Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 11947 del 29/01/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 11947 Anno 2014
Presidente: PRESTIPINO ANTONIO
Relatore: LOMBARDO LUIGI GIOVANNI

SENTENZA
sul ricorso proposto da
1) PISCITELLI Gennaro, nato a Napoli il 7.12.1981;
2) SERRAPIGLIA Ciro, nato a Napoli il 9.3.1972;
avverso la sentenza della Corte di Appello di Napoli in data 28.11.2012;
Sentita la relazione del Consigliere Luigi Lombardo;
Udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale Carmine Stabile,
che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;
Udito, per la parte civile “Coordinamento Napoletano delle Associazioni
Antiracket”, l’Avv. Marco Bassetta, che ha concluso per il rigetto dei
ricorsi;
Udito i difensori Avv.ti Paola Armellini e Saverio Senese, che ha concluso
chiedendo l’accoglimento dei ricorsi;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza dell’11.11.2011, il G.U.P. del Tribunale di Napoli, in
esito a giudizio abbreviato, dichiarò Piscitelli Gennaro e Serrapiglia Ciro
responsabili di estorsione aggravata dall’art. 7 D.L. n. 152/1991

Data Udienza: 29/01/2014

(commessa al fine di avvantaggiare il clan “Moccia” egenome nel
territorio di Afragola e Casoria, facente parte della camorra napoletana)in concorso con Muto Antonio, Puzio Antonio e Puzio Giuseppe – e li
condannò alla pena di anni 6 di reclusione ed C 1600,00 di multa
ciascuno, oltre alla condanna al risarcimento del danno, da liquidarsi in
separata sede, in favore delle parti civili costituite.

di Appello di Napoli, con sentenza del 28.11.2012, confermò la condanna
loro inflitta, riducendo la pena, per entrambi gli imputati, ad anni 5 di
reclusione ed C 1400,00 di multa.
Ricorrono personalmente per cassazione i due imputati.
Il Piscitelli deduce:
1) la violazione dell’art. 114 cod. pen., nonché la mancanza e
manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata con
riferimento alla mancata concessione dell’attenuante della minima
importanza del contributo nella commissione del reato; deduce, in
proposito, come la Corte di Appello abbia illogicamente ritenuto i fatti
ascritti di particolare gravità e non abbia considerato che il Piscitelli non
aveva preso parte alla aggressione della vittima e aveva partecipato ad
un solo episodio della vicenda criminosa;
2) la nullità della sentenza e la mancanza e manifesta illogicità
della sua motivazione, per non avere la Corte di Appello illustrato la
ricostruzione dei fatti addebitati ad esso imputato e per non avere
illustrato

l’iter

logico

seguito

per

riconoscere

la

sussistenza

dell’aggravante di cui all’art. 7 D.L. n. 152/1991.
Il Serrapiglia deduce la mancanza e la manifesta illogicità della
motivazione della sentenza impugnata con riferimento alla mancata
concessione delle circostanze attenuati generiche invocate dalla difesa;
deduce, in proposito, come la Corte di Appello non abbia tenuto in alcun
conto l’offerta della somma di euro 2000,00 (a titolo di risarcimento del
danno) rivolta dall’imputato alla persona offesa e abbia, anzi,
illogicamente motivato la mancata concessione delle invocate attenuanti
col rilievo che gli imputati

“non hanno dimostrato alcuna forma di

effettiva resipiscenza per l’accaduto, provvedendo, ad esempio, ad

2

Avverso tale pronunzia gli imputati proposero gravame e la Corte

elidere le conseguenze dannose del reato”,

in tal modo non tenendo

conto delle risultanze processuali.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso del Piscitelli è inammissibile.
Va innanzitutto ricordato che, come questa Corte ha
costantemente affermato, in tema di concorso di persone nel reato, ai fini

