Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 11918 del 14/11/2013

Penale Sent. Sez. 6 Num. 11918 Anno 2014
Presidente: MILO NICOLA
Relatore: FIDELBO GIORGIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
A.A.
avverso l’ordinanza del 28 maggio 2013 emessa dal Tribunale di Perugia;
visti gli atti, l’ordinanza impugnata e il ricorso;
udita la relazione del consigliere dott. Giorgio Fidelbo;
udito il sostituto procuratore generale Carmine Stabile, che ha concluso per il
rigetto del ricorso;
udito l’avvocato Chiara Lazzari, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la decisione in epigrafe indicata il Tribunale di Perugia, in sede di
riesame proposto da A.A. avverso il decreto di sequestro preventivo
del 23 marzo 2013, emesso dal G.i.p. del Tribunale di Perugia ai sensi degli

Data Udienza: 14/11/2013

artt. 321 c.p.p. e 322-ter c.p. per i reati di peculato (art. 314 c.p.) e falsità
materiale (art. 476 c.p.), commessi dal A.A., in concorso con altri indagati,
ai danni dei fallimenti XX, ha
confermato il provvedimento cautelare reale eseguito sui mandati fiduciari
accesi presso la Selfid s.p.a. (n. 603553 e 603482) e sul capitale sociale della
Silva Re s.r.I., mentre ha revocato il sequestro limitatamente al capitale

posseduto dalla stessa Silva Re al 100%; per quanto riguarda il mandato
fiduciario n. 603553 ha ritenuto la carenza di interesse all’impugnazione in
quanto il sequestro per tali somme non risultava eseguito.
Dall’ordinanza si apprende che la vicenda riguarda una indagine avente
originariamente ad oggetto i fallimenti delle società XX
Hospital s.r.I., procedure pendenti presso il Tribunale di Roma, nei confronti di
una serie di indagati accusati di avere sottratto ingenti somme all’attivo
fallimentare attraverso un complesso sistema di insinuazione al passivo di
crediti inesistenti, supportati da documentazione falsa, cui seguiva una
opposizione “simulata” da parte del curatore e la conseguente instaurazione di
una fase contenziosa che, grazie alla volutamente inadeguata difesa da parte
dei legali nominati dal giudice delegato, nonché alle consulenza tecniche
redatte da professionisti compiacenti, si concludevano in senso favorevole
all’ammissione e alla liquidazione dei crediti in favore dei soggetti muniti di
false procure notarili all’incasso.
In particolare, al A.A. sono stati contestati, oltre ai reati di falso
materiale, per la formazione di quattro procure notarili falsificate (capi C e D),
tre diversi episodi di peculato in concorso con altri soggetti, i primi due (capi A
e E) riguardanti il fallimento XX con conseguente appropriazione,
tramite il sistema delle false insinuazioni al passivo, in un caso di euro
893.279,95 e nell’altro di euro 2.066.304,73, il terzo ai danni del fallimento
YY con conseguente appropriazione di euro 770.000, denaro di
cui aveva la disponibilità in qualità di curatore fallimentare delle procedure.
Il Tribunale ha ritenuto sussistente il fumus in relazione ai contestati reati
di peculato.
Per quanto attiene al nesso pertinenziale i giudici del riesame hanno
ritenuto che solo per l’immobile sito in Fregene, di proprietà della società
Immobiliare Issopo a r.l. è possibile escludere che sia stato acquistato con

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sociale della Issopo s.r.l. in relazione all’immobile sito in Fregene, capitale

denaro proveniente dalle condotte delittuose contestate al A.A.; per gli altri
beni, in particolare per l’immobile sito in Madonna di Campiglio e per quello
sito in Miami Beach posseduto dalla ZZ, le cui azioni sono al 100%
della Silva Re s.r.I., il Tribunale li ha ritenuti acquistati con il denaro provento
dei reati di peculato attribuiti all’indagato, confermando le considerazioni
svolte dal G.i.p. che ha evidenziato “la sintomaticità della costituzione di una

fiduciaria dei rapporti ai quali le risorse economiche sono state intestate” – per
l’altro immobile sito in Miami Beach della 345 Ocean Drive LCC, lo stesso
A.A. ha ammesso di averlo acquistato con i proventi delittuosi -.
Nell’ordinanza si è messo in rilievo che l’indagato ha anche ammesso di
essersi appropriato di oltre un milione di euro, somma che risulta compatibile
con gli investimenti presi in considerazione dal sequestro.

