Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 11914 del 27/02/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 11914 Anno 2014
Presidente: GARRIBBA TITO
Relatore: APRILE ERCOLE

SENTENZA

sul ricorso presentato da
Paragliola Domenico, nato a Villaricca il 06/07/1966

avverso la sentenza del 05/04/2013 della Corte di appello di Napoli;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Ercole Aprile;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Giuseppe Volpe, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO
E CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Napoli – decidendo in
sede di rinvio a seguito di annullamento deciso da altra sezione di questa Corte riformava parzialmente la pronuncia di primo grado del 04/10/2011, ritenendo
assorbito il reato di detenzione in quello di porto illegale di arma comune da
sparo e rideterminando la pena finale inflitta, e confermava nel resto la
medesima pronuncia con la quale il Giudice dell’udienza preliminare dello stesso

Data Udienza: 27/02/2014

Tribunale aveva condannato Domenico Paragliola in relazione ai delitti di cui agli
artt. 81, 628, comma 3, cod. pen., 2 e 7 legge n. 895 del 1967, 61 n. 2 cod.
pen., per avere consumato, armato di una pistola portata illegalmente in luogo
pubblico, una rapina nella filiale di Qualiano della banca Monte dei Paschi di
Siena, puntando l’arma contro una guardia giurata ed una cassiera, ed
impossessandosi della somma di 21.674 euro, sottratta all’istituto bancario.
Rilevava la Corte di appello come, sulla base del principio di diritto enunciato
dalla Cassazione nella sentenza di annullamento con rinvio, il delitto di

citata pistola, con conseguente rideterminazione della pena finale irrogata
all’imputato.

2. Avverso tale sentenza ha presentato ricorso il Paragliola, con atto
sottoscritto dal suo difensore avv. Emilio Martino, il quale, con un unico motivo,
ha dedotto la violazione di legge, in relazione all’art. 627, commi 2 e 3 cod. proc.
pen., ed alle norme di diritto penale sostanziale oggetto di contestazione, ed il
vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale omesso di pronunciarsi su uno
dei tre motivi dell’originario ricorso per cassazione, quello concernente l’erronea
applicazione della disposizione dettata dall’art. 63, comma 4, cod. pen. – nella
fattispecie operante in ragione del riconosciuto concorso di una circostanza
aggravante e della recidiva reiterata e specifica addebitata al prevenuto nonostante la Cassazione, nel disporre il rinvio per nuovo giudizio, pur senza
nulla dire in ordine a quel motivo, avesse annullato la precedente pronuncia della
Corte di appello anche con riferimento “al trattamento sanzionatorio”.
Con memoria depositata il 07/01/2014 il difensore del Paragliola, richiamando
ed arricchendo gli argomenti già esposti nel ricorso, è tornato ad insistere per
l’annullamento della sentenza gravata.

3. Ritiene la Corte che il ricorso sia inammissibile.
In effetti la Cassazione, con la sopra citata sentenza, dispose l’annullamento
con rinvio ritenendo fondati il primo ed il terzo dei motivi dedotti con l’originario
ricorso, senza nulla dire, neppure in ordine ad un eventuale assorbimento, circa
il secondo dei motivi di quell’atto di impugnazione.
Tuttavia, si trattava di motivo che era stato implicitamente giudicato
manifestamente infondato – e che, perciò, il giudice di rinvio ha legittimamente
omesso di riesaminare – in quanto i Giudici di merito avevano determinato la
pena con una corretta applicazione dell’art. 63, comma 4, cod. proc. pen. norma rispetto alla quale la violazione di legge era stata formulata in termini del
tutto generici – e fornendo una adeguata motivazione circa le ragioni per le

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detenzione abusiva doveva considerarsi assorbito in quello di porto illegale della

quali, in concreto, doveva considerarsi riconosciuta la recidiva contestata, con il
conseguente aumento di pena nella misura consentita dal suddetto art. 63,
comma 4.

4. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell’art.
616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento in favore dell’erario
delle spese del presente procedimento ed al pagamento in favore della cassa
delle ammende di una somma, che si stima equo fissare nell’importo indicato nel

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso il 27/02/2014

dispositivo che segue.

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