Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 11953 del 29/01/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 11953 Anno 2014
Presidente: PRESTIPINO ANTONIO
Relatore: LOMBARDO LUIGI GIOVANNI

SENTENZA
sul ricorso proposto da
D’ALBA Michele, nato a Bari il 28.8.1987;
avverso la sentenza della Corte di Appello di Bari in data 14.1.2013;
Sentita la relazione del Consigliere Luigi Lombardo;
Udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale Carmine Stabile,
che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Udito il difensore Avv. Paola Armellini, che ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 26.3.2012, il G.U.P. del Tribunale di Bari, in esito a
giudizio abbreviato, dichiarò D’Alba Michele e Di Cosola Francesco
responsabili del delitto di estorsione aggravata (in danno
dell’imprenditore edile Brusco Antonio) e, concesse le attenuanti
generiche equivalenti all’aggravante, li condannò alle pene di legge.
Avverso tale pronunzia gli imputati proposero gravame, ma la Corte
di Appello di Bari, con sentenza del 14.1.2013, confermò la decisione di
primo grado.

Data Udienza: 29/01/2014

Ricorre per cassazione il difensore di D’Alba Michele, deducendo:
1) la violazione e l’erronea applicazione degli artt. 56 e 629 cod.
pen., per avere i giudici di merito qualificato il fatto contestato come
estorsione consumata, piuttosto che come tentativo di estorsione, non
dando così il dovuto rilievo alla circostanza dell’intervento dei Carabinieri
che indusse l’imputato a disfarsi subito della somma ricevuta dalla p.o.;

proc. pen., per essere stato l’imputato condannato per il delitto di
estorsione aggravato dalla circostanza delle “più persone riunite”,
nonostante che tale aggravante non fosse stata contestata col
provvedimento conclusivo delle indagini preliminari, ma solo nell’ambito
del giudizio abbreviato non subordinato ad integrazione probatoria, e ciò
in violazione del disposto dell’art. 441 cod. proc. pen.;
3)

la mancanza e illogicità della motivazione della sentenza

impugnata, con riferimento al mancato riconoscimento dell’attenuante di
cui all’art. 62 n. 6 cod. pen., nonostante l’offerta reale di € 700 effettuata
dall’imputato in favore della p.o.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile per manifesta
infondatezza.
Le Sezioni Unite di questa Corte suprema hanno affermato il principio
di diritto secondo cui, «in tema di estorsione, il delitto deve considerarsi
consumato, e non solo tentato, allorché la cosa estorta venga consegnata
dal soggetto passivo all’estorsore, e ciò anche nelle ipotesi in cui sia
predisposto l’intervento della polizia giudiziaria che provveda
immediatamente all’arresto del reo ed alla restituzione del bene
all’avente diritto» (Cass., Sez. Un., n. 19 del 27/10/1999 Rv. 214642;
conf. Sez. 2, n. 27601 del 19/06/2009 Rv. 244671; Sez. 2, n. 1619 del
12/12/2012 Rv. 254450).
Nel caso di specie, è pacifico che gli imputati, tra cui l’odierno
ricorrente, trascinarono la p.o. (Busco Antonio) all’interno del “Bar dello
Sport” di Triggiano, ove si impossessarono del denaro estorto
(strappandolo di mano al Busco), prima che intervenissero i Carabinieri.

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2) la violazione degli artt. 628, comma 3 n. 1, cod. pen. e 441 cod.

Essendo i militari intervenuti dopo l’impossessamento della somma
da parte degli imputati, non è dubbio che l’estorsione si sia consumata, a
prescindere dal tempo per il quale sia durato il possesso del denaro da
parte dei rei.
2. Il secondo motivo di ricorso è infondato.
Con tale motivo di ricorso, il ricorrente denuncia la violazione degli

conseguente nullità della sentenza impugnata, per essere stato il D’Alba
condannato per il delitto di estorsione aggravato dalla circostanza delle
“più persone riunite”, pur essendo stata tale aggravante contestata dal
pubblico ministero non

ab origine

col provvedimento di esercizio

dell’azione penale, ma successivamente – in via suppletiva – nell’ambito
del giudizio abbreviato non subordinato ad integrazione probatoria
richiesto dall’imputato.
Com’è noto, la disposizione dell’art. 441, comma 1, cod. proc. pen.
esclude l’applicazione al giudizio abbreviato della disciplina relativa alla
“modificazione dell’imputazione” dettata dall’art. 423 cod. proc. pen. per
l’udienza preliminare; e la giurisprudenza di questa Corte ha già avuto
modo più volte di affermare che, nel corso di un giudizio abbreviato non
subordinato ad integrazione probatoria, non è applicabile la disposizione
di cui all’art. 423 cod. proc. pen. in tema di modifica dell’imputazione,
sicché il riconoscimento di una circostanza aggravante che non avrebbe
potuto essere oggetto di una contestazione suppletiva determina la
nullità della sentenza pronunciata all’esito di tale giudizio (Cass., Sez. 6,
n. 13117 del 19/01/2010 Rv. 246680; Sez. 3, n. 35624 del 11/07/2007
Rv. 237293; Sez. 4, n. 12259 del 14/02/2007 Rv. 236199).
Nel caso di specie, dal primo verbale del giudizio abbreviato (datato
19.3.2012) risulta che, presenti gli imputati e assistiti dai loro difensori di
fiducia,

