Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 11957 del 12/02/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 11957 Anno 2014
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: RAGO GEPPINO

SENTENZA
su ricorso proposto da:
TINNIRELLO LORENZO nato il 28/01/1960, avverso l’ordinanza del
17/10/2013 del Tribunale del Riesame di Caltanissetta;
Visti gli atti, l’ordinanza ed il ricorso;
udita la relazione fatta dal Consigliere dott. Geppino Rago;
udito il Procuratore Generale in persona del dott. Luigi Riello che ha
concluso per il rigetto;
udito il difensore avv.to Salvatore Petronio che ha concluso per
l’accoglimento;
FATTO e DIRITTO
1. Con ordinanza del 17/10/2013, il Tribunale del Riesame di
Caltanissetta rigettò l’appello proposto da TINNIRELLO Lorenzo indagato per il reato di strage aggravata (cd. strage di Capaci),
fabbricazione e porto di esplosivi – avverso l’ordinanza con la quale il
giudice per le indagini preliminari del Tribunale della medesima città, in
data 05/06/2013, aveva rigettato l’istanza di revoca della misura di
custodia cautelare in carcere applicata al Tinnirello in data 08/04/2013.

Data Udienza: 12/02/2014

2. Il Tribunale, ritenne che il ricorrente fosse stato attinto da
gravità indiziaria in relazione ai reati di strage e fabbricazione e porto di
esplosivi, sulla base del seguente compendio probatorio.

2.1.

LE DICHIARAZIONI DI SPATUZZA: SpatUZZa

Gaspare – all’epoca dei

giustizia nel 2008 e narrò una serie di fatti fino ad allora rimasti
sconosciuti.
Il tribunale, dopo avere, innanzitutto, spiegato le ragioni per le
quali lo Spatuzza doveva ritenersi intrinsecamente attendibile, ha
sintetizzato le dichiarazioni rese dal collaboratore in ordine alla strage di
Capaci, nei termini di seguito indicati.
Lo Spatuzza aveva riferito di avere partecipato alla prima fase
della progettazione della strage, e cioè alla fase del reperimento e
lavorazione dell’esplosivo.
Una parte dell’esplosivo, dopo essere stato recuperato da due fusti
cilindrici di metallo occultati in mare a Porticeli° appena sotto la
superficie dell’acqua e legati con una fune, fu trasportato in un
magazzino della Valtrans dove incominciò la lavorazione (estrazione;
frantumazione; setacciatura).
Dopo poco tempo, sopraggiunsero sia “Fifetto” Cannella che
Renzino Tinnirello, i quali, resosi conto che l’esplosivo sino a quel
momento lavorato era troppo poco, decisero di incrementare il numero
di persone addette a tale attività: infatti, a detta dello Spatuzza, era
evidente che il Cannella ed il Tinnirello avevano urgenza di portare a
compimento il lavoro che era stato loro commissionato.
Sempre secondo lo Spatuzza, «il Cannella e il Tinnirello più volte si
erano recati nel posto dove avveniva la lavorazione dell’esplosivo,
limitandosi sempre ad un’attività di supervisione di quanto stava
avvenendo anche perché, secondo Spatuzza, all’epoca impegnati in altre
operazioni per conto del gruppo».
Terminata questa prima operazione, «si era posta la necessità di
reperire altro materiale e si era proceduto, quindi, con un secondo
carico questa volta, però, presso il porticciolo della Cala a Palermo.

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fatti facente parte di Cosa Nostra – iniziò la sua collaborazione con la

Anche in questa occasione, come riferito sempre dallo Spatuzza, erano
stati lui, Barranca, Pizzo, Cannella e lo stesso Tinnirello a recarsi in tale
luogo con una moto ape del Lo Nigro che, poi, era stata usata per
trasportare l’esplosivo recuperato sempre a casa della zia del
collaboratore […]»; una volta terminata la lavorazione (durata venti

trasporto dell’esplosivo, segmento della condotta alla quale il Tinnirello
era rimasto estraneo».

