Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 11968 del 21/02/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 11968 Anno 2014
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: RAMACCI LUCA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GENNUSO ANTONINO N. IL 13/02/1963
avverso la sentenza n. 1361/2012 CORTE APPELLO di CATANIA, del
15/02/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 21/02/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. LUCA RAMACCI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per 123;›-a—.9-ks-Scz.
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Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 21/02/2014

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Catania, con sentenza del 15 febbraio 2013 ha
confermato la sentenza con la quale, in data 26.10.2011, il Tribunale di Ragusa
aveva riconosciuto la penale responsabilità di Antonino GENNUSO in ordine al
reato di cui all’art. 2 d.lgs. 74\2000 perché, quale legale rappresentante della

aggiunto si avvaleva di una fattura per operazioni inesistenti con un imponibile di
euro 2.645.386,55 ed IVA di euro 529.077,31, indicandola nelle relative
dichiarazioni (Ragusa, 28.10.2005).
Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione tramite il
difensore di fiducia.

2. Con un primo motivo di ricorso deduce la violazione di legge ed il vizio di
motivazione, osservando che nel giudizio penale non può farsi ricorso agli
strumenti presuntivi cui ricorre il legislatore fiscale, utilizzabili quindi quali indizi
che necessitano di adeguato riscontro in distinti elementi di prova, circostanza
non verificatasi nel caso di specie, ove l’inesistenza dell’operazione era stata
desunta senza alcuna indagine diretta su dati economici reali.
Evidenzia, altresì, che dall’esame del teste, cui si riferisce anche la Corte
territoriale, sarebbe chiaramente emersa la mancanza di riscontri oggettivi sulla
esistenza del reato, risultando esclusivamente mere presunzioni, così come del
resto era avvenuto con la disposta perizia.

3. Con un secondo motivo di ricorso denuncia violazione di legge e vizio di
motivazione in relazione alla insussistenza dell’elemento oggettivo del reato e di
quello soggettivo, rispetto al quale la Corte territoriale avrebbe utilizzato mere
espressioni di stile.
Aggiunge che la condotta tenuta sarebbe stata fondata sulla erronea
convinzione della reale esistenza dell’operazione documentata, tanto che sia
l’operazione attiva quanto quella passiva sono state puntualmente riportate nelle
dichiarazioni fiscali e che i giudici del merito avrebbero semplicisticamente
collegato l’esistenza del dolo al solo accertamento della inesistenza di un credito
di imposta.

4. Con un terzo motivo di ricorso lamenta il vizio di motivazione e la
violazione di legge con riferimento al mancato riconoscimento della maturazione

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«SOGEA METALLI s.r.I.», al fine di evadere l’imposta sui redditi e sul valore

del termine massimo di prescrizione del reato, nonostante dalla perizia disposta
emergesse l’annotazione della fattura nell’anno 2004 e l’inserimento nelle
dichiarazioni dell’anno 2004.
Osserva che, in ogni caso, la prescrizione sarebbe, attualmente, comunque
maturata.

5. Con un quarto motivo di ricorso deduce la violazione del principio
dell’oltre ragionevole dubbio in ragione delle argomentazioni poste alla base

Insiste, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

6. Il ricorso è inammissibile.
Il primo motivo di ricorso, attraverso richiami estremamente generici alle
risultanze dell’istruzione dibattimentale, si risolve nella sostanziale proposizione
di una lettura autonoma alternativa delle stesse da parte di questo giudice di
legittimità, attività non consentita in questa sede, non essendo compito di questa
Corte quello di ripetere l’esperienza conoscitiva del giudice del merito.
In ogni caso, diversamente da quanto prospettato in ricorso, la decisione
impugnata non si fonda su mere presunzioni.
Va rilevato, in primo luogo, che la medesima censura era stata prospettata
negli stessi termini ai giudici dell’appello e da questi era stata compiutamente
esaminata, ricordando dapprima i criteri di valutazione delle risultanze degli
accertamenti effettuati dagli uffici finanziari, con richiami alla giurisprudenza di
questa Corte e, successivamente, rilevando come l’esame degli atti processuali
evidenzierebbe la sussistenza di elementi di prova che gli stessi giudici del
merito definiscono idonei, convergenti e decisivi.
A tale proposito, la Corte territoriale evidenzia il rilievo assunto dalle
dichiarazioni rese, in sede di deposizione testimoniale, dal funzionario
dell’Agenzia delle Entrate che aveva personalmente effettuato la verifica fiscale,
accertando l’emissione della fattura di cui al capo di imputazione e la sua
contabilizzazione nei registri IVA ed acquisti della società rappresentata
dall’imputato, con successiva indicazione della stessa nella dichiarazione dei
redditi del 2005, presentata nell’ottobre dello stesso anno.
Analogo decisivo rilievo viene attribuito in sentenza alle valutazioni del

