Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 11920 del 14/11/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 11920 Anno 2014
Presidente: MILO NICOLA
Relatore: FIDELBO GIORGIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Massimo Gianluca Guarischi, nato a Milano il 16.12.1963
avverso l’ordinanza del 21 giugno 2013 emessa dal Tribunale di Milano;
visti gli atti, l’ordinanza impugnata e il ricorso;
udita la relazione del consigliere dott. Giorgio Fidelbo;
udito il sostituto procuratore generale Carmine Stabile, che ha concluso per il
rigetto del ricorso;
udito l’avvocato Angelo Giarda, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.

Data Udienza: 14/11/2013

RITENUTO IN FATI-0

1. Con la decisione in epigrafe indicata il Tribunale di Milano ha respinto
l’appello proposto, ai sensi dell’art. 310 c.p.p., dai difensori di Massimo
Gianluca Guarischi, indagato per il reato di corruzione continuata e aggravata
di cui agli artt. 110, 81 cpv., 319 e 319-bis c.p., contro l’ordinanza del 22

l’istanza di sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere con
quella degli arresti domiciliari.
Il provvedimento genetico custodiale era stato disposto nell’ambito di
un’indagine per episodi corruttivi che vedeva coinvolto Giuseppe Lo Presti,
imprenditore nel settore delle forniture dei servizi ospedalieri e
amministratore della Hermex Italia s.r.I., in concorso con altri soggetti, tra cui
il Guarischi. Quest’ultimo avrebbe svolto funzioni di intermediario tra lo stesso
Lo Presti e alcuni pubblici ufficiali della Azienda Ospedaliera Istituti Ospitalieri
di Cremona e della Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori di Milano
nonché dell’Assessorato alla Sanità della Regione Lombardia e della Giunta
Regionale.
Il Tribunale, nel confermare il provvedimento negativo in ordine alla
richiesta di sostituzione della misura della custodia in carcere, ha innanzitutto
premesso che oggetto dell’appello è solo ed esclusivamente il tema delle
esigenze cautelari dedotte con l’impugnazione e, ancor prima, con l’istanza di
sostituzione rivolta al G.i.p., sicché non vi sarebbe spazio per censurare le
singole contestazioni ovvero la ritenuta sussistenza dei gravi indizi di
colpevolezza.
Riguardo alle esigenze cautelari i giudici del Tribunale le hanno ritenute
pienamente sussistenti in relazione al pericolo di reiterazione del reato e a
quello di inquinamento probatorio, esigenze considerate di tale intensità da
non poter essere fronteggiate con misure diverse da quella in atto. In
particolare, l’ordinanza ha messo in evidenza il grado di inserimento del
Guarischi nell’ambiente politico della sanità regionale lombarda e la sua
capacità, risultante dalle dichiarazioni rese dallo stesso Lo Presti, “di ottenere
informazioni e di condizionare contenuti e tempi di scelte regionali connesse a
finanziamenti deliberati dalla Giunta regionale per la successiva acquisizione
delle apparecchiature da parte delle singole aziende ospedaliere”; il Tribunale

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maggio 2013 con cui il G.i.p. di quello stesso Tribunale aveva rigettato

ha sottolineato che Guarischi veniva remunerato mensilmente da Lo Presti per
le prestazioni di consulenza rese alla Hermex s.r.I., rivolte soprattutto a
velocizzare le procedure di finanziamento in Regione attraverso un’opera di
corruzione dei funzionari pubblici e ad ottenere importanti e strategiche
informazioni finalizzate ad assicurare alla società la vendita agli ospedali di
apparecchiature, tra cui la c.d. Vero, un’apparecchiatura diagnostica

Inoltre, è stato rilevato che le indagini dirette ad individuare i funzionari
destinatari delle somme di denaro da parte dell’indagato sono ancora in corso,
sicché l’affievolimento dello stato custodiale potrebbe influire sui risultati della
ricostruzione della vicenda corruttiva ascritta al Guarischi.
Inoltre, rispondendo alle sollecitazioni difensive, il Tribunale ha escluso
che la cessazione dei contratti di consulenza in capo all’indagato e il
cambiamento della Giunta Regionale possano essere fattori in grado di ridurre
le esigenze cautelari; allo stesso modo è stato escluso che possano rilevare a
questi fini le condizioni psichiche della figlia diciassettenne.
Infine, il Tribunale nega ogni ipotesi di disparità di trattamento rispetto ai
coimputati che sono stati posti agli arresti domiciliari.

