Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 11952 del 29/01/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 11952 Anno 2014
Presidente: PRESTIPINO ANTONIO
Relatore: LOMBARDO LUIGI GIOVANNI

SENTENZA
sul ricorso proposto da
TESCIONE Vincenzo, nato a Salerno il 20.2.1977;
avverso la sentenza della Corte di Appello di Trieste in data 18.12.2012;
Sentita la relazione del Consigliere Luigi Lombardo;
Udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale Carmine Stabile,
che ha concluso per il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza dell’11.1.2011, il Tribunale di Udine dichiarò Tescione
Vincenzo responsabile del delitto di appropriazione indebita aggravata
(per essersi impossessato, nella qualità di dipendente della PARMALAT
S.p.a., di denaro contante e di assegni bancari consegnatigli da vari
clienti come corrispettivo delle forniture ricevute) e, concesse le
attenuanti generiche, lo condannò alla pena, condizionalmente sospesa,
di mesi 7 di reclusione ed € 500 di multa, nonché al risarcimento del
danno in favore della PARMALAT S.p.a., costituitasi parte civile, liquidato
in € 18.000.
Avverso tale pronunzia l’imputato propose gravame e la Corte di
Appello di Trieste, con sentenza del 18.12.2012, concedette all’imputato

Data Udienza: 29/01/2014

il beneficio della non menzione della condanna, confermando nel resto la
decisione di primo grado.
Ricorre per cassazione il difensore dell’imputato, deducendo:
1) la violazione della legge processuale con riferimento al mancato
accoglimento della istanza di legittimo impedimento dell’imputato, il
quale aveva presentato certificazione medica attestante che lo stesso era
affetto da “lombalgia con blocco antalgico”, patologica che – a dire del

Tribunale di Udine;
2) la illogicità della motivazione e la violazione degli artt. 81 cpv.,
646 e 158 cod. pen., in relazione alla mancata declaratoria di estinzione
per prescrizione degli episodi di appropriazione indebita, riuniti sotto il
vincolo della continuazione, commessi nella prima metà dell’anno 2005,
trattandosi di delitti già estinti alla data della pronuncia della sentenza di
secondo grado;
3)

la illogicità della motivazione della sentenza impugnata con

riferimento alla ritenuta equivalenza delle attenuanti generiche rispetto
all’aggravante contestata, frutto di una erronea lettura della sentenza di
primo grado che aveva invece riconosciuto la prevalenza di tali attenuanti
sulla detta aggravate; ciò che avrebbe indotto la Corte di Appello a
rigettare la richiesta di riduzione della pena al minimo edittale;
4) la illogicità della motivazione della sentenza impugnata nella parte
in cui subordina il beneficio della sospensione condizionale della pena al
pagamento della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno, per
non avere i giudici di merito effettuato alcun giudizio prognostico circa
l’effettiva capacità economica dell’imputato di adempiere all’obbligazione
risarcitoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo è inammissibile perché manifestamente infondato.
Va premesso che, in tema di impedimento dell’imputato a comparire,
questa Corte ha dettato i seguenti principi di diritto:
a) è rimessa al giudice di merito la valutazione della gravità, della
attualità e del carattere assoluto dell’impedimento dell’imputato a
comparire, cosicché è legittimo il diniego del rinvio chiesto sulla base di
un certificato medico nel quale non sia stata indicata la prevedibile durata
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difensore – avrebbe impedito all’imputato di presentarsi dinanzi al

della malattia (Cass., Sez. 5, n. 43373 del 06/10/2005 Rv. 233079);
b) è legittimo il provvedimento con cui il giudice di merito – investito
di una richiesta di rinvio per impedimento dell’imputato a comparire con
allegato certificato medico che si limiti ad attestare l’infermità di per sé
non invalidante (nella specie, “colica renale”) e la prognosi, senza nulla
affermare in ordine alla determinazione dell’impossibilità fisica assoluta di
comparire – abbia ritenuto l’insussistenza del dedotto impedimento e

26/02/2008 Rv. 240352);
c) parimenti legittimo è il provvedimento con cui il giudice di merito
rigetti l’istanza di rinvio per impedimento dell’imputato a comparire sulla
base di certificato medico che dà atto del ricovero in ospedale per cure
inerenti un’infermità di per sé non invalidante (nella specie, “disturbo
ansioso depressivo con gravi manifestazioni fobiche”), senza nulla
indicare sull’impossibilità fisica assoluta di comparire (Cass., Sez. 2, n.
42595 del 27/10/2009 Rv. 255119);
d)