(art. 114 cod. pen.), non è sufficiente una minore efficacia causale
dell’attività prestata da un correo rispetto a quella realizzata dagli altri,
ma è necessario che il contributo dato si sia concretizzato nell’assunzione
di un ruolo di rilevanza del tutto marginale, ossia di efficacia causale così
lieve rispetto all’evento da risultare trascurabile nell’economia generale
dell’iter criminoso (Cass., Sez. 2, n. 835 del 18/12/2012 Rv. 254051;
Sez. 1, n. 26031 del 09/05/2013 Rv. 256035).
L’apprezzamento della sussistenza di tale minimo contributo alla
commissione del reato costituisce valutazione di merito, che non è
censurabile in sede di legittimità se congruamente motivato.
Nel caso di specie, la Corte di Appello ha spiegato (f. 7 della
sentenza) le ragioni per le quali ha ritenuto che il contributo causale del
Piscitelli nella commissione della estorsione non fosse minimo (il
riferimento è al 2.10.2009, allorquando il Piscitelli si presentò presso
l’agenzia del Rea per rinnovare la richiesta estorsiva). La motivazione sul
punto, risultando priva di vizi logici, è insindacabile da parte di questa
Corte.
Inammissibile è anche l’altro motivo di ricorso del Piscitelli, col
quale si lamenta la mancanza e manifesta illogicità della sua motivazione,
per non avere la Corte di Appello illustrato la ricostruzione dei fatti
addebitati ad esso imputato e per non avere illustrato l’iter logico seguito
per riconoscere la sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 7 D.L. n.
152/1991.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, «in tema di
sentenza penale di appello, non sussiste mancanza o vizio della
motivazione allorquando i giudici di secondo grado, in conseguenza della
completezza e della correttezza dell’indagine svolta in primo grado,

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dell’integrazione della circostanza attenuante della minima partecipazione

nonché della corrispondente motivazione, seguano le grandi linee del
discorso del primo giudice. Ed invero, le motivazioni della sentenza di
primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo
in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare
riferimento per giudicare della congruità della motivazione» (Cass., Sez.
3, n. 4700 del 14.2.1994 Rv 197497; Cass., Sez. 2, n. 11220 del

Ne deriva che, nel caso di “doppia conforme”, ai fini della
valutazione della congruità della motivazione del provvedimento
impugnato, la Corte di legittimità deve leggere la sentenza di secondo
grado unitariamente alla sentenza di primo grado che ne risulta
confermata, potendo peraltro il giudice di appello che abbia condiviso le
argomentazioni del primo giudice, rinviare ad esse, senza necessità di
reiterarle.
Nel caso di specie, a parte la riduzione della entità delle pene
operata dalla Corte di Appello, la sentenza di secondo grado è
pienamente confermativa della prima, sicché le due pronunzie vanno lette
nel loro complesso unitario.
Orbene, proprio nella sentenza di primo grado è puntualmente
ricostruito il ruolo svolto dal Piscitelli nella commissione dei reati (f. 85
ss.) ed è ampiamente motivato il riconoscimento della sussistenza
dell’aggravante di cui all’art. 7 D.L. n. 152/1991. Avverso tale
motivazione nessuna specifica censura muove il ricorrente, risultando così
il motivo di ricorso inammissibile per genericità.
2. Anche il ricorso del Serrapiglia risulta inammissibile.
Va innanzitutto dichiarata inammissibile – ai sensi dell’art. 606,
comma 3, cod. proc. pen. – il motivo relativo al mancato riconoscimento
dell’attenuate del risarcimento del danno, perché dedotto per la prima
volta col ricorso per cassazione.
Invero, la doglianza non risulta essere stata previamente dedotta
come motivo di appello, come si evince dal riepilogo dei motivi di
gravame riportato nella sentenza impugnata (f. 4 s.), che l’odierno
ricorrente avrebbe dovuto contestare specificamente nell’odierno ricorso,
se incompleto o comunque non corretto.

4

13.11.1997 Rv 209145).

Quanto al diniego delle circostanze attenuati generiche, la
motivazione della Corte di Appello (che richiama i precedenti specifici
dell’imputato e la particolare gravità del fatto inserito in un contesto di
criminalità organizzata) è completa e immune da vizi logici, risultando
così incensurabile in sede di legittimità.
Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.

assorbite.
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che
dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve
essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonché ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della
somma di euro mille, così equitativamente fissata in ragione dei motivi
dedotti.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione
dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle
spese processuali Ndela somma di euro mille alla Cassa delle ammende,
nonché in solido alla refusione delle spese processuali sostenute dalla
parte civile “Coordinamento Napoletano delle Associazioni Antiracket” nel
presente giudizio, che liquida nella somma di euro 3.200,00 oltre IVA e
CPA.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione
Penale, addì 29 gennaio 2014.

z.

Ogni altra censura o doglianza proposte col ricorso rimangono

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