2. L’avvocato Angelo Giarda, nell’interesse dell’imputato, ha proposto
ricorso per cassazione.
2.1. Con il primo motivo deduce la violazione dell’art. 292 comma 2 lett.
b) c.p.p. in relazione all’art. 6 punto 3 lett. a) della CEDU e all’art. 14 punto 3
lett. a) del Patto Internazionale relativo ai diritti civili e politici, in relazione
all’art. 1 del c.d. Trattato di Lisbona, nonché violazione degli artt. 319-bis e
319 c.p. in riferimento all’art. 25 Cost., a fronte della mancata individuazione
dei pubblici ufficiali asseritamente corrotti. In particolare, si sostiene che
l’ordinanza non abbia garantito la piena e completa descrizione del fatto, in
violazione del principio di stretta legalità sostanziale e processuale; inoltre, si
censura l’ordinanza nella parte in cui ritiene che l’oggetto dell’appello sia
limitato alle sole esigenze cautelari e si assume che la mancata individuazione
dei pubblici ufficiali corrotti avrebbe dovuto formare oggetto di un rilievo
d’ufficio e, in ogni caso, che la questione era stata implicitamente inserita
nella stessa istanza di revoca o di sostituzione del provvedimento cautelare in
carcere.

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acceleratore lineare di cui la Hermex era distributrice esclusiva in Italia.

-,

2.2. Con il secondo motivo denuncia la violazione dell’art. 274 comma 1
lett. a) c.p.p. e la conseguente illogicità manifesta della motivazione sulla
ritenuta sussistenza del pericolo di inquinamento probatorio. A questo
proposito evidenzia che il Tribunale ha giustificato il ritenuto pericolo di
inquinamento probatorio in relazione alla circostanza che sono ancora in corso
le indagini volte all’identificazione dei pubblici ufficiali corrotti, dimenticando

il 4 giugno 2013, decreto di giudizio immediato; inoltre, si rileva che lo stesso
Tribunale ha riconosciuto che il procedimento a carico dei pubblici ufficiali è
stato separato, con la conseguenza che l’esigenza cautelare in questione non
può prospettarsi con riferimento alla ricerca di fatti reato diversi da quelli
contestati nel procedimento in questione.
2.3. Con il terzo motivo si denuncia la violazione dell’art. 274 comma 1
lett. 4) c.p.p. e la conseguente illogicità manifesta della motivazione sulla
ritenuta sussistenza del pericolo di reiterazione del reato. In particolare si
lamenta che il Tribunale abbia valutato e motivato in maniera illogica una
serie di deduzioni difensive svolte anche in appello, tra cui: a) il venir meno di
qualsiasi rapporto del Guarischi con gli imprenditori coimputati nel
procedimento; b) l’intervenuta scadenza dei contratti di consulenza
dell’imputato; c) la modifica della compagine governativa della Regione
Lombardia, con la fuoriuscita dei politici amici del Guarischi.
2.4. Con il quarto motivo si deduce la nullità del provvedimento
impugnato per violazione degli artt. 274 lett. a) e 178 comma 1 lett. c) c.p.p.,
in relazione all’art. 14 punto 3 lett. g) del patto Internazionale relativo ai
diritti civili e politici, in quanto il Tribunale ha desunto la situazione di
concreto e attuale pericolo per l’acquisizione e la genuinità della prova dalla
mancata ammissione degli addebiti.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il primo motivo è infondato.
Il ricorrente lamenta che il Tribunale abbia ritenuto preclusa la questione
dedotta in appello e relativa alla mancata indicazione nel capo di imputazione
del pubblico ufficiale che sarebbe stato corrotto, sostenendo che l’omessa
contestazione di uno degli elementi costituti del reato di corruzione avrebbe