2.2. I

RISCONTRI OGGETTIVI:

il Tribunale ha indicato come riscontri

oggettivi alle dichiarazioni dello Spatuzza:
a) il rinvenimento, da parte degli inquirenti, del magazzino presso
il quale, all’inizio, fu trasportato l’esplosivo ed eseguita una parte della
lavorazione;
b)

le perizie eseguite nel corso dei vari processi, avevano

concluso, con certezza, che la carica esplosiva impiegata per l’attentato,
era costituita da due distinti tipi di esplosivo: euranfo 77, proveniente
da cava (così come aveva dichiarato l’altro collaboratore Giovanni
Brusca), e tritolo tratto da residuati bellici come, appunto, aveva
dichiarato lo Spatuzza il quale aveva anche riconosciuto in foto gli
ordigni bellici come quelli del tipo da lui visti e prelevati, per la
successiva lavorazione, presso Porticeli° e, in un secondo momento,
presso la Cala.

2.3.

RISCONTRI

soGGErrivANTI: il tribunale, infine, ha indicato come

riscontri a carico del ricorrente:
a) la partecipazione del Tinnirello alla cd. missione romana:

«a

febbraio del 1992, Salvatore Riina, d’accordo con gli altri personaggi di
spicco dell’organizzazione, decideva di inviare nella capitale, un gruppo
di affiliati al fine di valutare la fattibilità del progetto [ndr: l’attentato al
giudice Falcone] in quella sede [ndr: cioè a Roma, dove il giudice
Falcone lavorava presso il Ministero della Giustizia]; in effetti, come
hanno riferito univocamente i collaboratori di giustizia Vincenzo Sinacori
e Francesco Geraci, che vi avevano preso part personalmente, a detta

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giorni), «lo Spatuzza era stato incaricato dal Cannella di provvedere al

fase aveva partecipato, tra gli altri, proprio il Tinnirello, partecipazione
che il giudice della misura cautelare ha correttamente utilizzato come
riscontro al racconto dello Spatuzza, ritenendo provata la circostanza
che l’appellante nel momento in cui partecipò alla fase della lavorazione
dell’esplosivo, poi impiegato per commettere l’attentato ai danni del

l’impiego di quanto era stato ricavato dagli ordigni bellici provenienti da
Porticeli° e dalla Cala»;
b) la partecipazione del Tinnirello alla cd. “strage di via D’Amelio”
per la quale è già stato condannato all’ergastolo: il Tribunale, ha
osservato che «la partecipazione a detta ultima strage, avvenuta, come
noto, soltanto 57 giorni dopo quella di Capaci, con le medesime
modalità e al fine di realizzare lo stesso scopo, a cui il Tinnirello, prese
parte attiva, dà piena conferma, della condivisione da parte di
quest’ultimo del disegno perseguito dall’organizzazione di eliminare i
due magistrati […]»;
c) il ruolo del Tinnirello in “Cosa Nostra”: sul punto, il tribunale,
dopo avere rilevato che il ricorrente, pacificamente – per come risultava
dalle convergenti dichiarazioni rese da numerosissimi collaboratori di
giustizia – era inserito, in forma organica, sin dagli anni ’80, nella
famiglia di Corso dei Mille con un ruolo di spessore, avendo partecipato
anche alla commissione di omicidi: quindi, era credibile che in lui
l’organizzazione ponesse pieno affidamento anche nella predisposizione
della strage.

