Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 11962 del 20/02/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 11962 Anno 2014
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: GRAZIOSI CHIARA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PERA AUGUSTO N. IL 18/02/1963
avverso la sentenza n. 7019/2011 CORTE APPELLO di ROMA, del
05/06/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 20/02/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
cs531che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 20/02/2014

47121/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 5 giugno 2013 la Corte d’appello di Roma, a seguito di appello proposto
da Pera Augusto avverso sentenza del 27 ottobre 2010 con cui il Tribunale di Roma lo aveva
condannato alla pena di otto mesi di reclusione e C 150 di multa per i reati di cui all’articolo 44,
primo comma, lettera b), d.p.r. 380/2001 (capo a) e 349 c.p. (capo b), in riforma della
sentenza di primo grado dichiarava non doversi procedere per il reato di cui al capo a
essendosi estinto per prescrizione e rideterminava la pena per il reato di cui al capo b in sei

2. Ha presentato ricorso il difensore adducendo due motivi. Il primo denuncia violazione
dell’articolo 157 c.p. per non avere giudice d’appello ritenuto prescritto anche il reato di cui al
capo b, e il secondo denuncia vizio motivazionale al riguardo. Non essendovi elementi certi per
determinare il dies a quo, la corte territoriale illogicamente lo fa coincidere con la data di
accertamento del reato, il 18 gennaio 2006. Applicando invece il principio in dubio pro reo, il
dies a quo si identifica nella data di apposizione dei sigilli, 21 agosto 2003.

CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è infondato.
I due motivi possono essere valutati congiuntamente, entrambi trattando la questione della
identificazione del dies a quo del termine prescrizionale, che sarebbe stata illogicamente
espletata dalla corte territoriale, violando sia l’articolo 157 c.p. sia il principio in dubio pro reo.
Nella motivazione della sentenza impugnata si afferma che, in ordine al delitto di violazione dei
sigilli, l’accertamento effettuato dalla polizia municipale in data 18 gennaio 2006 “fornisce
ampia e sicura prova non solo della violazione del vincolo da parte dell’imputato, custode
dell’immobile, ma anche della data di commissione del reato, corrispondente a quella
dell’accertamento”. La valutazione della corte territoriale è del tutto corrispondente alla
consolidata giurisprudenza di questa Suprema Corte, per la quale il delitto di violazione dei
sigilli ex articolo 349 c.p. è un reato a consumazione istantanea, in quanto si perfeziona con il
solo fatto della rimozione, apertura, rottura o distruzione dei sigilli o comunque della
disobbedienza al divieto di infrangere la conservazione o la identità del bene sequestrato per
violare il vincolo di indisponibilità dello stesso (Cass. sez. III, 2 febbraio 2005 n. 13147; Cass.
sez. III, 24 aprile 2003 n. 26185; Cass. sez. III, 17 aprile 2002 n. 21405). Non è configurabile
neppure una permanenza degli effetti, dal momento che, compiuta la prima infrazione, il reato
si reitera in ogni caso in cui si realizza una condotta contraria al precetto, in ulteriore
violazione del vincolo apposto sulla res (Cass. sez. III, 7 luglio 2004 n. 37398), giacché
permanenti, invece, sono gli effetti del sequestro (Cass. sez. III, 24 novembre 2005 n. 45631).
Ne consegue che, ai fini della prescrizione, il momento consumativo può identificarsi in via
presuntiva come coincidente con quello dell’accertamento, salva la eventuale sussistenza di

mesi e 10 giorni di reclusione e C 130 di multa.

dati idonei a inficiare tale presunzione:

“il momento consumativo del reato di violazione di

sigilli può essere ritenuto coincidente con quello dell’accertamento – sulla base di elementi
indiziari, di considerazioni logiche, ovvero di fatti notori e massime di esperienza – salvo che
venga rigorosamente provata l’esistenza di situazioni particolari o anomale, idonee a confutare
la valutazione presuntiva e a rendere almeno dubbia l’epoca di commissione del fatto” (così da
ultimo Cass. sez. F, 30 luglio 2013 n. 34281; conformi Cass. sez III, 16 novembre 2007 n.
47082; Cass. sez III, 2 febbraio 2005 n. 13147, cit.; Cass. sez III, 9 luglio 1999 n. 11430). E

cui idoneità in tal senso, peraltro, rientrerebbe nella cognizione del giudice di merito), per cui
l’accertamento deve ritenersi saldo, ovvero incompatibile con l’applicazione del principio in

dubio pro reo giacché soltanto se vi è incertezza sul tempus commissi delicti, il dies a quo va
determinato nel modo più vantaggioso per l’imputato, ritenendo quindi che il reato sia stato
consumato nella data più risalente (Cass. sez. III, 3 dicembre 2009-3 marzo 2010 n. 8283;
Cass. sez. IL 24 maggio 2006 n. 19472; Cass. sez. II, 19 gennaio 2005 n. 3292).
Sulla base delle considerazioni fin qui svolte il ricorso deve essere dichiarato inammissibile,
con conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art.616 c.p.p., al pagamento delle spese
del presente grado di giudizio. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale
emessa in data 13 giugno 2000, n.186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il
ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di
Euro 1000,00 in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
e della somma di €1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma il 20 febbraio 2014

Il Presidente

nel caso di specie non emergono nel motivo siffatte circostanze ostative alla presunzione (la

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