«il P. M., con l’accordo dei difensori, integra l’imputazione

contestando agli imputati: “reato previsto e punito dagli artt. 110 e 629
co. 2 c.p. agendo in concorso e riuniti tra loro…”, il resto come già
riportato nella richiesta di rinvio a giudizio. Le parti prendono atto…».
Nella sentenza di primo grado, poi, il giudice riconosce la sussistenza
dell’aggravante delle più persone riunite contestata all’udienza camerale

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artt. 628, comma 3 n. 1, cod. pen. e 441 cod. proc. pen., e la

del 19.3.2012 «nulla opponendo i difensori, che hanno quindi accettato
tale integrazione della imputazione estorsiva, che è stata tenuta presente
anche in sede di arringa difensiva conclusiva».
Orbene, posto che il P.M. non avrebbe potuto effettuare la
contestazione suppletiva della suddetta aggravante nell’ambito del
giudizio abbreviato non condizionato e posto che la violazione della citata

sentenza (ossia limitatamente alla ritenuta aggravante), questa Corte è
chiamata a stabilire di quale tipo di nullità si tratti e a quale regime tale
nullità sia sottoposta.
La Corte di Appello ha respinto l’eccezione di nullità della sentenza di
primo grado formulata come motivo di appello, ritenendo la nullità sanata
ai sensi dell’art. 182, comma 2, cod. proc. pen., atteso che la
contestazione suppletiva è intervenuta “nulla opponendo” gli imputati
presenti e i loro difensori. Ma, secondo il ricorrente, la nullità in questione
avrebbe dovuto essere rilevata d’ufficio dal giudice, essendo ininfluente il
consenso o l’inerzia dei difensori.
È chiaro che la prima soluzione (quella adottata dalla Corte di
Appello) sottintende la qualificazione della nullità de qua come nullità a
regime intermedio ai sensi dell’art. 180 cod. proc. pen.; la seconda
(quella proposta dal difensore ricorrente) come nullità assoluta ai sensi
dell’art. 179 cod. proc. pen.
Il Collegio ritiene che la nullità

in parte qua della sentenza che,

concludendo il giudizio abbreviato non subordinato ad integrazione
probatoria, riconosca la sussistenza di una aggravante contestata in via
suppletiva dal P.M. in violazione del disposto dell’art. 441 comma 1 cod.
proc. pen., sia una nullità di ordine generale a regime intermedio.
A tale conclusione la Corte perviene rilevando l’impossibilità di
qualificare la nullità in questione come nullità di ordine generale ai sensi
dell’art. 178 lett. b) cod. proc. pen. siccome dipendente alla violazione di
norme concernenti «l’iniziativa del pubblico ministero nell’esercizio
dell’azione penale» (la sola violazione – tra quelle di cui alla lettera b)
relative all’attività del pubblico ministero – richiamata dall’art. 179 cod.
proc. pen. per individuare le figure di nullità assoluta).

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norma dell’art. 441 cod. proc. pen. importa la nullità in parte qua della

E infatti, la nullità concernente «l’iniziativa del pubblico ministero
nell’esercizio dell’azione penale» è posta a tutela delle prerogative
dell’organo pubblico titolare dell’azione penale e – correlativamente – a
salvaguardia del fondamentale “principio della domanda”, che è a base
del processo e che vuole che il giudice decida su un thema da altri fissato

(“ne procedat iudex ex officio”).

