Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 11971 del 21/02/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 11971 Anno 2014
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: RAMACCI LUCA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CASOLA VITO N. IL 04/03/1946
MANDARA MARIA ROSARIA N. IL 25/01/1948
avverso la sentenza n. 559/2012 CORTE APPELLO di SALERNO, del
12/02/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 21/02/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. LUCA RAMACCI
Udito il Procuratore Gperale in persona del Dott.
che ha concluso per k

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv. («

Data Udienza: 21/02/2014

RITENUTO IN FATTO

1.

La Corte di appello di Salerno, con sentenza del 12.2.2013 ha

parzialmente riformato la decisione con la quale, in data 11.7.2009, il Tribunale di
Salerno – Sezione Distaccata di Amalfi, aveva ritenuto Vito CASAVOLA e Maria
Rosaria MANDARA

responsabili del delitto di cui all’art. 349 cod. pen.

relativamente al completamento di un manufatto abusivo sottoposto a sequestro
e, conseguentemente, ha rideterminato la pena originariamente inflitta al
CASAVOLA previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, ritenute
equivalenti all’aggravante contestatagli e revocato l’ordine di demolizione e
riduzione in pristino imposti dal primo giudice.
Avverso tale pronuncia i predetti propongono congiuntamente ricorso per
cassazione.

2. Con un primo motivo di ricorso deducono la nullità della decisione di
primo grado, non rilevata dal giudice d’appello, per omessa comunicazione del
rinvio agli imputati ed al difensore.

3. Con un secondo motivo di ricorso deducono il vizio di motivazione,
osservando che la Corte territoriale non avrebbe rilevato come l’area oggetto di
intervento edilizio e quella ove erano stati apposti i sigilli non fossero coincidenti.

4. Con un terzo motivo di ricorso lamentano la violazione di legge, ritenendo
non dimostrata la compartecipazione di entrambi alla commissione del reato,
anche in considerazione del fatto che la MADARA sarebbe residente in luogo
diverso da quello interessato dall’intervento edilizio.

5. Con un quarto motivo di ricorso denunciano la violazione di legge ed il
vizio di motivazione, rilevando che i giudici del gravame non avrebbero fornito
risposta alla deduzione concernente l’accertamento della violazione e la data di
consumazione del reato, limitandosi al richiamo di una deposizione testimoniale.

6. Con un quinto motivo di ricorso rilevano la intervenuta prescrizione del
reato.

7. Con un sesto motivo di ricorso deducono la violazione dell’art. 129 cod.
proc. pen. ed il vizio di motivazione, osservando che la Corte territoriale avrebbe

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dovuto, quanto meno, mandarli assolti difettando la prova della loro
responsabilità o dichiarare prescritto il reato.

8. Con un settimo motivo di ricorso denunciano la violazione di legge,
rilevando che i giudici del merito non avrebbero indicato quale sia stato il
contributo causale di ciascun concorrente nella commissione del reato.

9. Con un ottavo motivo di ricorso lamentano che il Tribunale avrebbe

mentre per i reati contravvenzionali erano previsti l’arresto e l’ammenda e non
sarebbe consentita l’unificazione di pene di specie diverse.

10. Con un nono motivo di ricorso deducono che, in violazione dell’art. 163
cod. pen., non sarebbe stata loro concessa la sospensione condizionale della
pena.
Insistono, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

11. Il ricorso è inammissibile.
Occorre rilevare, in via preliminare, che le deduzioni formulate nell’atto di
impugnazione sono sostanzialmente ripetitive delle censure mosse con l’atto di
appello, che risultano compiutamente affrontate e risolte dai giudici del gravame.
I motivi di ricorso, peraltro, risultano manifestamente infondati per le ragioni
di seguito specificate.

