Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 11969 del 21/02/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 11969 Anno 2014
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: RAMACCI LUCA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
VASTOLA FRANCESCO N. IL 22/06/1958
avverso la sentenza n. 1056/2012 CORTE APPELLO di SALERNO, del
10/01/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 21/02/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. LUCA RAMACCI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. r_
che ha concluso per kr…„.„,„,-e322-

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

A-

Data Udienza: 21/02/2014

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Salerno, con sentenza del 10.1.2013 ha confermato
la decisione con la quale, in data 7.4.2011 il Tribunale di Nocera Inferiore aveva
riconosciuto Francesco VASTOLA responsabile dei reati di cui agli artt. 44, lett.
b) d.P.R. 380\01; 2, 3, 4, 14 legge 1086\71; 1, 2, 17 comma 1 e 20 legge 64\74

costruire, un manufatto di mq. 40 composto di tre vani privi di pavimento e
completo di impianti idrici ed elettrici ed, inoltre, per aver effettuato l’intervento
edilizio in zona sismica senza il preventivo avviso alle autorità competenti, senza
deposito del progetto e senza attenersi ai criteri tecnico – costruttivi previsti per
dette zone, nonché per aver eseguito le opere in cemento armato senza
redazione di progetto, denuncia al Genio Civile e senza la direzione di un tecnico
competente (In San Valentino Torio, fino al 14.2.2008).
Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione tramite il
difensore di fiducia.

2. Con un primo motivo di ricorso deduce il vizio di motivazione, rilevando di
aver fatto presente ai giudici del merito che l’intervento eseguito costituiva
completamento di immobile già condonato consentito dall’art. 35, comma 14
della legge 47\1985 e che tale deduzione sarebbe stata erroneamente disattesa
sulla base della testimonianza di un teste (geom. MUSI), il quale non era stato
però in grado di fornire informazione precisa circa le caratteristiche delle opere e
delle risultanze documentali, sostenendo che la domanda di condono non era
corredata da fotografie o perizie giurate attestanti la superficie del manufatto
che, invece, risulterebbe dal calcolo dell’oblazione, relativa a 100 metri quadrati.
Osserva, inoltre, che altrettanto irrilevante risulta il riferimento al contenuto
del verbale di sequestro, valorizzato dalla Corte territoriale, in quanto la
circostanza che il manufatto fosse privo di pavimentazione e, pertanto, non
completato, nulla dimostrava, atteso che si era prospettata ai giudici proprio la
natura di intervento di completamento delle opere eseguite che
presupponevano, quindi l’esistenza di un manufatto in corso di ultimazione.

3. Con un secondo motivo di ricorso lamenta che la Corte territoriale, pur in
presenza di specifica deduzione in punto estinzione dei reati per intervenuta
prescrizione, avrebbe omesso qualsivoglia motivazione.

1

per avere realizzato, quale proprietario committente, in assenza di permesso di

Insiste, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso è inammissibile.

lo stesso è fondato quasi esclusivamente su argomentazioni in fatto e richiami ad
atti e documenti del processo l’accesso ai quali, come è noto, è precluso a questa
Corte.
Il ricorso, inoltre, nella parte in cui pone in evidenza le ritenute incongruenze
della motivazione della sentenza impugnata, non risulta assistito dal necessario
requisito dell’autosufficienza, non essendo stati allegati gli atti cui il ricorrente si
riferisce.
In tema, infatti la giurisprudenza di questa Corte ha già avuto modo di
precisare che deve ritenersi inammissibile il ricorso per cassazione nel quale
viene dedotto il vizio di manifesta illogicità della motivazione e, sebbene richiami
atti specificamente indicati, non contenga la loro integrale trascrizione o
allegazione, così da rendere lo stesso autosufficiente con riferimento alle relative
doglianze (Sez. Il n. 26725, 19.6.2013. Conf. Sez. VI n. 45036, 22 dicembre 2010;
Sez. VI n. 29623, 26 luglio 2010; Sez. V n. 11910, 26 marzo 2010; Sez. I n. 6112,
12 febbraio 2009; Sez. IV n. 37982, 3 ottobre 2008; Sez. I n.16706, 22 aprile
2008; Sez. Fer. 37368, 11 ottobre 2007; Sez. I n. 20344, 14 giugno 2006).
Ciò comporterebbe, di per sé, l’inammissibilità del motivo di ricorso che, in
ogni caso, risulta anche manifestamente infondato.

5.

Riguardo alla attribuzione, alle opere eseguite, della funzione di

completamento effettuata ai sensi dell’art. 35, comma 14 legge 47\85, osserva la
Corte territoriale che la questione era stata già affrontata dal giudice di prime
cure, il quale aveva confutato la tesi difensiva sul presupposto che dalla
documentazione in atti, relativa al condono dell’immobile preesistente, non
risultava alcun elemento atto a far ritenere che l’istanza di condono
comprendesse anche i tre vani oggetto di imputazione.
Aggiungono inoltre i giudici del gravame che, all’atto del sequestro, eseguito
nel 2008, i vani in questione risultavano non completati perché privi di
pavimentazione, dovendosi conseguentemente escludere che essi fossero
compresi nella richiesta di condono del 2004 e che consistessero, come

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Va preliminarmente rilevato, con riferimento al primo motivo di ricorso, che

sostenuto dall’accusa, in un ampliamento del preesistente edificio e non anche
nel suo completamento.
Le valutazioni effettuate dai giudici del merito appaiono rispondenti a logica
oltre che giuridicamente corrette, posto che se le opere in contestazione
avessero costituito completamento dell’immobile per il quale era stato richiesto il
condono, la loro esistenza alla data della presentazione della domanda sarebbe
dovuta risultare dalla documentazione della quale disponevano i giudici, poiché
un intervento di completamento non avrebbe certo potuto comprendere la

di pavimentazione a distanza di anni dalla richiesta di sanatoria evidentemente
ha costituito un ulteriore elemento significativo per i giudici del merito.

