole non
erano in grado di provare la partecipazione alla associazione mafiosa.
30.

Invece, nel secondo processo, qui in valutazione, si partiva dal dato,

assolutamente “conciliabile”, che quei fatti erano stati accertati e che gli stessi,
uniti alle nuove condotte che emergevano dal materiale probatorio del nuovo

7

quest’ultima che meglio risolve il tema (che in questa sede, però, non interessa),

t

processo, dimostravano, per il periodo successivo al giudicato di assoluzione, la
partecipazione alla banda criminale.
31.

Del resto si nota dallo stesso contenuto dei ricorsi che non si afferma

affatto che le prime decisioni abbiano escluso la sussistenza di determinati fatti,
bensì che, avendo le stesse disposto l’assoluzione, un effetto del giudicato sia
stato, praticamente, quello di rendere non più “riciclabili” le circostanze di fatto
comunque acquisite.
32.

Una tale tesi, però, è del tutto infondata, non essendovi alcuna

già utilizzato altrove.
33.

Una prima conclusione è che la mancata allegazione di qualsiasi

situazione di effettiva inconciliabilità dei fatti giudicati, avendo i ricorsi sostenuto
solo una sorta di vincolo astratto che confonde tra regola di ne bis in idem
dell’articolo 649 cod. proc. pen. e la revisione ex art. 630 cod. proc. pen.. già
comportava la inammissibilità della richiesta di revisione.
34.

Anche un ulteriore profilo rendeva la questione del presunto

contrasto di giudicati (ovvero della violazione del ne bis in idem) non valutabile:
nel corso del giudizio di merito e di legittimità il Palazzolo aveva già reiteratamente
sostenuto che non potessero (ri)utilizzarsi le circostanze di fatto oggetto di
precedente giudizio o comunque che le stesse non potessero avere altro significato
che l’esclusione della sua affiliazione.
35.

Ciò risulta con immediatezza dalla decisione di questa Corte di

legittimità, all’esito della quale vi era il passaggio in giudicato della sentenza della
Corte di Appello dell’Il luglio, che dava atto che i giudici di merito avevano
valutato il profilo dell’eventuale preclusione di giudicato e così rispondeva al
relativo motivo di ricorso:
“questa Corte, quindi, in conformità peraltro alla comune interpretazione del
concetto di giudicato, osservava che “il giudicato, infatti, cristallizza e rende
indiscutibile la “verità legale” con riferimento ad una determinata imputazione e
ad un determinato soggetto, ma non cancella e non incide su fatti storici, ne vieta
al giudice di conoscere, per fini diversi, i fatti storici per i quali l’esistenza di un
giudicato precluderebbe una nuova accertamento della “verità legale”. Hanno
osservato, infatti, le sezioni unite che: “è legittimo assumere, come elemento di
giudizio autonomo, circostanze di fatto raccolte nel corso di altri procedimenti
penali, pur quando questi si sono conclusi con sentenze irrevocabili di assoluzione,
perché la preclusione del giudizio impedisce soltanto l’esercizio dell’azione penale
per il fatto reato e di quella giudicato formato oggetto, ma nulla ha a che vedere
con la possibilità di una rinnovata valutazione delle risultanze probatorie acquisite
nei processi ormai conclusosi sì, una volta stabilito di quelle risultanze probatorie

regola che impedisca di porre a base di una nuova decisione il materiale probatorio

possono essere rilevanti per l’accertamento di reati diversi da quelli già giudicati e
gli ero inammissibilità di un secondo giudizio per lo stesso reato non vieta di
prendere in considerazione lo stesso fatto storico, ho particolari suoi aspetti, per
valutarli liberamente ai fini della prova concernente un reato diverso da quello già
delicato, in quanto ciò che diviene il retta a e la verità legale del fatto reato, non
quella reale del fatto storico…. Di conseguenza nessuna censura può essere mossa
al percorso argomentativo seguito dai giudici di merito, che hanno preso in
considerazione circostanze, riferite dai collaboratori di giustizia, relative a fatti

Palazzolo era in contatto con i vertici di “Cosa nostra” con i quali collaborava nella
gestione di affari illeciti. La verità del fatto storico-come insegnano le sezioni unitecertamente non è resa il re trattabile dal giudicato, con il quale il Palazzolo è stato
prosciolto dall’imputazione di partecipazione ad associazione di stampo mafioso.
Tali circostanze, in quanto fatti storici, emersi in epoca successiva la sentenza di
proscioglimento l’imputato, ben potevano essere conosciute dai giudici di merito,
ed utilizzate-come è accaduto nel caso di specie”.
36.

Questa decisione preclude, di per sé ed a prescindere dagli

argomenti sopra svolti, una nuova valutazione del medesimo profilo: il tema della
possibilità di valutare i fatti già considerati negli altri processi è stato esattamente
uno degli oggetti del giudizio sia in fase di merito che in fase di legittimità, per cui
non può essere rivalutato in questa sede; sede che, si rammenta, non è
certamente quella della impugnazione ordinaria con il compito di verificare la
corretta decisione dei giudici del processo di merito.
37.

Peraltro, è di palmare evidenza come la soluzione già adottata dalla

Corte d’appello in sede di merito e da questa Corte nella sentenza trascritta sia
esattamente conforme alle regole che disciplinano la materia ed alle premesse in
fatto.
38.

