Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 11950 del 29/01/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 11950 Anno 2014
Presidente: PRESTIPINO ANTONIO
Relatore: LOMBARDO LUIGI GIOVANNI

SENTENZA
sul ricorso proposto da
KURTI Adem, n. il 28.1.1992;
avverso la sentenza della Corte di Appello di Napoli del 31.1.2013;
Sentita la relazione del Consigliere Luigi Lombardo;
Udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale Carmine Stabile,
che ha concluso per il rigetto del ricorso;

RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 9.2.2012, il Tribunale di Santa Maria Capua
Vetere dichiarò Kurti Adem responsabile dei reati di rapina, lesioni
personali, furto aggravato, porto di oggetti atti ad offendere, tentato
furto aggravato e, unificati i reati sotto il vincolo della continuazione, lo
condannò alla pena di anni 8 mesi 3 di reclusione ed C 1.800,00 di multa.
Avverso tale pronunzia l’imputato propose gravame e la Corte di
Appello di Napoli, con sentenza del 31.1.2013, ritenuto il delitto di furto
aggravato dell’autovettura di Aulicino Pasquale assorbito in quello di
rapina in danno del medesimo, ridusse la pena ad anni 7 mesi 1 di
reclusione ed 1.550,00 di multa.

Data Udienza: 29/01/2014

Ricorre per cassazione personalmente l’imputato, deducendo:
1) la violazione dell’art. 585, comma 4, cod. proc. pen., per avere
la Corte di Appello dichiarato inammissibili i motivi di appello nuovi
presentati dal difensore, con i quali si chiedeva

l’esclusione

dell’aggravante dell’uso delle armi per il delitto di rapina di cui al capo A)
e l’esclusione dell’aggravante di cui all’art. 61 n. 2 cod. pen. per il delitto

2)

la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della

motivazione della sentenza impugnata, con particolare riferimento alla
mancata riduzione delle pene inflitte, alla mancata esclusione
dell’aggravante dell’uso delle armi e di quella ci cui all’art. 61 n. 2 cod.
pen., alla mancata concessione della attenuanti generiche.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso risulta inammissibile per manifesta
infondatezza.
Questa Corte ha più volte statuito che i motivi nuovi di
impugnazione debbono essere inerenti ai temi specificati nei capi e punti
della decisione investiti dall’impugnazione principale già presentata,
essendo necessaria la sussistenza di una connessione funzionale tra i
motivi nuovi e quelli originari (Cass., Sez. 1, n. 5182 del 15/01/2013 Rv.
254485; Sez. 6, n. 73 del 21/09/2011 Rv. 251780; Sez. 3, Sentenza n.
14776 del 22/01/2004 Rv. 228525); e ha precisato che, nel giudizio di
cassazione, l’omessa motivazione in ordine ai motivi nuovi ritualmente
depositati dall’appellante non comporta automatica nullità della sentenza
di appello, dovendo il giudice di legittimità valutare se non si tratti di
motivi manifestamente infondati o altrimenti inammissibili o comunque
non concernenti un punto decisivo, oppure se la motivazione della
sentenza impugnata non contenga argomentazioni e accertamenti che
risultino incompatibili con tali motivi o siano tali da consentire alla Corte
stessa di procedere ad una integrazione della motivazione sulla base degli
argomenti posti a fondamento delle sentenze di primo e di secondo grado
(Sez. 3, n. 10156 del 01/02/2002 Rv. 221114).
Nel caso di specie, manca la necessaria connessione funzionale tra
i motivi di appello nuovi e quelli originari, non avendo peraltro lo stesso