2. A.A. ha proposto personalmente ricorso per cassazione per i
motivi di seguito riassunti.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente deduce l’inosservanza dell’art. 321
c.p.p. e la mancanza di motivazione: in sostanza mancherebbe ogni
accertamento sia sulla sussistenza del nesso di pertinenzialità tra reato
contestato e cose oggetto di sequestro, sia sul pericolo di aggravamento delle
conseguenze dei reati, entrambi presupposti del sequestro preventivo. Il
Tribunale non avrebbe assolto minimamente al suo obbligo di motivazione,
avendo ignorato le argomentazioni difensive basate sulla documentazione
allegata, senza spiegare le ragioni per cui ha ritenuto tale documentazione
non convincente. Le considerazioni contenute nell’ordinanza impugnata
appaiono, in alcuni casi, inconferenti, come quelle relative alla disponibilità
del A.A. di altri beni all’estero, in altri casi frutto di mere congetture, come la
spiegazione che viene fornita sull’acquisto dell’immobile di Madonna di
Campiglio.
In particolare, il ricorrente assume che è del tutto assente la valutazione
sul pericolo di aggravamento ovvero di agevolazione dei reati; invece,
riguardo al presupposto della relazione pertinenziale contesta la giustificazione
contenuta nel provvedimento del G.i.p. di Perugia, secondo cui i mandati
fiduciari sarebbero stati accesi in epoca successiva alla commissione dei reati,
negli anni 2010-2011. A questo proposito evidenzia che il riferimento all’epoca

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provvista in epoca successiva alla realizzazione dei reati e della natura

dell’assunzione dei mandati è argomento irrilevante, dal momento che la
distanza temporale dal reato è talmente ampia da escludere qualsiasi valenza
indiziaria a tale circostanza, tenuto conto che nulla viene detto sulle presunte
modalità intermedie di reimpiego; alla stessa conclusione si perviene avendo
come riferimento gli importi dei mandati fiduciari, che non coincidono affatto
con i profitti illeciti derivanti dai reati; né si rileva una sproporzione tra le

Il ricorrente passa poi a dimostrare la totale estraneità dei beni in
sequestro rispetto alle ipotesi di reato contestategli.
Il mandato fiduciario n. 603553 con Selfid s.p.a. sarebbe frutto di una
successione ereditaria, come risulta dalla ricostruzione bancaria che è stata
allegata ai motivi di ricorso al Tribunale del riesame, da cui si evince pure che
la società Silva Re s.r.l. è posseduta integralmente dallo stesso A.A. e che
non esistono altre somme, titoli o beni ricollegabili ai due mandati fiduciari
oggetto del sequestro.
Per quanto concerne i beni che compongono il patrimonio della Silva Re
s.r.I., il ricorrente ribadisce che solo le azioni della società di diritto americano
“345 Ocean Drive” possono essere considerate riconducibili ai proventi dei
reati addebitatigli, come già dichiarato nell’interrogatorio del 26 febbraio
2013. Peraltro, si assume che il sequestro sugli altri beni della società risulta
del tutto sproporzionato in quanto si riferisce a valori pari al doppio delle
somme concretamente sottratte attraverso la commissione dei reati.
Riguardo al mandato fiduciario n. 603482 si osserva che la somma di
euro 741.000 non può considerarsi un’attività, ma una passività della società
Re Silva.
2.2. Con il secondo motivo deduce la mancanza e manifesta illogicità
della motivazione, censurando l’ordinanza del Tribunale per avere rilevato una
inesistente carenza di interesse rispetto al sequestro del mandato n. 603593,
su un presupposto erroneo, quello cioè del mancato sequestro. Peraltro, si
sottolinea nel ricorso che senza la disponibilità del mandato gli è preclusa la
possibilità di disporre dei fondi.
In conclusione, si chiede l’annullamento del provvedimento impugnato
senza rinvio con la restituzione di quanto in sequestro ovvero, in subordine, la
riduzione del sequestro.

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disponibilità sequestrate e le attività lecite svolte.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è infondato.