Quindi, anche a prescindere dalla manifesta infondatezza di

entrambi i profili per i quali era richiesta la revisione, come afferma la sentenza di
inammissibilità impugnata, vi era comunque la preclusione rappresentata dalla
valutazione già effettuata in fase di merito delle stesse questioni qui nuovamente
proposte dalla difesa in ordine.
39.

Per mera completezza, ed in relazione all’ampia valutazione che la

sentenza impugnata ha fatto di tutti gli argomenti difensivi, va rilevato come le
“nuove” prove siano state correttamente ritenute irrilevanti, trovando quindi piena
giustificazione anche sotto tale profilo la decisione di inammissibilità.
40.

Effettivamente le prove indicate, anche ad una valutazione astratta,

non hanno alcuna attitudine ad alterare la ricostruzione dei fatti dei giudici di
merito.
9

storici accaduti in epoca precedente il 28 marzo 92, dai quali emergeva che il

40.1.

La dichiarazione del soggetto “favorito”, che il difensore ha acquisito

ai sensi dell’art. 210 cod. proc. pen., pur potendo costituire prova, è però soggetta
alla regola di utilizzabilità dell’articolo 192 terzo comma cod. proc. pen.; quindi in
tanto poteva essere indicata quale prova utilizzabile in quanto già se ne indicavano
elementi di conferma di attendibilità, cosa che, invece, evidentemente manca (La
dichiarazione liberatoria di un coimputato, o comunque di un soggetto che va
esaminato ai sensi dell’art. 197 bis cod.proc.pen., deve essere valutata
“unitamente agli altri elementi che ne confermano l’attendibilità” (art. 192, comma

effetti della richiesta di revisione, bensì mero elemento probatorio integrativo di
quelli confermativi. (Sez. 1, n. 24743 del 04/04/2007 – dep. 22/06/2007, Procida,
Rv. 237337)). Ovvio che non è “conferma di attendibilità” alcuna delle altre
“prove” offerte perché queste, pur asseritamente convergendo nel sostenere la
tesi difensiva, non hanno alcuna valenza di riscontro specifico della attendibilità
del Gelardi.
40.2.

Quanto alle dichiarazioni di altro soggetto, Andrew John Daniels, si

rammenta che “Nel giudizio di revisione non può mai costituire nuova prova la
testimonianza la cui ammissione sia richiesta al fine di ottenere una diversa e
nuova valutazione delle prove già apprezzate con la sentenza di condanna. (Sez.
3, n. 19598 del 10/03/2011 – dep. 18/05/2011, G., Rv. 250524)”. Tale regola non
è stata rispettata in quanto l’istanza di revisione indicava espressamente tale
dichiarazione come “antagonista” di quella del fattore della tenuta del Palazzolo (
nel ricorso si afferma: “Si tratta all’ evidenza di una testimonianza inedita del tutto
incompatibile con quella resa dal fattore Hans che si ricorderà pur avendo riferito
sul soggiorno, nella fattoria del Palazzolo, di alcuni ospiti italiani in tempi diversi,
non ha mai indicato espressamente i Bonomo e Gelardi, non avendo mai gli
inquirenti mostrato allo stesso I ‘effigie dei due”). Correttamente, quindi, la Corte
di Appello ha ritenuto che la prova fosse inammissibile quale “prova nuova” atta a
giustificare il giudizio di revisione senza per ciò solo anticipare valutazioni di
inattendibilità che sarebbero state possibili solo una volta introdotta la fase di
merito.
40.3.

Quanto all’accertamento, fornito dal Ministero degli Interni della

Namibia, che Gelardi e Bonomo erano partiti con un volo per la Costa d’Avorio via
Londra, non è una prova diretta ma un fatto dal quale la difesa intende trarre la
conseguenza logica che i due associati mafiosi non sapevano di essere ricercati,
altrimenti avrebbero evitato il transito in un aeroporto europeo con il rischio che
le autorità locali verificassero la esistenza di ricerche a loro carico. L’argomento
asseritamente logico è, però, basato su un argomento erroneo in quanto né è
dimostrato che tali controlli di identità nelle tappe aeree intermedie fossero
10

terzo, cod.proc.pen.), e non costituisce, pertanto, da sola, “prova nuova” agli

effettuati nel 1992 né, soprattutto, è dimostrato che i due mafiosi non avessero
l’opposta e ben ragionevole convinzione che, di norma, le autorità (in tale caso
britanniche) addette al controllo dell’immigrazione non facessero affatto verifiche
sui passeggeri in transito che non varcassero formalmente la propria frontiera
restando nel terminal aeroportuale in attesa dell’ulteriore volo. Se del caso, quindi,
la documentazione offerta conferma la tesi di accusa piuttosto che quella della
difesa.
41.

La inconsistenza ed inutilizzabilità già sul piano delle prospettazione

questa né ne muterebbe la natura né potrebbe renderle idonee a dimostrare quello
che da sole non dimostrano.
42.

Quindi, anche la valutazione di inammissibilità della richiesta di

revisione sotto il profilo della manifesta assenza di “prove nuove” risulta
assolutamente giustificata.
43.

La manifesta infondatezza dei motivi sviluppati comporta, come

sopra anticipato, la declaratoria di inammissibilità.
44.

Valutate le ragioni della inammissibilità risulta equa la condanna alla

pena pecuniaria determinata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammend
Rom osì d ciso il 23 gennaio 2014
Il • i -iglier estensore
Pi r

i

Di Stefano

il Presidente
iovanni De Roberto

di tali “prove” le rende irrilevanti anche ad ipotizzarne una lettura complessiva;

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