3. Avverso la suddetta ordinanza, l’indagato, a mezzo del proprio
difensore, ha proposto ricorso per cassazione deducendo la
ILLOGICITÀ DELLA MOTIVAZIONE Sotto

MANIFESTA

i seguenti profili:

3.1. le dichiarazioni accusatorie rese dallo Spatuzza, erano poco
caratterizzanti ed evanescenti e comunque erano state travisate perché
lo Spatuzza non aveva mai riferito che il ricorrente era stato presente
anche alla macinatura della seconda partita di esplosivo e cioè quella
prelevata presso il porticciolo della Cala; in ogni caso, le operazioni di
manipolazioni dell’esplosivo erano avvenute un mese prima della strage

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giudice Falcone, fosse perfettamente a conoscenza di quale fosse

e, quindi, fra

i due suddetti fatti, non vi poteva essere alcuna

correlazione;
3.2. insussistente doveva ritenersi l’elemento psicologico in quanto
dalle propalazioni dello Spatuzza nulla si poteva inferire neppure a
livello logico;

compiuta dal ricorrente a Roma alla fine del febbraio del 1992 e
finalizzata a controllare il giudice Falcone, sia perché non vi era alcuna
contiguità temporale con la strage avvenuta mesi dopo sia perché si
trattava di un episodio neutrale e come tale inidoneo a costituire
riscontro alle dichiarazioni dello Spatuzza;
3.4. il Tribunale non aveva spiegato per quale ragione la
circostanza che il ricorrente fosse stato condannato, con sentenza
definitiva, all’ergastolo per la strage di via D’Amelio (in cui peri il giudice
Borsellino), costituiva riscontro alla partecipazione anche alla strage di
Capaci.

4. Il ricorso è infondato per le ragioni di seguito indicate.

4.1.

LE DICHIARAZIONI DELLO SPATUZZA:

il ricorrente, non ha

contestato l’attendibilità delle dichiarazioni rese dallo Spatuzza; ha
sostenuto, però, che quelle dichiarazioni fossero poco probanti ai fini di
ritenere il suo coinvolgimento nella strage, tanto più che egli aveva
partecipato solo alla lavorazione della prima partita di esplosivo essendo
rimasto estraneo alla seconda.
La censura del ricorrente, tendente a minimizzare le dichiarazioni
dello Spatuzza, è infondata.
Lo Spatuzza, infatti, ha riferito che:
a) il Tinnirello avrebbe dovuto essere presente al primo recupero
dell’esplosivo

a

Porticello,

ma,

siccome

non

era

arrivato

all’appuntamento, l’esplosivo fu ugualmente prelevato;
b)

il Tinnirello, subito dopo che era iniziata la lavorazione

dell’esplosivo, si presentò, insieme al Cannella, svolgendo “un’attività di
supervisione”, tant’è che decise, una volta che si rese conto che veniva

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3.3. non vi poteva essere alcuna correlazione fra la trasferta

impiegato troppo tempo, di incrementare il numero di persone addette
alla lavorazione dell’esplosivo;
c) il Tinnirello, fu colui che, dopo avere appurato che la prima
partita di esplosivo era insufficiente, si recò, insieme allo Spatuzza e ad
altri soggetti, a prelevare altro esplosivo presso il porticciolo della Cala:

partita di esplosivo.
Sulla base delle suddette dichiarazioni dello Spatuzza, si può
quindi affermare che:
a) il Tinnirello partecipò alla fase del reperimento e lavorazione di
tutto l’esplosivo e non solo di quello prelevato a Porticello: non è vero,
quindi, che rimase estraneo al reperimento della seconda partita in
quanto, relativamente a quest’ultima partita, non partecipò solo alla
fase del trasporto;
b)

il Tinnirello, non ha spiegato perché c’era fretta nella

lavorazione dell’esplosivo, perché aveva un ruolo di supervisore, perché,
infine, decise che la prima partita di esplosivo era insufficiente e che ne
occorreva dell’altro;
c) la circostanza che le operazioni di manipolazioni dell’esplosivo
erano avvenute un mese prima della strage, non depone a favore della
tesi difensiva, per la semplice ed ovvia ragione che i preparativi per un
attentato di quella fatta, non si potevano improvvisare in poco tempo. E,
sul punto, è significativo che ricorrente mise fretta al gruppo di persone
che stava lavorando l’esplosivo proprio perché, evidentemente, sapeva
che l’esplosivo sarebbe servito da lì a poco.