12. Nel primo motivo di ricorso, formulato con estrema genericità, i ricorrenti
si riferiscono ad una non meglio specificata «mancata notifica dell’udienza che
ha portato alla loro condanna»,

senza neppure indicarne la data o fornire

qualsivoglia indicazione che consenta a questa Corte di verificare quanto
dedotto.
Viene invero fatto riferimento ad una udienza del 31 gennaio 2001 – che
pure la Corte territoriale menziona, osservando che alla stessa era presente il
difensore di fiducia, reso edotto del rinvio e dando atto che non era dato
comprendere a quale notifica gli appellanti facessero riferimento e quale fosse la
causa di nullità dedotta – e ad altri non meglio specificati rinvii senza null’altro
specificare, testualmente affermando: «La Corte di appello fa riferimento a una

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erroneamente condannato gli imputati alla pena della reclusione e della multa

udienza precedente del lontano 31 gennaio 2001 (pagina 8 della sentenza
d’Appello) quale l’avvocato sarebbe stato presente e reso edotto di un rinvio, ma
dei successivi rinvii, compresi quelli con impedimento, senza sua colpa, che non
si è saputo nulla. Tace del tutto sulla mancata notifica agli imputati che pure era
motivo di appello».
La Corte territoriale, contrariamente a quanto sembrano affermare i
ricorrenti, ha fornito risposta alla censura, evidentemente formulata con identica
genericità e nel ricorso non si chiarisce, ancora una volta, in maniera coerente,

13. Il secondo e quarto motivo di ricorso possono essere esaminati
congiuntamente, trattando entrambi della ricostruzione della vicenda operata dai
giudici del merito.
La Corte territoriale ha posto in evidenza che dall’istruzione dibattimentale è
emerso, grazie alla deposizione di un ufficiale di polizia giudiziaria escusso quale
teste, che il 12 luglio 2005 si era accertato il completamento di un manufatto
abusivo, oggetto di separato procedimento penale e già sottoposto a sequestro
nel marzo dello stesso anno, mediante l’esecuzione di opere interne.
Come è noto, la violazione di sigilli si colloca tra i delitti contro la pubblica
amministrazione, nell’interesse della quale garantisce la custodia di cose mobili o
immobili da eventuali atti di disposizione o manomissione da parte di soggetti
non autorizzati.
Il delitto si consuma per il solo fatto della rimozione, rottura, apertura,
distruzione dei sigilli, ovvero con la realizzazione di qualsiasi comportamento
idoneo a frustrare l’assicurazione della cosa mediante i sigilli medesimi pur
lasciandoli intatti (Sez. III n.13147, 12 aprile 2005. V. anche SS.UU. n.5385, 10
febbraio 2010).
Avuto dunque riguardo alle suindicate finalità perseguite dall’art. 349 cod.
pen., appare evidente che l’esigenza di assicurare la conservazione e l’identità di
una cosa va intesa come tutela della intangibilità del bene da ogni intervento di
disposizione o manomissione assicurata dai sigilli per ordine dell’autorità o
perché stabilito dalla legge, tanto è vero che il reato si configura anche in caso di
inefficacia o illegittimità di un provvedimento di sequestro o di apposizione dei
sigilli, in quanto il vincolo, una volta apposto, non può essere violato dal privato
sino a quando non sia formalmente rimosso dall’autorità competente (Sez. III
n.47443, 11 dicembre 2003; Sez. III n.8643, 25 luglio 1998; Sez. III n.3954, 29
aprile 1997; Sez. VI n.9797, 13 ottobre 1992; Sez. VI n.6929, 28 giugno 1991).
Alla luce di tali considerazioni appare evidente che l’esecuzione di interventi
di completamento sull’immobile precedentemente sequestrato costituiscono

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quale sia la specifica ragione della doglianza.

plateale violazione dell’art. 349 cod. pen. ed a nulla rileva la individuazione di
una eventuale coincidenza tra il punto di apposizione dei sigilli e la parte del
manufatto interessata dagli interventi di completamento (consistiti, nella
fattispecie, in opere interne) poiché la mera violazione del vincolo imposto
essendo rivolta ad eludere la volontà manifestata con l’apposizione dei sigilli, è di
per sé idonea al perfezionamento del reato.
Di tali circostanze hanno dato puntualmente conto i giudici del gravame, con
pertinenti richiami alla giurisprudenza di questa Corte, cosicché le deduzione