3.1. Quanto al primo motivo, si premette che le censure dedotte non
contestano la sussistenza del

fumus commisis delicti, ma

si limitano a

sull’aggravamento delle conseguenze dei reati, nonché sul nesso
perti nenzia le.
Per quanto riguarda i pretesi vizi di motivazione deve rilevarsi che ai
sensi dell’art. 325 c.p. contro le ordinanze emesse dal tribunale del riesame il
ricorso per cassazione è limitato a far valere le sole violazioni di legge, non
anche il difetto di motivazione, salvo il caso in cui la motivazione manchi del
tutto o sia meramente apparente.
Sulle contestazioni attinenti l’aggravamento delle conseguenze del reato
ovvero l’agevolazione della commissione di altri reati, si osserva che il
sequestro in questione è stato disposto in funzione della confisca ex art. 322ter c.p., quindi non ai sensi del primo comma dell’art. 321 c.p.p., bensì a
norma del comma

2-bis

del medesimo articolo – che si riferisce

espressamente ai reati di cui al capo I del titolo II del libro seofondo del codice
penale -, con la conseguenza che la verifica dei presupposti per la misura
cautelare doveva riguardare, oltre la sussistenza del

fumus,

la sola

confiscabilità dei beni, senza alcuna necessità di accertare il pericolo di
reiterazione ovvero di aggravamento delle conseguenze del reato.

3.2. Restano, pertanto, da esaminare le sole critiche riguardanti la
asserita mancanza del nesso pertinenziale tra beni sequestrati e reati
contestati nonché la affermata estraneità dei beni in sequestro rispetto alle
contestazioni.
Su tali aspetti l’ordinanza impugnata non merita alcuna censura.
Nessun problema si pone rispetto alle azioni della società “345 Ocean
Drive”, dal momento che lo stesso ricorrente ha ammesso che si tratta di
proventi riconducibili ai reati addebitatigli. Per quanto riguarda gli altri beni in
sequestro il Tribunale di Perugia ha correttamente applicato la disciplina in
materia di nesso di pertinenzialità, chiarendo che sia l’immobile di Madonna di

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censurare la mancata motivazione sul pericolo di reiterazione e

Campiglio, sia quello sito in Miami Beach posseduto dalla società ZZ
sono stati acquistati in epoca successiva alla commissione dei reati contestati,
entrambi con assegni emessi da ZZ, madre della ex compagna del
A.A., nonché dalla società Silva Re, evidenziando la compatibilità di tali
investimenti con le somme che, per ammissione dello stesso indagato,
costituivano provento dei reati, per un ammontare di oltre un milione di euro.

acquisti effettuati dalla ZZ sia stata fornita dallo stesso A.A. che, tramite
la Silva Re, possedeva il 100% delle azioni della società ZZ. In altri
termini, sulla base della costituzione di una provvista economica in epoca
successiva alla realizzazione dei reati e della natura fiduciaria dei rapporti ai
quali tali risorse sono state destinate, i giudici hanno ritenuto che il A.A.
abbia investito parte dei proventi diretti dell’attività illecita posta in essere
nell’ambito delle procedure fallimentari XX Ospitai nei
rapporti gestiti attraverso i mandati fiduciari in questione.
D’altra parte, nella nozione di profitto del reato vanno ricompregi anche
gli impieghi redditizi del denaro di provenienza delittuosa, in quanto simili
trasformazioni o impieghi non possono impedire che venga sottratto ciò che
rappresenta l’obiettivo stesso del reato posto in essere. Questa Corte, ha
avuto modo di ribadire che la trasformazione del denaro, quale profitto del
reato, in beni di altra natura, fungibili o infungibili, non è di ostacolo al
sequestro preventivo, che può riguardare anche il bene di investimento
oggetto di acquisto: in particolare, proprio con riferimento al sequestro
preventivo finalizzato alla confisca prevista dall’art. 322-ter c.p., si è
affermato che costituisce profitto del reato anche il bene immobile acquistato
con somme di danaro illecitamente conseguite, quando l’impiego del denaro
sia causalmente collegabile al reato e sia soggettivamente attribuibile
all’autore di quest’ultimo (Sez. un., 25 ottobre 2007, n. 10280, Miragliotta;
Sez. II, 6 novembre 2008, n. 45389, Perino).

3.3. Del tutto generica è, infine, la critica sulla pretesa sproporzione del
sequestro rispetto ai proventi ricavati.

3.4. In conclusione, deve ritenersi che del tutto correttamente il Tribunale
abbia confermato il sequestro in relazione ai mandati fiduciari n. 603553 e

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La tesi contenuta nel provvedimento impugnato è che la provvista per gli

603482 accessi presso Selfid s.p.a. e sul capitale sociale della Silva Re (ad
eccezione delle quote della società Issopo s.r.l. che possiede l’immobile sito in
Fregene, il cui sequestro è stato revocato).

3.5. Infondato è anche il secondo motivo, in quanto dall’ordinanza
impugnata risulta che il sequestro relativo al mandato n. 603593 non è stato

4. Dalla infondatezza dei motivi proposti deriva il rigetto del ricorso, con
conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P. Q. M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso il 14 novembre 2013

Il Consigli re estensore

eseguito.

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