ministero nell’esercizio dell’azione penale» sussiste ove il giudice si
pronunci su fatti o su circostanze fattuali non contestate dal P.M.; essa,
invece, non sussiste ove l’iniziativa del pubblico ministero vi sia stata, ma
è stata male esercitata.
Orbene, se il pubblico ministero provvede – come nel caso di specie a formulare contestazioni suppletive in violazione del disposto dell’art.
441 comma 1 cod. proc. pen., è evidente che il bene giuridico che viene
leso non è costituito dalle prerogative del pubblico ministero nell’esercizio
dell’azione penale né dal fondamentale principio processuale che ripudia il
giudice che proceda d’ufficio. Infatti, il pubblico ministero non ha visto
invadere da altri i suoi compiti istituzionali, né il giudice ha pronunciato

ex officio.
Se il pubblico ministero provvede a formulate contestazioni
suppletive in violazione del disposto dell’art. 441 comma 1 cod. proc.
pen., il bene giuridico che risulta leso è, invece, costituito dal complesso
delle facoltà e dei poteri che la legge attribuisce all’imputato e al suo
difensore e che sono implicite nel “diritto di difesa”, i quali trovano
presidio nella disposizione di cui alla lettera c) dell’art. 178 cod. proc.
pen.
Invero, la nuova contestazione “a sorpresa” del pubblico mnistero
viola il diritto di difesa e lede le prerogative dell’imputato e dei suoi
difensori, i quali hanno optato per il giudizio abbreviato sulla base di una
determinata imputazione e vedono poi il giudice chiamato a pronunziarsi
su una imputazione diversa rispetto a quella da essi considerata ai fini
della scelta del rito.
Ciò vuol dire che la nullità della sentenza per violazione dell’art. 441
cod. proc. pen. è una nullità di carattere generale che discende dalla

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Ne deriva che la nullità concernente «l’iniziativa del pubblico

lettera c) dell’art. 178 cod. proc. pen., ossia dalla disposizione che
specificamente sanziona le violazioni del “diritto di difesa”.
Epperò, l’art. 179 cod. proc. pen. prevede che, tra le nullità di ordine
generale di cui all’art. 178 lett. c), costituiscono nullità assolute solo
quelle «derivanti dalla omessa citazione dell’imputato o di assenza del
difensore nei casi in cui ne è obbligatoria la presenza». Tutte le altre

regime di cui all’art. 180 cod. proc. pen. e sono soggette alla sanatoria ivi
prevista nonché alle sanatorie generali di cui agli artt. 182 e 183 cod.
proc. pen.
In tale regime ricade, dunque, anche la nullità pro parte della
sentenza derivante dalla irrituale contestazione suppletiva effettuata dal
pubblico ministero, che è soggetta alle suddette sanatorie.
Pertanto, nel caso di specie, gli imputati e i loro difensori avrebbero
potuto certamente opporsi alla irrituale contestazione suppletiva del
pubblico ministero e pretendere che il giudizio abbreviato si svolgesse sul
thema decidendum tracciato dalla originaria imputazione. Ma essi – con
una insindacabile scelta di opportunità – non si sono opposti; anzi hanno
consentito espressamente alla contestazione suppletiva dell’aggravante
mentre questa veniva effettuata e hanno svolto la discussione finale
senza formulare alcuna eccezione di nullità. Ne deriva che la nullità in
questione risulta sanata, non essendo stata eccepita dalla parte presente
prima del compimento dell’atto (art. 182, comma 2, cod. proc. pen.).
In definitiva, può formularsi il seguente principio di diritto: «Nel corso
di un giudizio abbreviato non subordinato ad integrazione probatoria,
poiché – ai sensi dell’art. 441 comma 1 cod. proc. pen. – non è
applicabile la disposizione di cui all’art. 423 cod. proc. pen. in tema di
modificazione dell’imputazione, il pubblico ministero non può procedere
alla contestazione suppletiva di eventuali aggravanti; nel caso in cui, in
violazione dell’art. 441 comma 1 cod. proc. pen., il pubblico ministero
proceda alla contestazione suppletiva di una aggravante e il giudice ne
riconosca la sussistenza, si determina la nullità della sentenza in parte
qua, nullità che è a regime intermedio ed è, pertanto, sanabile ai sensi

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nullità di ordine generale previste dall’art. 178 lett. c) ricadono nel

dell’art. 182, comma 2, cod. proc. pen., non potendo essere dedotta dalla
parte che vi ha assistito senza eccepirla».
Ne consegue il rigetto del motivo di ricorso.
3. L’ultimo motivo di ricorso è inammissibile.
Il ricorrente si duole della mancanza e illogicità della motivazione
della sentenza impugnata, con riferimento al diniego dell’attenuante di

dall’imputato in favore della p.o.
Epperò la Corte territoriale ha spiegato che l’offerta di risarcimento
non solo non risulta essere stata accettata dalla p.o., ma non appare
neppure adeguata rispetto all’entità degli effetti dannosi patiti dal Busco,
anche sotto il profilo psichico.
Tale motivazione non è manifestamente illogica né contraddittoria ed
è, pertanto, incensurabile in sede di legittimità.
4. In definitiva, il ricorso deve essere rigettato.
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che
rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto va condannata al
pagamento delle spese del procedimento.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione
Penale, addì 29 gennaio 2014.

cui all’art. 62 n. 6 cod. pen., nonostante l’offerta reale di € 700 effettuata

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