4.2.

LA CD “MISSIONE ROMANA”:

il fatto è pacifico e, come si è detto,

quella “missione” era stata ordinata da Riina «al fine di valutare la
fattibilità del progetto» ossia l’attentato al giudice Falcone.

Il ricorrente, ha minimizzato e banalizzato la suddetta circostanza
sostenendo che si trattava di una «condotta non punibile in quanto non
sussumibile all’interno della soglia minima del tentativo penalmente
rilevante».

E’ evidente l’equivoco in cui cade il ricorrente.

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il ricorrente, quindi, rimase estraneo solo al trasporto di quest’ultima

Nessuno ha mai ipotizzato che quella “missione” costituisse una
fase dell’attentato: molto più semplicemente quell’episodio costituisce
un grave indizio in ordine alla conoscenza che il Tinnirello aveva avuto
dell’intenzione di Riina di attentare alla vita del giudice Falcone: altra
spiegazione alternativa lo stesso ricorrente non ha saputo dare se non

Di poco momento, infine, è la reiterazione dell’obiezione secondo
la quale la distanza temporale fra i due avvenimenti renderebbe il
suddetto indizio irrilevante: sul punto, va ribadito che una strage di
natura “epocale” come quella di via Capaci non la si improvvisa in poco
tempo.

4.3.

LA PARTECIPAZIONE ALLA STRAGE DI VIA D’AMELIO: è

vero che si

tratta di due episodi differenti, ma il tribunale, ribattendo alla censura
del ricorrente, ha osservato che la strage di via D’Ameno è strettamente
concatenata a quella di Capaci essendo avvenuta

«con le medesime

modalità e al fine di realizzare Io stesso scopo» (cfr pag. 12 ordinanza):

sul punto, il ricorrente, in pratica, nulla ha saputo obiettare.

4.4.

IL RUOLO APICALE RICOPERTO IN COSA NOSTRA:

il ricorrente si duole

del fatto che il tribunale avrebbe desunto un grave inizio di colpevolezza
dalla circostanza che egli aveva dei precedenti penali e che, quindi, tale
conclusione contrasterebbe con i principi costituzionali.
Anche tale enfatica censura è fuorviante.
Il tribunale non ha affatto affermato che i precedenti penali
costituiscono un indizio di colpevolezza per il diverso reato di strage: il
tribunale ha solo sostenuto che il ricorrente rivestiva un ruolo apicale
nell’ambito della cosca mafiosa alla quale apparteneva e che, quindi, per
Cosa Nostra, era un personaggio su cui fare affidamento per le
operazioni importanti. Questa considerazione, unita alla circostanza
degli stretti contatti che il ricorrente aveva proprio con il gruppo di
mafiosi che, successivamente, fu riconosciuto colpevole della strage,
costituiva un’ulteriore «conferma che si trattava di un personaggio nel
quale l’organizzazione poneva pieno affidamento e che di conseguenza

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quella di ritenere la missione romana un elemento a valenza neutra.

ben poteva essere impiegato per commettere la strage» di via Capaci:
l’affermazione, quindi, non ha nulla di illogico né viola alcuna norma in
tema di valutazione degli indizi.

5. In conclusione, la sequenza cronologica degli eventi ai quali il

enorme quantitativo di esplosivo) antecedenti di pochi mesi alla strage
di Capaci; la partecipazione alla strage di Via D’Amelio che venne
effettuata dopo appena 57 giorni con le stesse modalità e con le stesse
finalità di quella di Capaci; la personalità ed il ruolo svolto nell’ambito di
quella parte di Cosa Nostra coinvolta in entrambe le stragi, ha portato,
quindi, il Tribunale a ritenere che

