Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 11948 del 29/01/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 11948 Anno 2014
Presidente: PRESTIPINO ANTONIO
Relatore: LOMBARDO LUIGI GIOVANNI

SENTENZA
sul ricorso proposto da
1) TERRACCIANO Raffaele, nato a Cercola il 18.1.1972;
2) SBARRA Antonio, nato a Napoli il 22.1.1966;
avverso la sentenza della Corte di Appello di Napoli del 5.11.2012;
Sentita la relazione del Consigliere Luigi Lombardo;
Udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale Carmine Stabile,
che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;
Udito i difensori, Avv.ti Bruno Botti e Marco Bassetta, che hanno concluso
chiedendo l’accoglimento dei ricorsi;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 9.2.2012, il G.U.P. del Tribunale di Napoli, in
esito al giudizio abbreviato, dichiarò Terracciano Raffaele e Sbarra
Antonio responsabili dei delitti di estorsione e di tentata estorsione posti
in essere nei confronti di titolari di imprese commerciali, delitti entrambi
aggravati dall’art. 7 D.L. n. 152/1991 per avere gli imputati commesso i
fatti avvalendosi delle condizioni di cui all’art. 416 bis cod. pen. e al fine
di agevolare l’associazione camorristica denominata clan “Arlistico-

Data Udienza: 29/01/2014

Terracciano”) e, unificati i reati sotto il vincolo della continuazione,
condannò il Terracciano alla pena di anni 8 di reclusione ed C 1.800,00 di
multa e lo Sbarra alla pena di anni 6 di reclusione ed C 1.400,00 di
multa.
Avverso tale pronunzia l’imputato propose gravame e la Corte di
Appello di Napoli, con sentenza del 5.11.2012, confermò la decisione di

applicazione della continuazione tra i reati oggetto del processo e i reati
di partecipazione ad associazione camorristica e partecipazione ad
associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, per i quali il
Terracciano con sentenza della Corte di Appello di Napoli del 21.2.2006
(passata in cosa giudicata) era stato previamente condannato alla pena
di anni 10 di reclusione – rideterminò la pena complessiva, per le due
condanne, nella misura di anni 15 e mesi 4 di reclusione.
Ricorre per cassazione il difensore di Terracciano Raffaele,
deducendo:
1) la violazione dell’art. 81 cpv. cod. pen. per avere erroneamente
la Corte di Appello – nell’applicare la continuazione tra i reati oggetto del
presente procedimento e i reati di cui alla sentenza della Corte di Appello
di Napoli del 21.2.2006 – considerato come pena-base per il reato più
grave quella di anni quindici di reclusione, che invece costituiva il
risultato di precedenti aumenti di pena a seguito dell’applicazione della
continuazione per altri reati e per non avere rideterminato in modo
autonomo gli aumenti di pena da apportare per i reati di cui alla sentenza
passata in giudicato;
2)

la mancanza e illogicità della motivazione della sentenza

impugnata, per non avere la Corte di Appello motivato né in ordine alla
scelta del reato più grave da porre a base del calcolo della pena, né in
ordine agli stessi aumenti di pena apportati sulla pena-base per il reato
più grave in ragione della riconosciuta continuazione.
Ricorre per cassazione anche il difensore di Sbarra Antonio,
deducendo:
1) la violazione dell’art. 191 cod. proc. pen. e la mancanza della
motivazione in relazione al rigetto della doglianza di appello sul punto,

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primo grado per lo Sbarra, mentre per il Terracciano – previa

per essere stata sottoposta ad intercettazione l’utenza telefonica della
p.o. Greco Laura (della ditta “De Falco”) in assenza di notitia criminis in
suo danno e in assenza delle condizioni che permettevano, da parte del
P.M. della D.D.A. di Napoli, l’emissione di decreto di intercettazione in
caso d’urgenza e, da parte del G.I.P., la convalida di tale decreto;
2) la nullità della sentenza in relazione alla ritenuta sussistenza

3) la mancanza di motivazione della sentenza sul rigetto della
richiesta di rinnovazione del dibattimento per acquisire un filmato
eseguito dalla P.G.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Entrambi i motivi di ricorso proposti dal Terracciano risultano
infondati.
Infondata è innanzitutto la censura secondo cui la Corte di Appello
avrebbe considerato come pena base per il reato più grave quella di anni
quindici di reclusione.
La Corte di Appello di Napoli, con la sentenza impugnata, ha
riconosciuto la continuazione tra i reati oggetto del presente
procedimento e i reati di cui alla sentenza della Corte di Appello di Napoli
del 21.2.2006; essa, ai fini del calcolo della pena, ha preso le mosse dalla
precedente sentenza passata in giudicato, alla quale espressamente
rinvia (f. 4), di modo che le due pronunce devono essere lette nella loro
unità.
Orbene, dalla lettura unitaria delle due sentenze, risulta che la
Corte di Appello, con la sentenza impugnata, ha inteso mutuare la
individuazione del reato più grave di cui alla precedente sentenza passata
in giudicato; cosicché deve ritenersi che la Corte territoriale ha
individuato il reato più grave – secondo la precedente sentenza passata
in giudicato – nel delitto di cui all’art. 74 D.P.R. n. 309/1990; ha poi
applicato (mediante rinvio