che il procedimento non si trova più in fase di indagini, essendo stato emesso,

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dovuto formare oggetto di un rilievo d’ufficio, escludendo, in ogni caso,
qualsiasi effetto preclusivo.
Al riguardo si osserva che il Tribunale di Milano, pur sostenendo
l’esistenza di una preclusione ad occuparsi di una questione che non era stata
posta all’attenzione del primo giudice, dinanzi al quale erano state avanzate
solo doglianze relative alle esigenze cautelari, ha tuttavia esaminato nel

da un lato, ha precisato che dagli atti del procedimento e dalla stessa
ordinanza cautelare risultano comunque individuati i pubblici ufficiali coinvolti
negli episodi di corruzione, dall’altro, ha affermato, richiamando la
giurisprudenza di questa Corte, che ai fini dell’integrazione del delitto di
corruzione non ha rilevanza il fatto che il funzionario corrotto resti ignoto.
Pertanto, deve innanzitutto escludersi che il Tribunale non abbia
affrontato la questione posta dal ricorrente; inoltre, deve ritenersi, stando a
quanto contenuto nell’ordinanza impugnata, che l’indicazione dei pubblici
ufficiali corrotti è stata di fatto contestata all’indagato, sebbene non oggetto di
menzione nel capo di imputazione; infine, deve rilevarsi che, soprattutto nella
fase cautelare, il reato di corruzione può essere contestato anche in mancanza
dell’identificazione certa del pubblico ufficiale corrotto: infatti, nel caso in cui
non sussistono dubbi in ordine all’effettivo concorso di un pubblico ufficiale o
di un incaricato di pubblico servizio nella realizzazione del fatto, non occorre
che il medesimo sia o meno conosciuto o nominativamente identificato (in
questo senso, Sez. VI, 7 novembre 2011, n. 3523, Papa).
Ne consegue che deve escludersi sia la violazione dell’art. 292 comma 2
lett. b) c.p.p., sia la violazione dell’art. 319 c.p., entrambe dedotte con il
primo motivo.

4. Sono invece fondati i motivi con cui il ricorrente denuncia
l’insussistenza delle esigenze cautelari, anche sotto il profilo dell’adeguatezza
della misura disposta, nei limiti di seguito indicati.
Riguardo al pericolo di inquinamento probatorio il Tribunale ritiene
sussistente tale esigenza con riferimento alle indagini in corso relative, tra
l’altro, alla necessità della piena identificazione dei pubblici ufficiali, ma non
viene spiegato in che modo l’imputato potrebbe condizionare l’identificazione
dei pubblici agenti coinvolti.

merito la deduzione sollevata esplicitamente solo nell’atto di appello ed infatti,

Inoltre, il Tribunale dopo aver ritenuto la sussistenza del pericolo di
reiterazione dei reati, ha giustificato la scelta della misura cautelare in carcere
in base alla considerazione che gli arresti domiciliari “non offrono garanzie in
termini di oggettivo ridimensionamento delle capacità operative nel delitto” da
parte dell’indagato, che potrebbe facilmente riprendere contatti con
l’ambiente politico amministrativo di riferimento attraverso l’uso del telefono e

della norma processuale. Infatti, nella scelta della misura i giudici non hanno
valutato che attraverso i limiti e i divieti di comunicazione che possono
integrare gli arresti domiciliari, ai sensi dell’art. 284 comma 2 c.p.p.,
sarebbero state garantite le esigenze cautelari con un minore sacrificio in
termini di libertà personale per l’imputato. In altri termini, la valutazione circa
la inidoneità della misura cautelare degli arresti domiciliari appare viziata,
perché effettuata sulla base di un esame parziale e incompleto della attitudine
della più blanda misura invocata dall’imputato ad assicurare le esigenze
cautelari connesse al pericolo di reiterazione di reati.

5. In conclusione, l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio
al Tribunale di Milano per un nuovo esame.
La Cancelleria provvederà agli adempimenti di cui all’art. 94 comma 1-ter
disp. att. c.p.p.

P. Q. M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di
Milano.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 comma 1-ter
disp. att. c.p.p.
Così deciso il 14 novembre 2013

Il Consigli re estensore

l Pri4iente

la via telematica, dando luogo in questo modo ad una applicazione incompleta

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