Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 11967 del 21/02/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 11967 Anno 2014
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: RAMACCI LUCA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ZATTIN ANDREA COSMA N. IL 08/10/1979
avverso la sentenza n. 801/2012 CORTE APPELLO di L’AQUILA, del
11/02/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 21/02/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. LUCA RAMACCI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. M–Le_Lc9.9-C
che ha concluso per JCz3,-.U-5›…„…r. 92A.21-0._

csu,

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

o

Data Udienza: 21/02/2014

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di L’Aquila, con sentenza dell’11.2.2013 ha riformato
parzialmente, dichiarando la prescrizione per i fatti relativi ai mesi di settembre,
ottobre, novembre e dicembre 2005 e rideterminando la pena originariamente
inflitta, previa concessione delle attenuanti generiche, la decisione con la quale,

responsabilità di Andrea Cosma ZATTIN in ordine al reato di cui all’art. 2 d.l.
463/83, per omesso versamento all’INPS della somma di euro 2.036,00 trattenuta
sulle retribuzioni corrisposte ai dipendenti a titolo previdenziale ed assistenziale
nel periodo compreso tra il gennaio 2004 ed il dicembre 2005.
Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione tramite il
difensore di fiducia.

2. Con un primo motivo di ricorso deduce il vizio di motivazione, rilevando
che, a fronte della specifica deduzione concernente la mancata, effettiva
corresponsione delle retribuzioni ai propri dipendenti, che si avvicendavano
nell’impresa ogni uno o due mesi, proprio perché non retribuiti, la Corte
territoriale l’ha ritenuta dimostrata sulla base della semplice allegazione dei
modelli DM/10, facendo quindi ricorso a mere presunzioni .

3. Con un secondo motivo di ricorso lamenta la violazione di legge,
osservando che i giudici del gravame avrebbero erroneamente calcolato i termini
di prescrizione considerando, quale atto interruttivo, la mera emissione del
decreto di citazione a giudizio e non anche la data di deposito dello stesso in
segreteria, senza peraltro considerare che, alla data di notifica dello stesso
all’imputato, il termine breve di prescrizione risultava già maturato.

4. Con un terzo motivo di ricorso denuncia il vizio di motivazione in relazione
al diniego dell’attenuadtdi cui all’art. 62 n. 6 cod. pen., ritenuta concedibile in
considerazione dell’avvenuto pagamento del dovuto prima dell’instaurazione del
giudizio.

5. Con un quarto motivo di ricorso deduce la violazione del divieto di
reformatio in peius, rilevando che la Corte del merito, nel rideterminare la pena,
ha applicato, per la continuazione, lo stesso aumento effettuato dal primo
giudice.

1

in data 7.11.2011, il Tribunale di Chieti aveva riconosciuto la penale

Insiste, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Tutti i motivi di ricorso, fatta eccezione per il quarto, si risolvono nella
sostanziale riproposizione di questioni già prospettate ai giudici del gravame e
da questi adeguatamente risolte con pertinenti richiami alla giurisprudenza di
questa Corte.
Si tratta, in ogni caso, di censure manifestamente infondate.

7. Deve infatti osservarsi, per ciò che concerne il primo motivo di ricorso,
come questa Corte abbia costantemente affermato che l’effettiva corresponsione
delle retribuzioni ai lavoratori dipendenti, a fronte di un’imputazione di omesso
versamento delle relative ritenute previdenziali ed assistenziali, può essere
provata sia mediante il ricorso a prove documentali (quali i cosiddetti modelli
DM/10 trasmessi dal datore di lavoro all’INPS) e testimoniali, sia mediante il
ricorso alla prova indiziaria (Sez. III n. 14839, 16 aprile 2010; Sez. III n. 46451, 2
dicembre 2009; Sez. III n. 26064, 6 luglio 2007).
Per ciò che concerne, in particolare, i modelli DM/10, si è ulteriormente
chiarito che essi hanno natura ricognitiva della situazione debitoria del datore di
lavoro e la loro presentazione equivale all’attestazione di aver corrisposto le
retribuzioni in relazione alle quali è stato omesso il versamento dei contributi
(Sez. III n.37145, 10 settembre 2013).
La possibilità di valutare come prova piena la presentazione dei suddetti
modelli è dunque pacificamente riconosciuta, diversamente da quanto sostenuto
in ricorso, salva, ovviamente, la presenza di elementi contrari che, nella
fattispecie, non è stata in alcun modo dimostrata ai giudici del merito, non
potendo assumere rilievo alcuno la apodittica affermazione secondo la quale vi
sarebbe stato un avvicendamento tra i dipendenti proprio in ragione della
mancata corresponsione delle retribuzioni.