14. A conclusioni analoghe deve pervenirsi per ciò che concerne il terzo
motivo di ricorso.
La Corte territoriale ha, infatti, compiutamente indicato le ragioni per le quali
ha ritenuto di confermare l’affermazione di responsabilità di entrambi gli imputati
in ordine al reato loro ascritto, rilevando come la MANDARA fosse comproprietaria
dell’immobile oggetto di intervento edilizio, in quanto tale, direttamente
interessata alla prosecuzione dei lavori in violazione dei sigilli e, pertanto,
concorrente nel reato unitamente al CASAVOLA al quale soltanto, in quanto
custode, era contestata la relativa aggravante.
La motivazione sul punto è dunque assistita da coerenza e logica e risulta
giuridicamente corretta, diversamente da quanto sostenuto in ricorso, ancora
una volta in maniera del tutto generica, limitandosi a rilevare soltanto che
l’imputata sarebbe residente in luogo diverso da quello ove è ubicato l’immobile
abusivo, circostanza, questa, del tutto irrilevante in presenza dello specifico
interesse all’esecuzione dei lavori abusivi come sopra individuato.

15. Nel quinto motivo di ricorso i ricorrenti si limitano a sostenere, del tutto
apoditticamente e senza alcuna ulteriore deduzione, la prescrizione dei reati e la
conseguente violazione dell’art. 157 cod. pen.
Anche tale questione è stata compiutamente affrontata dai giudici del
gravame, i quali hanno rilevato, tenuto conto della data di commissione del reato
(12.7.2005) e del periodo di sospensione pari a complessivi 120 giorni (per rinvii
delle udienze del 12.1.2009 e del 13.7.2009 per impedimento dell’imputato
CASOLA), che il termine massimo di prescrizione, pari ad anni 7 e mesi 6, alla
data della pronuncia della decisione di secondo grado non era ancora spirato e
doveva collocarsi temporalmente nel maggio 2013.

16.

Per le ragioni in precedenza esposte, considerata la adeguata

dimostrazione della responsabilità di entrambi gli imputati da parte dei giudici

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formulate nei motivi di ricorso in esame palesano la loro manifesta infondatezza.

del merito e la corretta individuazione del termine massimo di prescrizione del
reato, anche l’infondatezza del sesto e del settimo motivo di ricorso risulta di
macroscopica evidenza.

17. Per ciò che concerne l’ottavo motivo di ricorso, deve rilevarsi che la sua
infondatezza risulta altrettanto evidente poiché, come pure ha chiarito la corte
territoriale, oggetto della contestazione era soltanto il reato di violazione di sigilli,
mentre il riferimento a reati contravvenzionali nei motivi di appello risultava del

un errore indotto dal puntuale richiamo agli interventi edilizi eseguiti contenuto
nel capo di imputazione e dalla demolizione e riduzione in pristino
impropriamente ordinate dal primo giudice, poi giustamente eliminate dal
giudice del gravame.
I giudici del merito, dunque, hanno correttamente applicato la pena della
reclusione e della multa, peraltro in misura diversa per ciascun imputato, avendo
ridotto quella originariamente inflitta al CASAVOLA in anni 1 ed euro 400,00 di
multa e confermato quella di mesi 4 di reclusione ed euro 200,00 di multa per la
MANDARA.

18. Infine, anche la infondatezza del nono motivo di ricorso risulta di
macroscopica evidenza, perché la sospensione condizionale della pena risulta
accordata ad entrambi gli imputati con la sentenza di primo grado, come
correttamente riportato in premessa nella sentenza di appello (pag.3) ed la
concessione del beneficio risulta espressamente confermata dai giudici del
gravame, come emerge inequivocabilmente dalla motivazione della sentenza
impugnata (pag. 8, penultimo paragrafo prima del dispositivo).

19. Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile e alla
declaratoria di inammissibilità – non potendosi escludere che essa sia ascrivibile
a colpa dei ricorrenti (Corte Cost. 7-13 giugno 2000, n. 186) – consegue l’onere
delle spese del procedimento, nonché quello del versamento, in favore della
Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di euro 1.000,00
per ciascuno di essi.
L’inammissibilità del ricorso per cassazione per manifesta infondatezza dei
motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e,
pertanto, preclude la possibilità di dichiarare le cause di non punibilità di cui
all’art. 129 cod. proc. pen., ivi compresa la prescrizione intervenuta nelle more
del procedimento di legittimità (cfr., da ultimo, Sez. Il n.28848, 8 luglio 2013).

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tutto inconferente, anche se la Corte del merito lo ha considerato conseguenza di

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna ciascun ricorrente al pagamento
delle spese del procedimento e della somma di euro 1.000,00 in favore della
Cassa delle ammende.

Così deciso in data 21.2.2014

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