la prova del legittimo impedimento deve essere fornita

dall’imputato ai fini della dimostrazione dell’assoluta impossibilità di
comparizione (art. 420 ter cod. proc. pen.) e nessun obbligo ha il giudice
di merito di disporre accertamenti al fine di completare l’insufficiente
documentazione prodotta, che non abbia attestato univocamente la
suddetta “assoluta impossibilità” (Cass., Sez. 5, n. 48284 del 10/11/2004
Rv. 230366).
Orbene, nel caso di specie, risulta dagli atti che, all’udienza del
2.11.2010 (nella quale fu dichiarata la contumacia dell’imputato), il
difensore ha dedotto il legittimo impedimento del Tescione, producendo
una certificazione medica datata 29.10.2010, nella quale si attestava che
il Tescione Vincenzo era affetto da «lombalgia con blocco antalgico», che
lo stesso riferiva «di essere ammalato dallo stesso giorno» e che la
prognosi era di gg. 6.
Il giudice ha ritenuto che la patologia indicata nel referto medico non
costituisse impedimento dell’imputato a presenziare al dibattimento e lo
ha dichiarato contumace.
Tale valutazione del giudice di merito non è sindacabile in sede di
legittimità, considerato che essa è conforme ai principi di diritto sopra

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dichiarato la contumacia dell’imputato (Cass., Sez. 6, n. 24398 del

enunciato e che non è manifestamente illogica, anzi appare aderente alla
documentazione presentata, dalla quale non risulta l’impossibilità fisica
dell’imputato a comparire e a partecipare al dibattimento.
2. Il secondo motivo di ricorso è fondato.
Invero, i fatti di appropriazione indebita commessi fino al 29.7.2006
risultano estinti per prescrizione.. Pertanto, relativamente a tali reati, la
sentenza impugnata va annullata, con rinvio alla Corte di Appello per la

3. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile, perché manifestamente
infondato.
Deve rilevarsi, infatti, che il difensore ha proposto appello chiedendo
il giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulla
aggravante contestata, nonostante che il giudice di primo grado – nella
motivazione della sentenza – avesse già espressamente dichiarato tali
attenuanti prevalenti e avesse apportato la conseguente diminuzione
della pena.
La Corte di Appello, poi, tratta in errore da tale censura difensiva, ha
negato il giudizio di prevalenza, non considerando che esso era stato già
riconosciuto dal giudice di primo grado.
Tuttavia, tale errore (come quello del primo giudice che, per mero
lapsus calami, nel dispositivo della sentenza ha dichiarato le circostanze
attenuanti generiche equivalenti all’aggravante contestata, in contrasto
col calcolo effettivamente compiuto) è solo di carattere formale e non ha
inciso sulla quantificazione della pena.
Infatti, la Corte territoriale ha confermato la quantificazione della
pena compiuta dal Tribunale, il quale – a sua volta – aveva determinato
la pena finale, diminuendo la pena-base per la concessione delle
attenuanti generiche, dichiarate espressamente (nella motivazione della
sentenza di primo grado) “prevalenti” sulla aggravante. Non sussiste,
pertanto, l’asserito errore nel calcolo della pena.
D’altra parte, neppure può sostenersi che l’errore della Corte di
Appello circa il giudizio di “prevalenza/equivalenza” delle attenuanti
generiche abbia inciso sul suo diniego di diminuzione della pena, il quale
è invece autonomamente fondato su altre circostanze valutate dalla Corte

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rideterminazione della pena per le fattispecie di reato non estinte.

territoriale (entità del danno, gravità dell’abuso di fiducia, assenza di
sintomi di resipiscenza) che ben lo giustificano.
4. Quanto all’ultimo motivo di ricorso, col quale si lamenta la illogicità
della motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui subordina il
beneficio della sospensione condizionale della pena al pagamento della
somma liquidata a titolo di risarcimento del danno, trattasi di motivo
inammissibile ai sensi dell’art. 606, comma 3, cod. proc. pen., perché

Invero, la doglianza non risulta essere stata previamente dedotta
come motivo di appello, come si evince dal riepilogo dei motivi di
gravame riportato nella sentenza impugnata (f. 4 s.), che l’odierno
ricorrente avrebbe dovuto contestare specificamente nell’odierno ricorso,
se incompleto o comunque non corretto.
5. Ai sensi dell’art. 578 cod. proc. pen., nel dichiarare l’estinzione dei
reati commessi fino al 29.7.2006 perché estinti per prescrizione,
risultando comunque i fatti accertati e la responsabilità dell’imputato
conclamata (il ricorso per cassazione non contiene neanche censure
relative al giudizio di responsabilità dell’imputato), vanno confermate
tutte le statuizioni civili adottate dai giudici di merito.
P. Q. M.

La Corte Suprema di Cassazione
annulla senza rinvio la sentenza impugnata relativamente ai reati
commessi fino al 29.7.2006 perché estinti per prescrizione; dichiara
irrevocabile l’affermazione di responsabilità del ricorrente per i fatti
successivi e rinvia ad altra sezione della Corte di Appello di Trieste per
una nuova determinazione della pena; conferma tutte le statuizioni civili;
dichiara inammissibile nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione
Penale, addì 29 gennaio 2014.

dedotto per la prima volta col ricorso per cassazione.

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