«il Tinnirello fosse certamente

consapevole dell’enorme capacità distruttiva dell’esplosivo che veniva
lavorato dallo Spatuzza e dagli altri» al cui lavoro egli sovraintendeva.
Quanto alla pretesa mancanza di indizi sull’elemento psicologico,
va osservato che il Tribunale (pag. 7) ha valorizzato: a) la “missione
romana” alla quale il ricorrente partecipò, indice sicuro del fatto che il
Tinnirello era ben conscio del fatto che Cosa Nostra aveva deciso di
eliminare il giudice Falcone; b) la stretta vicinanza temporale fra la
suddetta missione e la successiva fase della ricerca e lavorazione
dell’ingente quantitativo di esplosivo, indice del fatto che a Cosa Nostra
quell’esplosivo serviva in tempi ristretti per compiere un attentato (o più
attentati) fuori dall’ordinario come, appunto, quello ai danni del giudice
Falcone che, essendo sorvegliatissimo, richiedeva un eccezionale
impiego di mezzi ed uomini.
Sotto il profilo giuridico, infine, il tribunale ha anche illustrato, in
modo ineccepibile alla stregua della consolidata giurisprudenza di questa
Corte di legittimità (Cass. 42990/2008 riv 241824) le ragioni per le
quali, a tutto concedere, non è necessario che il ricorrente fosse a
conoscenza della vittima designata, «essendo la strage un delitto a
soggetto passivo indifferenziato (purchè vi sia la volontà di uccidere
almeno una persona), sebbene, alla luce delle considerazioni fatte, a
giudizio di questo collegio deve ritenersi certo che egli fosse stato messo

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Tinnirello partecipò (missione romana; recupero e preparazione di un

al corrente che il progetto era proprio quello di uccidere il giudice
Giovanni Falcone con le modalità efferate poi effettivamente impiegate»
Si tratta, quindi, di una motivazione amplissima che, sia in fatto
che in diritto, ha spiegato i motivi per cui il ricorrente deve ritenersi
raggiunto da un compendio probatorio più che sufficiente al fini

6. Il ricorso del ricorrente va, pertanto, disatteso sotto un duplice
profilo.
Innanzitutto, il ricorrente, ricorrendo alla notoria tecnica retorica
del frazionamento della prova al fine di meglio confutarla, non ha fatto
altro che isolare i singoli indizi indicati dalla Corte a sostegno della
decisione, e li ha confutati uno per uno.
Sul punto va osservato quanto segue.
E’ ben noto che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa
Corte di legittimità, ai fini dell’adozione della misura cautelare personale
è sufficiente un qualunque elemento probatorio idoneo a fondare un
giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato in
ordine ai reati addebitatigli, perché i necessari “gravi indizi di
colpevolezza” (art. 273/1 cod. proc. pen.) non corrispondono agli
“indizi” intesi quale elemento di prova idoneo a fondare un motivato
giudizio finale di colpevolezza e non devono, pertanto, essere valutati
secondo gli stessi criteri richiesti per il giudizio di merito dall’art. 192,
comma secondo, cod. proc. pen., non richiamato dall’art. 273 comma
primo bis, cod. proc. pen. il quale, invece, rinvia solo ai commi 3 e 4
dell’art. 192 cod. proc. pen.: ex plurimis Cass. 7793/2013 Rv. 255053;
Cass. 18589/2013 Rv. 255928; Cass. 26764/2013 Rv. 256731.
Nel caso di specie, tuttavia, ritiene questa Corte che gli indizi
evidenziati dal Tribunale siano non solo gravi ma anche precisi e
concordanti e che il tribunale si sia correttamente attenuto ai criteri di
valutazione dei medesimi indicati da questa Corte di Legittimità.
Il procedimento logico di valutazione degli indizi si articola, infatti,
in due distinti momenti.

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dell’emissione della misura cautelare inframuraria.