8. Anche l’infondatezza del secondo motivo di ricorso risulta di macroscopica
evidenza.
Come esattamente rilevato dalla Corte territoriale, l’interruzione del corso

2

6. Il ricorso è inammissibile.

della prescrizione avviene per effetto dell’emissione del decreto di citazione a
giudizio e, cioè, quando l’atto si è perfezionato con la sottoscrizione del P.M. e
dell’ausiliario che lo assiste, dovendosi considerare tale momento come
indicativo della persistenza dell’interesse punitivo dello Stato (Sez. I n. 13554, 27
marzo 2009; Sez. IV n. 13320, 24 marzo 2003; Sez. V n. 1542, 21 maggio 1999;
SS.UU. n. 13390, 18 dicembre 1998).
Ne consegue che il calcolo della prescrizione risulta correttamente effettuato

9. A condizioni non dissimili deve pervenirsi per ciò che concerne il terzo
motivo di ricorso, perché anche il mancato riconoscimento dell’attenuante di cui
all’art. 62 n. 6 cod. pen. risulta giuridicamente corretto, oltre che adeguatamente
motivato.
Hanno infatti ricordato i giudici del gravame come questa Corte abbia già
affermato che il tardivo versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali
non consente l’applicazione della suddetta attenuante del risarcimento del
danno, non soltanto perché non dimostra la spontaneità del versamento, che
potrebbe essere effettuato anche a seguito di messa in mora del debitore da
parte dell’istituto, ma anche perché non è necessariamente comprensivo degli
interessi maturati e delle spese eventualmente sostenute dall’istituto per il
recupero del credito, cosicché incombe sul reo l’onere di fornire elementi idonei a
dimostrare la spontaneità, l’effettività e l’integralità del risarcimento (Sez.

III n.

16483, 28 aprile 2010; Sez. III n. 47340, 20 dicembre 2007).
Nella fattispecie tale dimostrazione non è stata fornita ai giudici del merito,
come emerge dal contenuto stesso del ricorso, ove si fa richiamo alla sola
integrità del pagamento riconosciuta dal giudice.
43‘,30)(o
10. Manifestamente fondate risulta, infine, anche il quarto motivo di ricorso,
poiché non vi è stata, da parte della Corte del merito, alcuna violazione del
divieto di reformatio in peius.
I giudici del gravame, dopo aver ridotto la pena base a seguito del
riconoscimento delle attenuanti generiche, hanno calcolato l’aumento per la
continuazione, come aveva fatto il giudice di prime cure, in misura pari a giorni
10 di reclusione ed euro 30 di multa, ovviamente per ciascuno dei residui fatti
oggetto di disamina, pervenendo ad una pena finale (mesi

1 e giorni 20 di

reclusione ed euro 150,00 di multa) comunque inferiore a quella irrogata in primo
grado (mesi 2 di reclusione ed euro 200,00 di multa).
Va ricordato, a tale proposito, che il suddetto divieto riguarda il dispositivo
della sentenza e, segnatamente, la pena finale in concreto applicata e non anche

3

dai giudici del merito .

i criteri di determinazione della pena medesima ed i relativi calcoli (Sez. III
n.25606, 6 luglio 2010). Del resto, le Sezioni Unite hanno anche stabilito che il
giudice di appello, dopo aver escluso una circostanza aggravante o riconosciuto
un’ulteriore circostanza attenuante in accoglimento dei motivi proposti
dall’imputato, può, senza incorrere nel divieto, confermare la pena applicata in
primo grado, ribadendo il giudizio di equivalenza tra le circostanze, purché
questo sia accompagnato da adeguata motivazione (SS.UU. n. 33752, 2 agosto

11. Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile e alla
declaratoria di inammissibilità – non potendosi escludere che essa sia ascrivibile
a colpa del ricorrente (Corte Cost. 7-13 giugno 2000, n. 186) – consegue l’onere
delle spese del procedimento, nonché quello del versamento, in favore della
Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di euro 1.000,00
L’inammissibilità del ricorso per cassazione per manifesta infondatezza dei
motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e,
pertanto, preclude la possibilità di dichiarare le cause di non punibilità di cui
all’art. 129 cod. proc. pen., ivi compresa la prescrizione intervenuta nelle more
del procedimento di legittimità (cfr., da ultimo, Sez. Il n.28848, 8 luglio 2013).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese del procedimento e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa
delle ammende.
Così deciso in data 21.2.2014

2013).

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