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di lesioni personali di cui al capo B);

appellante dedotto neanche implicitamente, con l’appello principale, le
censure poi avanzate coi motivi aggiunti. E infatti, con l’atto di appello
principale, si era chiesta l’assoluzione dell’imputato per il delitto di lesioni
personali di cui al capo B) e l’applicazione dell’art. 116 cod. pen. per il
delitto di rapina di cui al capo A); mentre, con i motivi aggiunti, è stata
chiesta l’esclusione dell’aggravante dell’uso delle armi per il delitto di cui

per il delitto di cui al capo B).
In ogni caso, deve rilevarsi che su entrambe le questioni sollevate
con i motivi aggiunti la Corte di Appello ha esplicitamente motivato nella
sentenza impugnata (f. 6, capoversi 2° e 3°), chiarendo – con
motivazione immune da vizi logici – le ragioni della impossibilità di
escludere per l’odierno ricorrente l’aggravante dell’uso dell’arma
contestata per il capo A) e l’aggravante di cui all’art. 61 n. 2 cod. pen.
per il capo B) (ribadendo, in proposito, come la violenza e l’uso delle armi
siano da ascrivere a tutti i correi e come tale violenza e le lesioni
seguitene siano state funzionalmente collegate alla commissione della
rapina). Deve pertanto escludersi in radice la denunciata nullità della
sentenza impugnata.
2. Anche il secondo motivo di ricorso risulta inammissibile.
Con tale motivo si lamenta la mancanza e illogicità della
motivazione della sentenza impugnata in ordine alla mancata riduzione
delle pene inflitte, alla mancata esclusione dell’aggravante dell’uso delle
armi e di quella di cui all’art. 61 n. 2 cod. pen., alla mancata concessione
della attenuanti generiche; ma appare evidente come il ricorrente
sottoponga alla Corte censure di merito, inammissibili in sede di
legittimità.
E invero come hanno statuito più volte le Sezioni Unite di questa
Corte «L’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione
ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di
cassazione essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a
riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti
della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza
delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per

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al capo A) e l’esclusione dell’aggravante di cui all’art. 61 n. 2 cod. pen.

sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni
processuali. L’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve
essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile “ictu °cuti”,
dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di
macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e
considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non

decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le
ragioni del convincimento» (Cass., sez. un., n. 24 del 24.11.1999 Rv
214794; Sez. un., n. 47289 del 24/09/2003 Rv. 226074).
Nel caso di specie, i giudici di merito hanno chiarito, con dovizia di
argomenti, le ragioni della loro decisione (richiamando, tra l’altro, in
ordine alla quantificazione della pena, la gravità dei fatti e la
“notevolissima capacità criminale” dimostrata dall’imputato; mentre, per
quanto riguarda l’esclusione delle aggravanti, si rimanda a quanto
rilevato a proposito del primo motivo di ricorso); non si ritiene, peraltro per ovvi motivi – di riportare qui integralmente tutte le suddette
argomentazioni, sembrando sufficiente al Collegio far rilevare che le
stesse non sono manifestamente illogiche; e che, anzi, l’estensore della
sentenza ha esposto in modo ordinato e coerente le ragioni che
giustificano la decisione adottata, la quale perciò resiste alle censure del
ricorrente sul punto.
Né maggior pregio ha la doglianza con la quale si lamenta che i
complici del ricorrente sono stati condannati a pena significativamente
inferiore rispetto al Kurti. A parte l’inammissibilità della doglianza, che
riveste carattere di merito e non di legittimità, è agevole rilevare che tali
complici sono stati assolti da alcuni capi di imputazione (E ed F della
rubrica), in ordine ai quali il Kurti è stato invece riconosciuto colpevole e,
inoltre, hanno potuto fruire dello sconto di pena previsto dall’art. 442
cod. proc. pen. per avere chiesto di essere giudicati col rito abbreviato
(non richiesto – invece – dal ricorrente).
3. Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che
dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve

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espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la

essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonché ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della
somma di euro mille, così equitativamente fissata in ragione dei motivi
dedotti.
P. Q. M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro mille alla Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione
Penale, addì 29 gennaio 2014.

La Corte Suprema di Cassazione

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