per relationem) alla pena commisurata per tale

reato (anni 10) gli aumenti di pena per gli ulteriori reati di cui alla
sentenza della Corte di Appello di Napoli del 21.2.2006 (nella medesima
misura determinata in tale sentenza, fino ad anni 15); ha, infine,
apportato – alla pena così determinata – gli ulteriori aumenti di pena per i

dell’aggravante di cui all’art. 628 comma 3 cod. pen.;

reati di oggetto del presente procedimento, che ha poi diminuito per il
rito fino a pervenire alla pena complessiva e finale di anni 15 mesi 4 di
reclusione. Non sussiste, pertanto, la pretesa violazione dell’art. 81 cpv.
cod. pen.
Non sussiste, poi, neppure l’asserito difetto di motivazione in
ordine alla scelta del reato più grave da porre a base del calcolo della

riconosciuta continuazione, sulla pena-base per il reato più grave.
Invero, la scelta del reato di cui all’art. 74 D.P.R. n. 309/1990 non
abbisognava di particolare motivazione, trattandosi del reato punito con
la pena minima più elevata (dieci anni); la quantificazione della pena per
tale reato non abbisognava di particolare motivazione, in quanto – avendo
scelto il giudice di irrogare la pena minima – era sufficiente il richiamo al
criterio di adeguatezza della pena nel quale sono impliciti gli elementi di
cui all’art. 133 cod. pen. (cfr. Cass., Sez. 2, n. 28852 del 08/05/2013 Rv.
256464); non sussiste, poi, l’obbligo di specifica motivazione per gli
aumenti di pena a titolo di continuazione, essendo sufficiente il generico
riferimento alle modalità dei fatti e ai precedenti degli imputati
menzionati a sostegno della quantificazione della pena-base (Cass., Sez.
5, n. 27382 del 28/04/2011 Rv. 250465).
2. Anche i motivi di ricorso proposti dallo Sbarra sono privi di
fondamento.
2.1. È inammissibile il primo motivo del ricorso dello Sbarra col
quale si lamenta la violazione dell’art. 191 cod. proc. pen. e la mancanza
della motivazione in relazione al rigetto della doglianza di appello sul
punto, per essere stata sottoposta ad intercettazione l’utenza telefonica
della p.o. Greco Laura (della ditta “De Falco”) in assenza di

notitia

criminis in suo danno e in assenza delle condizioni che permettevano
l’emissione da parte del P.M. della D.D.A. di Napoli di decreto d’urgenza e
la convalida di tale decreto da parte del G.I.P.
La Corte di Appello ha spiegato (f. 4) le ragioni per le quali ha
ritenuto sussistenti le condizioni che legittimavano la intercettazione della
utenza della Greco, richiamando i risultati delle precedenti attività
captative e delle informative di polizia giudiziaria «da cui emergeva

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pena, né in ordine agli aumenti di pena apportati, in ragione della

l’imposizione di tangenti e servizi di vigilanza privata pretese con la forza
dall’intimidazione esercitata dalla società di vigilanza privata “La
vedetta”».
La contraria affermazione del ricorrente risulta generica; manca
inoltre, nel motivo di ricorso, la trascrizione del contenuto degli atti che, a
dire del ricorrente, smentirebbero le affermazioni dei giudici di merito.

conseguente inammissibilità della censura.
Come ha statuito questa Corte, è inammissibile il ricorso per
cassazione che deduca il vizio di manifesta illogicità della motivazione e,
pur richiamando atti specificamente indicati, non contenga la loro
integrale trascrizione o allegazione, così da rendere lo stesso
autosufficiente con riferimento alle relative doglianze (Cass, Sez. 2, n.
26725 del 01/03/2013 Rv. 256723); e ancora, il ricorso per errore
materiale o di fatto, in virtù del principio di autosufficienza (desumibile
dall’art. 606, comma primo, lett. e), cod. proc. pen.), deve, a pena di
inammissibilità, indicare specificamente l’elemento materiale od il fatto
erroneo ed allegare gli atti processuali da cui risulti l’errore (Sez. 2, n.
11806 del 20/12/2011 Rv. 252794).
2.2. Il secondo motivo di ricorso dello Sbarra – col quale si deduce
la mancata contestazione dell’aggravante di cui all’art. 628, comma 3, n.
3, cod. pen. («se la violenza o la minaccia è posta in essere da persona
che fa parte dell’associazione di cui all’art. 416-bis cod. pen.») – risulta
inammissibile e comunque infondato.
Il motivo è inammissibile, ai sensi dell’art. 606, comma 3, cod.
proc. pen., perché dedotto per la prima volta col ricorso per cassazione.
Invero, la doglianza non risulta essere stata previamente dedotta come
motivo di appello, come si evince dall’esame dei motivi di gravame
riassunti nella sentenza impugnata (f. 4 s.), che l’odierno ricorrente
avrebbe dovuto contestare specificamente nell’odierno ricorso, se
incompleti o comunque non corretti.
In ogni caso, poi, il motivo è infondato.
Invero le estorsioni contestate risultano aggravate da tre
circostanze:

Risulta così violato il principio di autosufficienza del ricorso, con

1) l’aggravante di cui all’art. 628, comma 3, n. 3, cod. pen.,
laddove si contestano «minacce consistite nell’essersi presentati quali
emissari del clan camorristico Arlistico-Terracciano, egemone sul
territorio, con ciò implicitamente avvalendosi della carico di intimidazione
derivante da quell’appartenenza»;
2)

l’aggravante di cui all’art. 628, comma 3, n. 1, cod. pen.,

persone riunite»
3) infine l’aggravante di cui all’art. 7 D.L. n. 152/1991 per «aver
posto in essere le condotte avvalendosi delle condizioni di cui all’art. 416
bis cod. pen. e al fine di agevolare l’associazione camorristica di
appartenenza, denominata clan Arlistico-Terracciano».
È evidente pertanto che l’aggravante di cui all’art. 628, comma 3,
n. 3, cod. pen. è stata contestata autonomamente rispetto alle altre
aggravanti e non può essere confusa con le altre.
Quanto poi alla ritenuta ricorrenza dell’aggravante delle persone
riunite, rispetto alla quale si deduce che lo Sbarra si è limitato a fungere
da “vedetta”, anche la censura sul punto è priva di fondamento.
La Corte di Appello ha ritenuto la sussistenza dell’aggravante de
qua sulla base del rilievo che lo Sbarra si è presentato col Terracciano alle
pp.00. e che la sua presenza, nel momento della commissione delle
estorsioni, è stata chiaramente percepita dalle stesse.
La motivazione dei giudici di merito sul punto è immune da censure
e conforme all’insegnamento di questa Corte.
E invero, questa Corte suprema ha statuito che: nel reato di
estorsione, la circostanza aggravante speciale delle più persone riunite
richiede la simultanea presenza di non meno di due persone nel luogo ed
al momento di realizzazione della violenza o della minaccia (Cass., Sez.
Un., n. 21837 del 29/03/2012 Rv. 252518); ai fini dell’esistenza
dell’aggravante delle più persone riunite per il delitto di rapina, è
necessaria la simultanea effettiva presenza delle più persone nel luogo in
cui la violenza e la minaccia si realizzano ed è del tutto irrilevante che il
fatto venga commesso materialmente da una sola persona, qualora l’altra
si trovi a brevissima distanza a far da “palo” e cioè a contribuire

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essendo contestato il «fatto aggravato dall’essere stato commesso in più

attivamente alla realizzazione del crimine (Cass., Sez. 2, n. 12958 del
26/03/1987 Rv. 177288); la circostanza aggravante delle più persone
riunite nel delitto di rapina sussiste anche se una delle persone
concorrenti non abbia posto in essere personalmente alcuna violenza o
minaccia, ma abbia tuttavia fornito un proprio contributo alla
commissione del delitto (nella specie il concorrente fungeva da “palo”)

Il motivo di ricorso deve pertanto essere respinto.
2.3. È inammissibile, infine, l’ultimo motivo di ricorso proposto
dalla Sbarra, col quale si deduce la mancanza di motivazione della
sentenza in ordine al rigetto della richiesta di rinnovazione del
dibattimento allo scopo di acquisire un filmato eseguito dalla P.G.
La Corte di Appello ha congruamente motivato tale diniego,
sottolineando la inutilità della acquisizione richiesta in presenza della già
avvenuta acquisizione di diversi fotogrammi dai quali sono state
estrapolare immagini nitide, più che sufficienti, unitamente alle prove
acquisite aliunde

(anche attraverso le conversazioni intercettate), a

consentire di decidere nel merito. La Corte territoriale ha, dunque,
escluso, la sussistenza della condizione (“impossibilità di decidere allo
stato degli atti”) cui l’art. 603 comma 1 cod. proc. pen. subordina la
rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, con una motivazione che è
priva di vizi logici e, perciò, insindacabile in sede di legittimità.
3. I ricorsi devono pertanto essere rigettati.
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che
rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere
condannata al pagamento delle spese del procedimento.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione
rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione
Penale, addì 29 gennaio 2014.

(Cass., Sez. 1, Sentenza n. 6117 del 09/02/1981 Rv. 149461).

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