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della decisione impugnata.

perito contabile, nominato dietro espressa richiesta della difesa, il quale aveva
acclarato che la fattura era attinente ad operazioni inesistenti e, indicata come
elemento passivo fittizio nella dichiarazione IVA, aveva dato luogo ad una
indebita detrazione dell’imposta per l’ammontare indicato nell’imputazione,
sottratto poi definitivamente all’erario mediante successiva compensazione con
l’IVA addebitata alla società.
Aggiunge la Corte del merito che l’analisi del perito, effettuata sulla base dei
documenti, risulta accurata e pienamente attendibile ed era stata

esame dibattimentale.
Si tratta, pertanto, di argomentazioni del tutto esaustive, scevre da
cedimenti logici o manifeste contraddizioni e che evidenziano la completa
infondatezza delle censure mosse, sul punto, alla decisione impugnata.

7. A conclusioni identiche deve giungersi per ciò che concerne il secondo
motivo di ricorso, poiché le argomentazioni sviluppate dai giudici del gravame in
ordine ai dati fattuali comprovanti la sussistenza del reato risultano pienamente
idonee ad evidenziare, come risulta dall’analisi del complesso discorso
giustificativo sviluppato in sentenza, la piena sussistenza degli elementi
costitutivi del reato.
Per ciò che riguarda, in particolare, l’elemento psicologico, la Corte del
merito ha adeguatamente individuato la coscienza e volontà dell’imputato dello
specifico obiettivo di evasione fiscale perseguito nelle modalità della condotta e
nell’interesse alla compensazione dell’IVA sotteso alla operazione.
Si tratta di un ragionamento del tutto condivisibile, che non viene
minimamente intaccato dal richiamo, formulato in ricorso, circa la correttezza
formale della contabilità della società dell’imputato che invoca, sostanzialmente,
la propria buona fede senza aver fornito ai giudici del merito alcun elemento di
valutazione o la dimostrazione della reale esistenza delle operazioni fatturate o
dei rapporti intercorrenti con la società che aveva emesso la fattura, circostanze
che, peraltro, come si è già detto, gli stessi giudici hanno ritenuto platealmente
smentite dalle risultanze documentali e dalle dichiarazioni testimoniali.

8. Altrettanto corretto risulta, poi, il percorso argomentativo sviluppato dai
giudici del gravame con riferimento alla individuazione del termine massimo di
prescrizione del reato, affrontato con il terzo motivo di ricorso .
La giurisprudenza di questa Corte ha più volte precisato, a tale proposito,
che il reato

de quo si consuma nel momento della presentazione della

dichiarazione fiscale e non anche nel momento in cui detti documenti vengano

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opportunamente approfondita, nel contraddittorio delle parti, nel successivo

registrati in contabilità, (Sez. Il n. 42111, 26 novembre 2010; Sez. I n. 25483, 18
giugno 2009; Sez. III n. 626, 12 gennaio 2009).
Nella fattispecie risulta dallo stesso capo di imputazione e, più
dettagliatamente, dalla sentenza impugnata (pag. 5), che la fattura veniva
indicata nella dichiarazione dei redditi presentata nell’ottobre 2005, cosicché alla
data della pronuncia della sentenza impugnata il termine massimo di sette anni e
sei mesi non risultava ancora spirato.

lo stesso si caratterizza per l’estrema genericità, poiché, al di là di diffusi richiami
a principi generali, corredati da riferimenti

giurisprudenziali, il ricorrente si

limita, ancora una volta, ad affermare che la condanna nei suoi confronti sarebbe
fondata su mere presunzioni, circostanza che, come si è visto, risulta destituita di
fondamento e su un non meglio precisato pregiudizio dei giudici del merito nei
suoi confronti.
La mancanza di specificità del motivo ne evidenzia, conseguentemente, la
manifesta infondatezza.

10. Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile e alla
declaratoria di inammissibilità – non potendosi escludere che essa sia ascrivibile
a colpa del ricorrente (Corte Cost. 7-13 giugno 2000, n. 186) – consegue l’onere
delle spese del procedimento, nonché quello del versamento, in favore della
Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di euro 1.000,00.
L’inammissibilità del ricorso per cassazione per manifesta infondatezza dei
motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e,
pertanto, preclude la possibilità di dichiarare le cause di non punibilità di cui
all’art. 129 cod. proc. pen., ivi compresa la prescrizione intervenuta nelle more
del procedimento di legittimità (cfr., da ultimo, Sez. Il n.28848, 8 luglio 2013).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese del procedimento e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa
delle ammende.
Così deciso in data 21.2.2014

9. Per ciò che concerne, infine, il quarto motivo di ricorso, deve rilevarsi che

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