6. Va peraltro osservato che la prospettazione del ricorrente, riformulata
anche in questa sede, circa la natura dell’intervento quale opera di
completamento eseguita ai sensi dell’art. 35, comma 14 legge 47\85 era ed è
rimasta una mera asserzione priva di qualsivoglia riscontro, nonostante il
ricorrente avesse avuto la possibilità di dimostrare agevolmente, mediante
produzione documentale, la fondatezza del suo assunto.
Invero l’art. 35, comma 14 del quale il ricorrente ha più volte invocato
l’applicazione prevede che il completamento delle opere oggetto di domanda di
condono possa avvenire, decorsi 120 giorni dalla presentazione della domanda e,
comunque, dopo il versamento della seconda rata dell’oblazione, previa notifica
dell’interessato al comune del proprio intendimento, con allegazione di perizia
giurata ovvero documentazione avente data certa in ordine allo stato dei
lavori abusivi, potendosi iniziare i lavori non prima di trenta giorni dalla data
della notificazione.

7. Dunque la norma prevede una serie di indispensabili adempimenti prima
dell’esecuzione dei lavori, tra i quali sono compresi la notifica al comune e la
produzione della perizia giurata.
Di tali adempimenti, come risulta dalla sentenza impugnata, il giudice di
prime cure non ha rinvenuto traccia nella documentazione in atti relativa al
condono edilizio, che risultava priva anche di fotografie dell’intervento, né risulta
che il ricorrente, che infatti non ne fa menzione in ricorso, abbia offerto all’esame
dei giudici del merito tale indispensabile documentazione, che avrebbe sollevato
ogni dubbio sulla effettiva natura delle opere giustamente considerate, in difetto,
come creazione di nuovi volumi in ampliamento di un preesistente manufatto.

8. Anche l’infondatezza del secondo motivo di ricorso risulta palese.

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realizzazione di volumi non individuati nella domanda di condono e la mancanza

Emerge pacificamente dalla motivazione della sentenza impugnata che i
giudici del gravame hanno fornito implicita risposta alla censura, collocando il
momento consumativo del reato alla data del sequestro, conformemente a
quanto indicato nel capo di imputazione, come emerge con chiarezza dai
riferimenti alla assenza della pavimentazione nei locali, che evidenziava il
mancato completamento delle opere.
E’ appena il caso di ricordare, a tale proposito, che il reato urbanistico ha
natura di reato permanente la cui consumazione ha inizio con l’avvio dei lavori di

UU. n. 17178, 8 maggio 2002) e che si è precisato (ex pl. Sez. III n. 38136, 24
ottobre 2001) che la cessazione dell’attività si ha con l’ultimazione dei lavori per
completamento dell’opera, con la sospensione dei lavori volontaria o imposta (ad
esempio mediante sequestro penale), con la sentenza di primo grado, se i lavori
continuano dopo l’accertamento del reato e sino alla data del giudizio. Si è inoltre
chiarito che l’ultimazione dei lavori coincide con la conclusione dei lavori di
rifinitura interni ed esterni, quali gli intonaci e gli infissi (Sez. III n. 32969, 7
settembre 2005 ed altre prec. conf. nella stessa richiamate) quando, cioè,
l’immobile possegga tutti i requisiti di agibilità o abitabilità, come desumibile
dall’art. 25, comma primo, del d.P.R. n. 380 del 2001, che fissa “entro quindici
giorni dall’ultimazione dei lavori di finitura dell’intervento” il termine per la
presentazione allo sportello unico della domanda di rilascio del certificato di
agibilità (Sez. III n. 40033, 4 novembre 2011 Sez. III n. 39733, 3 novembre 2011).
Collocandosi la data di interruzione della consumazione al 14.2.2008, era di
tutta evidenza che, all’atto della pronuncia della sentenza d’appello (senza
peraltro considerare i periodi di sospensione dei termini per complessivi 95 giorni
conseguenti a rinvi per impedimento del difensore e dell’imputato) il termine
massimo quinquennale non risultava ancora spirato.

9. Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile e alla
declaratoria di inammissibilità – non potendosi escludere che essa sia ascrivibile
a colpa del ricorrente (Corte Cost. 7-13 giugno 2000, n. 186) – consegue l’onere
delle spese del procedimento, nonché quello del versamento, in favore della
Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di euro 1.000,00
L’inammissibilità del ricorso per cassazione per manifesta infondatezza dei
motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e,
pertanto, preclude la possibilità di dichiarare le cause di non punibilità di cui
all’art. 129 cod. proc. pen., ivi compresa la prescrizione intervenuta nelle more
del procedimento di legittimità (cfr., da ultimo, Sez. Il n.28848, 8 luglio 2013).

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costruzione e perdura fino alla cessazione dell’attività edificatoria abusiva (v. SS.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese del procedimento e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa
delle ammende.

Così deciso in data 21.2.2014

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