Il primo, è diretto ad accertare il maggiore o minore livello di
gravità e di precisione degli indizi, ciascuno considerato isolatamente,
tenendo presente che tale livello è direttamente proporzionale alla forza
di necessità logica con la quale gli elementi indizianti conducono al fatto
da dimostrare ed è inversamente proporzionale alla molteplicità di

esperienza.
Il secondo momento del giudizio indiziario è costituito dall’esame
globale e unitario tendente a dissolverne la relativa ambiguità, posto
che «nella valutazione complessiva ciascun indizio (notoriamente) si
somma e, di più, si integra con gli altri, talché il limite della valenza di
ognuno risulta superato sicché l’incidenza positiva probatoria viene
esaltata nella composizione unitaria, e l’insieme può assumere il
pregnante e univoco significato dimostrativo, per il quale può affermarsi
conseguita la prova logica del fatto […] che – giova ricordare – non
costituisce uno strumento meno qualificato rispetto alla prova diretta (o
storica) quando sia conseguita con la rigorosità metolodogica che
giustifica e sostanzia il principio del c.d. libero convincimento del
giudice» (Cass., Sez. Un. 4 febbraio 1992, n. 6682, rv. 191231).
Le linee dei paradigmi valutativi della prova indiziaria sono state
recentemente ribadite dalle Sezioni Unite che hanno evidenziato che il
metodo di lettura unitaria e complessiva dell’intero compendio
probatorio non si esaurisce in una mera sommatoria degli indizi e non
può, perciò, prescindere dalla operazione propedeutica che consiste nel
valutare ogni prova indiziaria singolarmente, ciascuna nella propria
valenza qualitativa, tendente a porre in luce i collegamenti e la
confluenza in un medesimo contesto dimostrativo (Cass. Sez. Un. 12
luglio 2005, n. 33748, rv. 231678): in terminis sulla valutazione della
prova indiziaria Cass. 42482/2013 Rv. 256967.
Ora, come si può notare da quanto illustrato, il Tribunale del
Riesame ha evidenziato a carico del ricorrente un compendio costituito
da una serie di indizi gravi (perché il fatto noto ha una rilevante
contiguità logica con i fatti ignoti), precisi (perché il fatto noto è
indiscutibile e certo) e concordanti (perché tutti gli indizi, si muovono

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accadimenti che se ne possono desumere secondo le regole di

nella stessa direzione), che, valutati unitariamente, acquistano una
forza ancora maggiore contribuendo a formare un quadro probatorio
che, secondo la incensurabile valutazione del Tribunale, è univoco.
Alla stregua di quanto appena detto, il tentativo del ricorrente di
frazionare il quadro indiziario evidenziato dal tribunale, va, quindi,

In secondo luogo, le censure riproposte con il presente ricorso,
vanno ritenute null’altro che un modo surrettizio di introdurre, in questa
sede di legittimità, una nuova valutazione di quegli elementi fattuali già
ampiamente presi in esame dal Tribunale il quale, con motivazione
logica, priva di aporie e del tutto coerente con gli indicati elementi
probatori, ha puntualmente disatteso la tesi difensiva.
In altri termini, la ricostruzione effettuata dal tribunale e la
decisione alla quale è pervenuto deve ritenersi compatibile con il senso
comune e con «i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento»:
infatti, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di Cassazione
non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la
migliore possibile ricostruzione dei fatti né deve condividerne la
giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione
sia compatibile con il senso comune Cass. n. 47891/2004 rv 230568;
Cass. 1004/1999 rv 215745; Cass. 2436/1993 rv 196955.
Sul punto va, infatti ribadito che l’illogicità della motivazione, come
vizio denunciabile, dev’essere percepibile ictu muli, dovendo il sindacato
di legittimità essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando
ininfluenti le minime incongruenze: ex plurimis SSUU 24/1999: il che,
per quanto detto, non è nella fattispecie in esame.
In conclusione, l’impugnazione deve rigettarsi con conseguente
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
RIGETTA
il ricorso e
CONDANNA
Il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

11

disatteso.

Si provveda a norma dell’art. 94 ter disp. att. cod. proc. pen.
Roma 12/02/2014
IL PR IDENTE
Es os . o

(Dott. Ant.,

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